La Roma in analisi, tra storia, campo e società: le tappe salienti
L‘avvento di Spalletti, il caso Totti, la questione tifosi-Olimpico. Ma perché la Roma – intesa come società di calcio, stavolta – è sempre al centro delle querelle mediatiche? Perché è così difficile capire questo ambiente, le sue dinamiche e le sue contraddittorietà? Cerchiamo di gettare delle basi per una chiave di lettura organica, senza azzardare teorie universali ma individuando un quadro storiografico preciso e, per quanto possibile, esaustivo.
LA GESTIONE SENSI: DA SILVIO A FRANCO.
Qualcuno penserà: “quando cambia il proprietario ma non il leitmotiv”. La famiglia Sensi è da sempre legata a doppio filo con la storia dell’AS Roma. Facendo subito un passo indietro di 87 anni, arriviamo all’anno 1929. Silvio Sensi, nonno dello storico presidente Franco, costruisce nel quartiere Testaccio uno dei simboli della squadra capitolina, ovvero lo stadio. Denominato da subito “Campo Testaccio”, il centro era stato progettato sulla base di Goodison Park, casa dell’Everton di Liverpool. Ventimila posti e un campo in erba, cosa rarissima per l’epoca; una casa tutta nuova consegnata ai tifosi.

64 anni dopo, Franco diventa il ventesimo presidente della storia della Roma, prendendo le redini di Ciarrapico. L’obbiettivo era chiaro: riportare la Roma ai successi dell’epoca Viola. Compito arduo, vero, e forse le punte di rendimento toccate in quegli anni non saranno mai replicabili. Franco Sensi rimane comunque l’ultimo presidente “scudettato“; l’ultimo “romano e romanista”
I SENSI E LO SPETTRO DEL FALLIMENTO.
Se da un lato, quello sportivo, i Sensi sono stati simbolo di vittorie e di sogni, dall’altro lato, quello della gestione finanziaria e societaria, qualche perplessità l’hanno lasciata.
Veniamo al punto. Nel maggio del 1993, Franco Sensi ha fatto confluire nella Compagnia Italpetroli anche il suo pacchetto azionario della AS Roma, che aveva rilevato insieme al collega Pietro Mezzaroma. Nel novembre 1993 Pietro Mezzaroma vende il suo pacchetto azionario a Franco Sensi, che diventa unico proprietario e presidente. Nel maggio 2000 l’AS Roma entra in borsa; Compagnia Italpetroli continua a possedere (direttamente e indirettamente) il 67% delle azioni della Roma, il resto è in mano a piccoli azionisti.
Tutto sembra filare liscio. Arriva lo scudetto, buoni piazzamenti in classifica, partecipazione stabili alle coppe Europee. Ma nella primavera del 2004, Italpetroli ha circa 640 milioni di euro di debiti: Capitalia entra nel gruppo con una quota del 49% e sottoscrive un piano di risanamento che prevede la riduzione del passivo a 225 milioni entro il 31 dicembre 2005. Giunti alla data in questione, però, i debiti superavano ancora abbondantemente i 400 milioni di euro.
Al novembre del 2007 l’indebitamento di Italpetroli è sceso a 377 milioni di euro, e si decide di sottoscrivere un nuovo piano. Questa volta si devono restituire 130 milioni entro il settembre del 2008 (meno di 1 anno dalla data di stipula), poi la società sarà riorganizzata in tre aree: quella petrolifera, quella immobiliare e quella entertainment che, con scadenze temporali diverse, dovranno rientrare del debito complessivo.
Alla fine del 2007, però, arriva la fusione di Capitalia con Unicredit, la quale, nel luglio del 2008, rinuncia all’opzione del 2% che le avrebbe consentito di salire al 51% di Italpetroli, diventando azionario di maggioranza, e rinegozia un nuovo piano. La prima scadenza è per il dicembre successivo: una prima tranche di rimborso del debito di 150 milioni, che però non viene pagata. Unicredit concede una proroga al giugno successivo, ma anche in questo caso non riceve il rimborso pattuito.
