Cosentino e Gomorra. Una storia che si ripete.
Il nome dell’inchiesta può far sorridere: “Il Principe e la (scheda) ballerina”. In realtà, se leggiamo le carte, ciò che viene fuori non ha nulla a che spartire con la commedia di Laurence Olivier e protagonista Marylin Monroe. Nessun romanticismo. È una storia di Camorra. E di criminalità organizzata che si intreccia direttamente col potere politico.
Nell’inchiesta sembra quasi non esserci una linea che distingue le due entità. Camorra e politica vivono insieme e si agevolano a vicenda. A Casal di Principe il politico fa il camorrista e compra in prima persona i voti. Ma l’inchiesta si divide in due filoni. Uno è “Il Principe”, e cioè l’enorme centro commerciale che doveva essere costruito proprio a Casal di Principe e serviva a dare man forte allo scambio di voti per dei posti di lavoro; l’altro ramo dell’inchiesta – la scheda ballerina – vede direttamente protagonisti i voti fasulli finiti nelle urne per l’elezione del sindaco nel 2008 e nel 2010.
Ed è proprio il grande centro commerciale, “Il Principe”, un affare da 43 milioni di euro che non vedrà mai la luce, che vede direttamente coinvolto Nicola Cosentino, coordinatore regionale del Pdl, nonchè deputato. L’ex sottosegretario all’economia vede pendere sulla sua testa le accuse di concorso in falso, violazione della normativa bancaria e rimpiego di capitali. L’enorme complesso era direttamente interessato dai Casalesi. E nell’ordinanza di custodia cautelare – la seconda, la prima arrivò nel 2009 e venne respinta dalla camera – emessa dal giudice Egle Pilla si legge che “Cosentino era lo sponsor politico del centro commerciale in virtù dell’accordo illecito con la camorra casalese”. Accuse pesanti, insomma, aleggiano sulla testa del pidiellino. La procura lo addita come “il referente politico nazionale del clan dei Casalesi”.
Secondo le accuse Cosentino si sarebbe adoperato in prima persona per far avere la concessione edilizia e sopratutto per aver sollecitato fortemente il rilascio di un credito di 5,6 milioni inizialmente non concesso, ma poi garantito con una fidejussione falsa, all’imprenditore, in odore di camorra, Nicola di Caterino, il titolare del progetto. Proprio per questo rilascio di credito, entra nel giro losco pure il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro. Fu infatti lui stesso ad accompagnare il collega Cosentino nel febbraio del 2007 a Roma, presso una sede della Unicredit. Per Cesaro non è stato chiesto l’arresto, ma ha ricevuto un avviso di garanzia e risulta indagato per violazione della normativa bancaria. Alla fine la banca concederà il prestito. Proprio per questo motivo, altre due persone sono state arrestate. Non due individui qualunque, ma due alti dirigenti di Unicredit: uno è Cristofaro Zara, responsabile delle filiale di Unicredit di Roma Tiburtina e l’altro è Alfredo Protino, responsabile delle gestione dei crediti per il Sud.
A sostegno delle accuse ci sono numerose intercettazioni e racconti di pentiti. Quest’ultimi sembrano convergere tutti su un punto. “Cosentino rappresenta un punto di forza dei Casalesi. È la garanzia politica del clan. Il fatto che noi Casalesi avessimo Cosentino, ci dava un punto in più rispetto agli altri”. Lo dice Francesco Dalla Corte, interrogato lo scorso 28 febbraio. Ma non ci fermiamo qui, perchè in un intercettazione all’interno di un auto dei boss Giuseppe e Massimo Russo nel 2008, si sente che Cosentino ha aiutato il fratello di questi capi clan a trovare un lavoro. “Pasquale ha avuto il posto. Su una petroliera, una piattaforma. Gielo ha fatto prendere ‘o Mericano”. ‘O Mericano è proprio il soprannome con cui viene chiamato a Casal di Principe Nicola Cosentino. Secondo il Gip “si era adoperato per sdebitarsi con un familiare di uno dei più importanti esponenti del clan Russo”.
In una intercettazione del 2006 di una discussione fra il futuro sindaco di Casale Cipriano Cristiano – fra gli arrestati di questa inchiesta – , il genero del boss dei Casalesi Giovanni Lubello, l’imprenditore Nicola di Caterino e l’architetto comunale Mario Cacciapuoti si apprende che, il centro commerciale era vista come “cosa sua”. Cioè di Cosentino.
Cristiano: “Noi dopo dobbiamo dire che questo fatto è un fatto di Nicola. Nicola Cosentino, non lo conosci tu?”
