Crack delle Bcc, riforme e alta volatilità. E i mercati ballano

Nel suo ultimo discorso ufficiale, il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha cercato di dare un segnale di distensione e di rassicurazione a tutti gli investitori, nazionali e internazionali. “La situazione del settore bancario” ha detto, “è oggi molto diversa da quella del 2012. Forse ancor più importante” ha poi aggiunto, “le banche della zona euro hanno rafforzato il capitale negli ultimi anni”. Un percorso di rafforzamento che è solo all’inizio e che agisce a livello mondiale, se si tiene conto di quanto stabilito dal Financial Stability Board, che prevede che il livello di attività ponderate per il rischio al 18 per cento nel 2022 venga portato a 1.109 miliardi con una media per singola banca di 26,2 miliardi. Ricordiamo tutti ciò che nel 2011 si è verificato. Una volatilità di mercato e una letterale fuga degli investitori internazionali dal debito italiano, tale da portare il fantomatico spread tra BTP e Bund tedesco oltre quota 500 (oggi siamo a circa quota 135, ed è comunque alto, tanto per averne un’idea).

Mario Draghi. Fonte: www.sokratis.it
Mario Draghi. Fonte: www.sokratis.it

Una rassicurazione, quella di Mario Draghi, che arriva in un momento estremamente delicato per tutto il sistema bancario europeo, segnatamente per quello italiano. Una situazione che è facilissimo osservare anche dalla sostanziale differenza dell’ampiezza della forbice di oscillazione negli andamenti dei listini europei – che subiscono una decisa volatilità, caratteristica identica per tutti i mercati mondiali in questi tempi di instabilità economica internazionale – e in quella dei listini italiani, in particolare per quanto riguarda il FTSE MIB – che quota, lo ricordiamo, le 40 società italiane ed estere, maggiormente capitalizzate, sui mercati gestiti da Borsa Italiana. Ciò che si osserva facilmente è la sostanziale maggiore sofferenza dei titoli bancari quotati nel listino, un fatto che deriva principalmente dalla situazione di incertezza di cui soffre il sistema bancario italiano.

L’Italia e il mini-crack

Ad oggi sono ‘solo’ quattro gli istituti di credito che sono sottoposti alla cosiddetta Procedura di Risoluzione prevista dalla legge italiana e dall’Unione Europea e alimentata con contributi delle altre banche nazionali: Banca Marche, Etruria, Carife e CariChieti. Niente soldi pubblici, quindi. Ed è bene specificarlo che non si tratta di ‘aiuti di Stato’, dato che la legislazione corrente rispecchia la visione decisamente liberista dell’Unione Europea, la quale non permette agli Stati Membri di fornire aiuti economici diretti verso aziende in difficoltà, per lasciare agire, invece, i meccanismi e gli strumenti del libero mercato.

Fonte: www.mercati24.com
Fonte: www.mercati24.com

Ma dove si è effettivamente manifestato il problema? Volendo sintetizzare, la causa del mini-crack che ha coinvolto questi piccoli istituti di credito che, ad oggi, rappresentano circa l’1 per cento dell’intero sistema bancario italiano, ha riguardato principalmente il settore dei cosiddetti crediti deteriorati. Più semplicemente, prodotti finanziari di uso comune come prestiti e mutui, erogati da queste banche presso clienti che sono poi diventati insolventi, sono diventati insostenibili per questi gruppi bancari, andando a rappresentare delle passività letteralmente ‘tossiche’ in bilancio che, miste ad altro tipo di sofferenze differenti, hanno contribuito sostanzialmente ad provocare una insolvibilità della banca stessa. Fatte le debite proporzioni, si tratta, quindi, di un piccolo ‘crack’ à la mode Lehmann Brothers, ma di italico respiro.

Il governo scende in campo

Ad affrontare questa situazione spinosa, è intervenuta la politica. Da pochissimi giorni, infatti, il Governo ha presentato la riforma delle Banche di Credito Cooperativo, prontamente firmata e promulgata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’idea di base della riforma è la costituzione di una holding Spa che abbia 1 miliardo di patrimonio – come minimo – e che sia controllata da quegli istituti di credito che intendono partecipare sottoscrivendo un ‘contratto di coesione’.

