Il Bangladesh di fronte alla sfida del terrorismo internazionale

di Stefano Caldirola *

Il terribile attentato di Dacca del 1° luglio, che ha visto la morte di 22 persone, tra cui 9 nostri connazionali, e che ha scioccato il mondo per l’efferata e sadica dinamica, ha fatto sì che i riflettori dei media italiani venissero puntati improvvisamente su un paese, il Bangladesh, che noi conosciamo soprattutto per una storia martoriata fatta di sciagure naturali, per l’endemica povertà e per via della numerosa comunità di immigrati che vivono nel nostro paese. In realtà questo attacco, ideato per colpire gli stranieri residenti nel paese, rappresenta un’inquietante escalation di una serie di attentati iniziati nel settembre del 2015 con l’uccisione a colpi d’arma da fuoco del cooperante italiano Cesare Tavella, freddato mentre faceva jogging in centro a Dacca.

Questo ed altri attacchi, tutti rivendicati dal Daesh (ISIS), confermerebbero il radicamento in Bangladesh di alcune cellule jihadiste che si ispirano direttamente al Califfato. In realtà il contesto in cui sono maturati questi attacchi, che hanno colto di sorpresa le autorità del paese, appare piuttosto complesso e di difficile analisi. Di certo vi è la crescente radicalizzazione di alcuni settori della società bengalese, caratterizzata da una visione dell’Islam tradizionalmente tollerante e ricca di elementi di sincretismo.

Il Bangladesh è una nazione molto giovane, nata dalla tragedia di due sanguinose spartizioni: la prima nel 1947 quando la fine del dominio coloniale portò alla divisione tra India e Pakistan (di cui il Bangladesh andò a costituire la provincia orientale); la seconda nel 1971, quando al termine di una sanguinosa guerra civile, e con il decisivo intervento indiano, i nazionalisti bengalesi riuscirono ad affermare l’indipendenza del nuovo paese, significativamente denominato “Bangla Desh”, ovvero “nazione del Bengala”.

Alla radice della secessione del Bangladesh dal Pakistan vi erano soprattutto motivazioni di natura economica, tuttavia anche la diversa visione del ruolo della religione nello stato ebbe un peso nel portare all’indipendenza: da un lato vi era una società pakistana in cui le istituzioni avevano iniziato in modo evidente un progressivo processo di islamizzazione ed in cui le minoranze religiose (indù, cristiani ma anche musulmani sciiti) venivano progressivamente emarginate e costrette a vivere nell’insicurezza, dall’altro una società bengalese sostenitrice di uno stato laico, multiconfessionale e di una visione dell’Islam aperta al dialogo e pervasa da forme di misticismo particolarmente invise ai fondamentalisti religiosi.

Questo conflitto tra due visioni opposte dell’Islam si trasferì dopo l’indipendenza all’interno della stessa società bengalese. Le ferite della guerra civile non sono mai guarite del tutto e si sono spostate al centro della vita politica di questo giovane quanto martoriato paese. Il conflitto tra la Awami League, il partito erede della formazione politica in grado di portare il Bangladesh all’indipendenza sotto la guida di Mujibur Rahman, ucciso in un colpo di stato nel 1975, la cui figlia, Sheikh Hasina, è l’attuale primo ministro del paese, e il Bangladesh Nationalist Party, principale partito di opposizione in diverse fasi alleato del movimento islamista Jamaat-e-Islami, ha spesso assunto le caratteristiche di una lotta tra laicismo dal un lato e una concezione favorevole ad una islamizzazione della società bengalese dall’altro.

Questo conflitto non si è ancora risolto oggi: le elezioni parlamentari del 2014, che hanno mantenuto Hasina al potere, boicottate dalle opposizioni, sono state occasione di violenze politiche diffuse. Le recenti condanne a morte di alcuni “criminali di guerra” che combatterono dalla parte del Pakistan nel 1971, molti dei quali affiliati alla Jamaat-e-Islami, ha favorito un’ulteriore polarizzazione della società bengalese. Dal 2014 si è assitito ad un incremento degli attacchi terroristici di matrice islamista, diretti in particolare contro intellettuali progressisti, sostenitori dei diritti civili e appartenenti alle minoranze religiose.

I recenti attentati contro gli stranieri, pur favoriti probabilmente dal clima di crescente conflitto politico e religioso, rappresentano però un fenomeno diverso e per certi versi inaspettato, andando ben oltre i tradizionali conflitti interni alla società bengalese e mostrando invece un’inquietante ispirazione legata al terrorismo islamista globale, di cui Daesh-ISIS è oggi senza dubbio il maggior centro di aggregazione ideologica.

L’analisi della provenienza sociale e culturale di coloro che hanno perpetrato questo attacco, su cui si sono concentrati molto i media nei giorni successivi all’attentato, sembrerebbe avvalorare la tesi di uno scarso collegamento della cellula con le organizzazioni politiche locali, anche le più radicali, mostrando piuttosto collegamenti internazionali. La cellula ha scelto di colpire gli stranieri probabilmente più per un ideale richiamo all’ideologia di  Daesh-ISIS e agli inviti del Califfato di attaccare i “crociati” ovunque nel mondo, piuttosto che per cercare di condizionare e destabilizzare le strutture dello stato bengalese. In questa ottica, il fatto che gran parte delle vittime lavorassero per aziende straniere del settore tessile che producono in Bangladesh appare un fatto quasi del tutto casuale.

Ciò nonostante l’attentato potrà avere – anche a lungo termine – ripercussioni sulla presenza delle aziende straniere in Bangladesh, che contribuiscono in modo decisivo alla crescita del PIL (+6,5% nel 2015), sebbene siano state spesso nel mirino degli attivisti per i diritti umani per le violazioni di diritti dei lavoratori. Il Bangladesh è uno dei paesi dell’Asia con il maggior tasso di crescita. Nonostante le crescenti tensioni sociali, e un livello di povertà ancora tra i più elevati del mondo, il paese, grazie soprattutto all’outsourcing della produzione da parte di molte imprese occidentali e cinesi nel settore tessile, appare comunque in grado di migliorare molti dei propri indicatori economici e sociali. Instabilità politica e terrorismo permettendo.

* Professore di Storia contemporanea dell’Asia presso l’Università degli Studi di Bergamo

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