Lubello: “No io lo conosco.”
Di Caterino: “… allora …”
Cristiano: “… allora Nicola Cosentino ci ha detto…. dopo guarda, quello che dici tu quello che facciamo. Mo lascia stare 7-8 mesi, poi quando è tanto…”
Di Caterino: “Poi quando è tanto (quando sarà, ndr) quando tu sei andato a fare il sindaco, dici il sindaco lo faccio io e il tecnico lo fa…. quello che ci stava troppo bene.”.
Un vero e proprio accordo criminoso. I giochi sembrano già stati fatti. Cristiano è già considerato sindaco nel 2006, ma incaricato solo l’anno dopo. E a garantire tutta l’opera è direttamente il Parlamentare Italiano Nicola Cosentino.
Parlando invece del filone della scheda ballerina, non dobbiamo pensare che questo sia distaccato a ciò che abbiamo appena raccontato, perché costruire il centro commerciale era anche un modo per garantire dei posti di lavoro in cambio di voti. Nelle elezioni del 2008 e del 2009 la macchina criminale si mette in moto a pieno regime. Evidentemente quei voti non bastano, erano infatti previsti 476 posti di lavoro. Così la camorra e i diretti candidati si mettono in moto. Ed è una operazione bipartisan.
Nelle elezioni del 2010 infatti, tutti cercano di accaparrarsi i voti comprandoli. Lo racconta il collaboratore di giustizia Salvatore Caterino: “Corvino faceva ampio utilizzo della compravendita dei voti. Ciò mi risultava non solo perché a Casale centinaia di persone lo andavano dicendo in giro, ma anche perché un suo concorrente alle ultime elezioni provinciali, Ferraro Sebastiano che io ben conosco, proprio nel corso della campagna elettorale, mi disse che siccome lui sapeva per certo che Corvino Antonio offriva cento euro per ciascun voto, era disponibile ad offrirne lui stesso 150 a chi avesse votato lui. Ferraro, quindi, mi chiese di spargere questa voce fra gli elettori di Casale e che quindi lui offriva più soldi di Corvino a chi lo votava”.
Una gara a chi offre di più. Ma ciò che sconvolge di più è anche il fatto che non c’erano solo i soldi a comprare i voti. La situazione economica è evidentemente terribile, tanto da permettere a Antonio Corvino di comprare i voti delle donne offrendogli i buoni pasto per la mensa dei figli, o direttamente dei posti di lavoro nelle mense. È sempre Caterino a raccontarlo ai pm: “Corvino Antonio non solo offriva soldi per ottenere il voto, ma anche altro genere di contropartita. Egli in particolare, non so come, riusciva a rubare dei blocchetti di buoni pasto dalle mense comunali, penso scolastiche e le consegnava a chi gli prometteva il voto. Inoltre offriva posti di lavoro. In particolare, offriva posto di lavoro adatte a persone di sesso femminile alle mense scolastiche”.
Come abbiamo detto il broglio era bipartisan. E giunti al giorno del voto, la camorra entrava in azione in prima persona con le schede fasulle e “ballerine”. Il metodo era semplice: un affiliato infiltrato portava fuori dei seggi le schede elettorali in bianco e segnava la preferenza, la consegnava ad un altro elettore che entrava al seggio, ritirava la scheda in bianco, la metteva in tasca e infilava nell’urna quella già segnata, usciva e consegnava quella in bianco all’affiliato che, dopo averla segnata, la rigirava ad un nuovo elettore e così via.
Quello che risulta però strano è questo: per il clan dei Casalesi, in realtà, chiunque vincesse non faceva differenza, perché tanto “chi comandava eravamo noi, e i politici, di qualsiasi bandiera seguivano le nostre richiesta, nel senso che eseguivano i nostri ordini specie in materia di appalti”. Questo lo racconta un altro collaboratore di giustizia, Luigi Grassia.
Ma c’è di più, perchè oltre ai voti pilotati ci sono anche quelli fasulli. Quelli cioè che non avevano motivo di esistere. L’ufficio anagrafe del Comune era il diretto interessato. Infatti qua si clonavano tessere elettorali e carte di identità. Prendevano “in prestito” l’identità di chi sicuramente non avrebbe votato e ci mandavano un affiliato. I principali soggetti a cui veniva rubato il voto, inconsapevolmente, erano i malati, i disabili che non si potevano muovere e i Testimoni di Geova, che per motivi religiosi non votano.
GIAMPAOLO ROSSI
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