L’INSOSTENIBILITA’ E (ANCORA) I SENSI.
Le acque si scaldano, il livello dei debiti sta raggiungendo un livello insostenibile. Il 5 giugno 2009 Unicredit scrive una lettera minacciando il tribunale con una richiesta di messa in mora. E’ da precisare che tale documento non è stato mai reso pubblico né dalla banca Unicredit né tanto meno dalla Compagnia Italpetroli, quindi si può ritenere questa notizia una semplice e non riscontrabile indiscrezione giornalistica.
In ogni caso, Unicredit ha presentato 13 richieste di procedimenti esecutivi. L’11 novembre 2009 chiede al tribunale di Roma che attesti «la dichiarazione di nullità o comunque l’annullamento della delibera assembleare del 30 giugno 2009 di approvazione del bilancio 2008 della Compagnia Italpetroli». Il 23 novembre 2009, l’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, organizza un incontro in Campidoglio per tentare di risolvere i problemi di Italpetroli. All’incontro sono presenti: Gianni Alemanno (sindaco di Roma 2008-2013), Rosella Sensi, Pippo Marra (consigliere e amico di Rosella Sensi), Paolo Fiorentino (deputy ceo di Unicredit group), Maurizio Cereda (vicedirettore generale di Mediobanca). L”incontro si conclude con un roboante nulla di fatto.
Il 26 luglio 2010 si arriva alla firma dell’accordo: Unicredit avrà il 100% di Compagnia Italpetroli. Il 66% delle azioni della Roma passerà a una nuova società, chiamata Newco Roma, che sarà di proprietà dei Sensi (51%) e di Unicredit (49%).
L’AVVENTO DELLA ROMA AMERICANA.
Il 15 Aprile 2011, dopo mesi di trattative, dal tredicesimo piano dell’Edificio 1 di federal street, a Boston, Thomas Di Benedetto annuncia di aver acquistato con una cordata il 67% delle quote
dell’AS Roma, versando nelle casse di Unicredit 70 milioni di euro. La cordata comprende gli imprenditori Michael Ruane, Richard D’Amore e James Pallotta.
L’organingramma societario è il seguente: Thomas di Benedetto presidente, Italo Zanzi CEO, Claudio Fenucci Amministratore Delegato, Franco Baldini Direttore Generale e Walter Sabatini direttore sportivo.
La nuova dirigenza prospetta anni di grandi cambiamenti, mirati a conseguire risultati sportivi importanti, alla rivalutazione del brand, e alla costruzione del nuovo stadio, considerato indispensabile per arrivare ai livelli dei top club europei. Proprio Di Benedetto si espose sulla questione, promettendo ai tifosi che nel 2016 la Roma avrebbe giocato nel suo nuovo stadio di proprietà.
La campagna acquisti porta 9 nuovi giocatori, con solamente 3 cessioni di rilievo. In totale spesi 64,3 milioni, mentre ne sono stati ricavati 29,3 dalle cessioni. Passivo di 35 milioni.

Il progetto tecnico è interessante. La panchina viene affidata a Luis Enrique, spalla di Guardiola nel Barcellona campione d’Europa. Sarebbe stato pretenzioso pretendere di più al primo anno di una nuova gestione, ma anche il tecnico sturiano ci ha messo del suo nel totale fallimento della prima stagione, che si conclude con la clamorosa eliminazione nel turno preliminare di Europa League con lo Slovan Bratislava, con un settimo posto in classifica e un quarto di finale in coppa Italia.
Luis Enrique si dimette a stagione in corso, sbaragliando quelli che erano i programmi a lungo termine della società. Il bilancio si chiude al 30 Giugno 2012 con un passivo di 54,8 milioni, con perdite che si possono imputare soprattutto alla mancata partecipazione alla Champions League.
ARRIVA ZEMAN IN PANCHINA, MA I LIMITI SONO SEMPRE GLI STESSI.