L’alternativa, o più tecnicamente ‘way-out’, consisterebbe nella possibilità per le grandi Bcc con almeno 200 milioni di euro di riserve, di non aderire, trasformandosi in spa e pagando il 20 per cento di imposta sulle riserve. L’agenzia di Rating Moody’s si è già pronunciata sul provvedimento, che dovrà ora passare al vaglio del Parlamento per la conversione in legge, affermando in un comunicato che “la riforma del credito cooperativo avrà un impatto positivo sul merito creditizio delle banche aderenti che potranno beneficiare di un mutuo sostegno per legge”. Un’affermazione confortante, se si pensa che molti dettagli sostanziali devono ancora essere resi pubblici.

Fonte: www.iurisprudentes.it
Fonte: www.iurisprudentes.it

Le complicazioni oltre-confine

Una situazione che, finquando non verrà risolta pienamente, certamente non aiuta a dare slancio alla solidità del sistema bancario italiano, cosa che non fa bene ai mercati. Se si aggiunge, poi, la instabile situazione internazionale che ha contribuito a fare da volano – in negativo – alla condizione precaria dei mercati e dell’economia europea, le cose cominciano a complicarsi. A cominciare dal crollo dei prezzi del petrolio, iniziato a ridosso della fine dell’estate 2015, dovuto ad una sostanziale sovrapproduzione di greggio rispetto alla carente domanda internazionale, asfittica a causa della pressante crisi economica globale. Un fatto che per l’Europa e per il resto del mondo è risultato essere estremamente deleterio, dato che molti dei partner economici dell’Europa dipendono finanziariamente dall’esportazione di idrocarburi – prima su tutti la Russia –  i quali, privati dei guadagni stellari che un alto prezzo del petrolio ha regalato loro negli ultimi 5 anni, non sono più in grado di importare generi, prodotti e semilavorati dai Paesi europei agli stessi livelli pre-crisi petrolifera.

A questo si aggiunge un altro tassello di questo intricato mosaico, che vede protagonista principale la Cina e la sua economia ibrida, a cavallo tra libero mercato ed economia pianificata, che per sua stessa conformazione, non è capace di garantire efficacemente i mercati e gli investitori internazionali circa la propria stabilità economica e di crescita, non più così grintosa come negli ultimi anni. A questa serie di elementi si aggiunge anche la scarsa crescita dei BRICS – che risultano non essere più così tanto emergenti – e una patologica e sistemica scarsa crescita di tutta la zona euro. Un rinnovato sprint della salute economica degli Stati Uniti, invece, ha portato ad un ulteriore batosta per tutta l’economia mondiale, quando Janet Yellen, governatore della Federal Reserve Bank ha decretato che per gli USA era arrivato il momento di lasciare la strada delle manovre espansive di abbassamento dei tassi di interesse, e di iniziare un nuovo periodo di stretta monetaria per dare slancio all’inflazione tra i propri confini domestici. A scapito del resto del mondo occidentale e non.

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Fabio Castiglione

Laureato in Relazioni Internazionali all’Università ‘L’Orientale’ di Napoli, dopo alcune esperienze lavorative nel ramo bancario come consulente, approda nel mondo del giornalismo nel 2004. Collaboratore esterno e stagista, prima, e redattore poi, è presso il quotidiano ‘Il Denaro‘ che muove i suoi primi passi nel mondo della carta stampata. Appassionato professionista di Competitive Intelligence per alcune delle più importanti realtà internazionali, prosegue il suo percorso nel giornalismo online con L’Indro come Coordinatore della Redazione Esteri e Responsabile delle Risorse Umane, prima, e abbraccia la qualità del progetto Wild Italy, poi. Ex Rotaract, insegnante di Karate Shotokan Tradizionale per passione - e per professione - nonché analista di politica ed economia per vocazione, discute dell’attualità internazionale sul suo blog ‘YouPolitik’. COLLABORATORE SEZIONE ECONOMIA

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