Autopsy, tra i corridoi della morte la paura fa cilecca

Tra i topoi più sfruttati dal genere horror, cinematografico o letterario che sia, la camera mortuaria è uno dei più classici e inquietanti. L’obitorio, anticamera alla sepoltura eterna in cui il cadavere (dovrebbe) attendere l’identificazione o l’autopsia, ha spesso fatto scorrere brividi di apprensione e/o paura. Il contatto così ravvicinato con la morte scatena paure primordiali. L’esposizione del corpo, apparentemente senza vita ma pur sempre identificativo di una persona vivente che fu, diventa occasione per far camminare l’orrore tra noi.

Autopsy sceglie dunque non a caso di rendere proprio la camera mortuaria luogo unico della sua rappresentazione soprannaturale. Debutto cinematografico in lingua inglese del regista norvegese André Øvredal (Troll Hunter,2010), il film si presenta come una sorta di dramma a porte chiuse che sfrutta gli stilemi dell’horror per raccontare un’indagine sui generis e un rapporto familiare.

Sinossi

Autopsy di André ØvredalDue sono i protagonisti. Tommy Tilden (Brian Cox), esperto medico legale, e suo figlio Austin (Emile Hirsch), che l’uomo sta istruendo alla professione. Nell’obitorio in Virginia gestito da Tilden un giorno arriva lo sceriffo per far sottoporre all’autopsia il cadavere di una donna sconosciuta, ritrovata senza segni evidenti di ferite nel seminterrato di una casa in cui è avvenuto un pluriomicidio.

Al cadavere viene dato il nome di Jane Doe (Olwen Kelly). Mano a mano che l’autopsia procede, vengono alla luce inquietanti scoperte sul corpo della ragazza. Ma non solo. Cominciano anche a verificarsi situazioni sempre più misteriose e inquietanti, che arrivano a coinvolgere i cadaveri conservati nelle celle frigorifere.

La morte indagata

Una lunga indagine in cui è il corpo stesso della “vittima” a fornire gli indizi per la risoluzione del caso. Questa la strada scelta da Autopsy, a conti fatti un film di investigazione in chiave horror soprannaturale, in cui è la presenza costante e a portata di mano della morte la principale fonte di tensione. I corpi “parlano” anche senza vita e i primissimi piani di Jane Doe raccontano nel silenzio. E mentre cercano la soluzione al mistero della morte della ragazza, padre e figlio contemporaneamente affrontano irrisolte questioni personali.

Autopsy di André ØvredalSembra avere tutto al posto giusto Autopsy. L’ambientazione sinistra, l’atmosfera che promette brividi, la suspense crescente così come crescente è la curiosità da parte dello spettatore. Eppure, purtroppo, tutte queste premesse positive e interessanti, sfociano alla fine in un nulla di fatto.

Siamo in un film horror, ma non si prova paura e anche la tensione tiene solo fino a metà film. Gli unici sussulti sono quelli scatenati da innocui jumpscare, peraltro prevedibilissimi. Si attende e si spera in un’acme dove l’orrore si manifesti finalmente in tutta la sua purezza e crudezza. Un’acme che quando arriva, non può che lasciare delusi per la sua poca forza e incisività.

Un’occasione mancata

André Øvredal, impegnandosi per tirare fuori una regia misurata ma valida per il genere, smorza all’opposto il ritmo. Invece di andare in crescendo, a un certo punto questo si mantiene uguale a se stesso. Troppo memore della lezione per cui è “meglio mostrare poco che troppo”, finisce per non appagare la curiosità morbosa dello spettatore. A poco serve la presenza di due attori come Brian Cox ed Emile Hirsch. La sceneggiatura accenna a conflitti del loro passato e a turbolenze nel loro rapporto, che tuttavia poco hanno a che fare con quanto avviene tra i corridoi labirintici e poco illuminati dell’obitorio. Come se si volesse dare alla storia una profondità ulteriore che non risulta però realmente necessaria.

Da un soggetto così interessante e potenzialmente efficace come quello di Autopsy, ci si aspettava di più. Non un brutto film, ma un’occasione mancata.

Autospy sarà al cinema dall’8 marzo con M2 Pictures.

 

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Giorgia Lo Iacono

Da sempre cultrice del cinema classico americano per indole familiare e dei cartoni Disney e film per ragazzi anni ’80 e ’90 per eterno spirito fanciullesco, inizio più seriamente a interessarmi all’approfondimento complesso della Settima Arte grazie agli studi universitari, che mi porteranno a conseguire la laurea magistrale in Forme e Tecniche dello Spettacolo. Amante dei viaggi, di Internet, delle “nuvole parlanti” e delle arti – in particolare quelle visuali – dopo aver collaborato con la testata online Cinecorriere, nel 2013 approdo a SeeSound.it, nel 2015 a WildItaly.net e nel 2016 a 361magazine.com, portando contemporaneamente avanti esperienze lavorative nell’ambito della comunicazione. CAPOSERVIZIO CULTURA

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