La stagione 2012-13 inizia con l’annuncio del tecnico boemo Zdenek Zeman, passato già dalle parti di Trigoria dal 1997 al 1999. Ottimo precampionato, dove affiorano tutte le qualità offensive del gioco “zemaniano“. In campionato però, vengono a galla soprattutto le lacune difensive, e la Roma affonda ancora. Il 2 Febbraio 2013 Zeman viene sollevato dall’incarico di allenatore della prima squadra. Al suo posto Aurelio Andreazzoli, il tattico di Spalletti nei tempi d’oro della prima Roma firmata dal tecnico di Certaldo.
Le cose non migliorano, la Roma chiude al sesto posto, ma perde la finale di coppa Italia nel derby con la Lazio del 26 maggio, scrivendo così il punto più basso della gestione a stelle e strisce.
A far discutere di più sono state le scelte di mercato, in particolar modo l’acquisto di quei giocatori richiesti dallo stesso tecnico boemo. Era un matrimonio che non si doveva fare; ne paga le conseguenza la società, che investe altri 35 milioni sul mercato chiudendo in passivo di 38,5, riuscendo comunque a migliorare di un 3% il fatturato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
IL BIENNIO (E PIU’) DI RUDI GARCIA, LA RINASCITA E LA FATICA AD IMPORSI.
Dopo il 26 maggio, la società decide di azzerare e ripartire da capo. Si cambia ancora in panchina, ma anche in società. Franco Baldini passa al Tottenham, portando con sé anche Erik Lamela, pupillo di Walter Sabatini. Claudio Fenucci, che va al Bologna , viene rimpiazzato invece da Mauro Baldissoni. Arriva la scossa tecnica; Rudi Garcia in panchina, autore del miracolo Lille campione di Francia nel 2011 – conquistata grazie ai colpi di Gervinho, Eden Hazard e Moussa Sow, lanciati proprio dal tecnico franco-spagnolo. La rivoluzione tocca anche la rosa; via Lamela, Osvaldo e Marquinhos, dentro Maicon, Strootman, Gervinho e Benatia.
Arrivano 10 vittorie consecutive nelle prime 10 giornate di campionato, record di punti, e, a fine campionato, Roma seconda solamente alla grande Juventus dei record di Antonio Conte. Le basi c’erano ed anche solide; mentre la squadra sembrava dare segnali di grande compattezza e competitività, la società siglava accordi di sponsorizzazione e presentava progetti in Campidoglio.
Nella stagione successiva, però, qualcosa si rompe, a cominciare dal mercato estivo; arriva Juan Manuel Iturbe dal Verona, rivelazione della stagione passata, e va via Mehdi Benatia, colonna portante della fase difensiva giallorossa. La Roma torna in Champions League. Il girone è di quelli proibitivi: Bayern Monaco, Manchester City e CSKA Mosca. La squadra parte anche bene, vincendo all’Olimpico 5-1 contro i russi e pareggiando a Manchester contro i Blues degli sceicchi. Ma la terza partita è il presagio del blackout: 1-7 dal Bayern Monaco. Risultato impietoso, che ricorda disfatte recenti come quella dell’Old Trafford di Manchester. La Roma, forse anche per questa tremenda ridimensionata, crolla. Riesce a centrare l’obbiettivo minimo, ovvero la qualificazione diretta alla Champions League, solamente alla penultima giornata nello scontro diretto con la Lazio.
Spostando la lente di ingrandimento dal rettangolo di gioco alle tasche della Roma, affiorano ancora limiti gestionali e amministrativi, che portano la società a chiudere in negativo di 38,55 milioni, con un patrimonio netto in negativo per 81,3 milioni. I buoni risultati sportivi fanno arrivare comunque nelle casse della Roma circa 50 Milioni.
Nel frattempo, James Pallotta da Boston raccoglie la presidenza di Di Benedetto e ricapitalizza per 100 milioni l’assetto societario della Roma, migliorando di circa 20 milioni il Patrimonio Netto. Tutto questo è riconducibile all’elevato costo del lavoro, ma anche al non ottimale sfruttamento delle fonti di ricavo. La Roma entra così nel mirino del tanto odiato Fair Play Finanziario, siglando un accordo con l’UEFA che prevede il pareggio di bilancio entro la stagione 2017-18, la deviazione di 30 milioni dal pareggio di bilancioper la stagione 2016-17 e limitazioni per la lista A della Champions League, che viene tagliata da 23 a 21 giocatori per la stagione corrente.
E’ indubbio come la crescita della società “Roma” sia in ritardo con le previsioni; la gestione delle risorse negli ambiti tecnici e dirigenziali non stanno colmando quel gap che distanzia la Roma dalle più forti società d’Europa.
LA QUESTIONE STADIO.
Nel frattempo il 2016 è arrivato, e dello stadio nemmeno l’ombra della prima pietra. Per fare chiarezza ripercorriamo le tappe principali.
Nel gennaio 2012, viene affidato alla Cushman and Wakefield, l’incarico di analizzare terreni e aree disponibili alla costruzione del nuovo impianto. Arrivarono centinaia di proposte, successivamente scremate in 80, poi in 5. La scelta ricadde su Tor di Valle, zona al confine del quartiere EUR. Il project manager è Luca Parnasi, proprietario della Eurnova Srl, società incaricata della costruzione dell’intera opera di riqualificazione del territorio di Tor Di Valle.
Soffermiamoci un momento su questa figura: Parnasi, a fine 2013, vantava un debito di 447 milioni di euro nei confronti di Unicredit. La grave situazione finanziaria di Parsitalia, ha portato all’ingresso nel gruppo di Pizzarotti – imprenditore edile parmigiano che ha lavorato in Italia e all’estero su importanti opere come l’Autostrada del Sole o l’aeroporto Charles de Grulle a Parigi – con il 51% delle quote. Non è esclusa la creazione di una nuova Newco, dove far confluire alcuni asset di Parsitalia, e una parte del debito. Un accordo che sembra decisivo per la riuscita del progetto stadio, già in forte ritardo come detto.
Chi fa il tifo per Pizzarotti è sicuramente James Pallotta, che ha preso in mano il giocattolo giallorosso soprattutto con l’idea di creare un centro sportivo che possa garantire alla società introiti da top club. L’architetto è Dan Meis, già autore del LA Nfl stadium e stimatissimo dal numero uno della Roma. Il 26 marzo 2012 la Roma in campidoglio presenta il plastico ufficiale del nuovo stadio, ma solamente il 13 maggio vi è la consegna del progetto definitivo.
Subito, però, si nota come molte cose non quadrino. Vi sono 960.000 metri cubi di terreni edificati che non avrebbero nulla a che vedere con lo stadio – questione che ha già fatto alzare i toni di Legambiente. Mancato progetto per potenziare i mezzi pubblici, mentre inizialmente si ipotizzava il prolungamento della Metro B Muratela, con l’interscambio con la linea FM3. Proprio la situazione del trasporto pubblico ha fatto vacillare la dichiarazione “di pubblico interesse”.
Per ultimo il rischio idrogeologico. Uno studio del WWF del 2008 ha posto la zona di Tor di Valle in fascia A, per la vicinanza al corso d’acqua e interconnessioni idrauliche.
Problema viabilità. E’ impossibile ampliare la via del Mare; sul fronte destro a impedirlo è lo scheletro della ferrovia (ben poco utilizzata, visto che passano circa 2 treni l’ora) e sul fronte sinistro scorre il Tevere.
E ALLORA?
Intanto il progetto rimbalza tra amministrazione comunale e regionale, con più difficoltà del previsto. Chissà se con la liquidità di Pizzarotti il progetto subirà un’impennata. Quello che è certo è che per ora si brancola nella confusione più totale. A dimostrazione di ciò, il 21 gennaio è arrivato anche l’allontanamento di Mark Pannes, braccio destro di Pallotta, dal progetto stadio.
Il desiderio dei simboli della Roma, come Francesco Totti (ce la farà?) e Daniele De Rossi, è quello di giocare almeno una partita nel nuovo stadio. Se le cose dovessero procedere con tale iter, però, tutti questi sogni sarebbero destinati a rimanere tali.
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