Economia e risparmio in Italia: le abitudini delle famiglie
Il risparmio accantonato dalle famiglie italiane ha rappresentato per molti decenni la componente di gran lunga più importante del risparmio nazionale, sia per entità relativa sia per stabilità nel tempo”. Questo è quanto scrisse qualche tempo fa il Prof. Arnaldo Mauri, ordinario di Economia e, tra gli altri e tanti prestigiosi incarichi, anche autore per il portale Performacetrading.it.

In un momento in cui la lunghissima mano della crisi economica ha inevitabilmente inciso sulle ‘abitudini’ di risparmio delle famiglie nel nostro paese, determinando un processo di riallocazione delle risorse verso nuove tipologie di asset, vediamo rapidamente cos’è successo al risparmio degli italiani.
Passiamo brevemente in rassegna l’andamento del quadro macroeconomico mondiale e quali dati abbia fatto registrare (fonte Istat, con analisi di dettaglio per chi fosse interessato).
Dopo la crescita del 3,4% che ha caratterizzato il 2014, il 2015 ha subito una lieve flessione (+3,1%). Quanto accaduto è direttamente correlato alla frenata che ha contraddistinto le economie emergenti non significativamente compensata dalla crescita (+0,1% sull’anno precedente) delle economie dei paesi più avanzati.
Il quadro dell’economia europea, invece, ha mostrato gli stessi segni di moderata ripresa degli ultimi tempi (Pil a +1,6% nel 2015) a causa di una frenata rilevata a partire dalla seconda metà del 2015.
Se, infatti, i consumi privati avevano fatto da traino alla ripresa di cui abbiamo detto, la percezione di peggiori condizioni economiche e di previsioni non ottimistiche circa l’immediato futuro hanno ridotto i consumi. In sostanza, il clima di sfiducia che è ritornato ad influenzare le scelte di consumo di ciascuno di noi nella seconda parte dello scorso anno, determinerà un andamento delle economie che, pur potendo assestarsi su valori positivi, oscillerà attorno, allo “zero virgola”.
Teniamo presente che un imprescindibile quanto determinante contributo alla “tenuta” del sistema economia è stato fornito dalle politiche monetarie espansive adottate, che hanno oltretutto indirizzato anche la scelta di una differente asset class negli investimenti e che hanno ridato fiato all’erogazione di credito a famiglie ed imprese.
E l’Italia? Come si colloca?
“Per i consumi finali nazionali si è consolidata la risalita emersa debolmente nell’anno precedente: il tasso di variazione è salito allo 0,5% nel 2015 (0,2% nel 2014). La componente più dinamica dei consumi finali è risultata la spesa delle famiglie residenti, cresciuta dello 0,9% a fronte di una diminuzione per il sesto anno consecutivo di quella delle amministrazioni pubbliche (-0,7%).”

Basti pensare che nel nostro paese la fiducia dei consumatori è cresciuta per 12 mesi, a partire dal gennaio 2015, di oltre 17 punti percentuali. Andamento arrestato ad inizio anno per lasciare spazio alla flessione dovuta al rinnovato clima di sfiducia.
L’ISTAT ci fa sapere che la spinta sui consumi è stata esercitata principalmente da un’accresciuta capacità di spesa delle famiglie a seguito di un incremento del potere di acquisto (il primo dal lontano 2007) dovuto principalmente ad un incremento dei reddito lordi da lavoro dipendente ed autonomo, in presenza di un’inflazione pressoché nulla.
In questo contesto le famiglie italiane hanno reagito destinando (nel 2015) la maggiore capacità di reddito disponibile ai consumi, mantenendo costante la percentuale di reddito disponibile destinata al risparmio: “il tasso di risparmio è rimasto invariato (all’8,3%)”.
Fondamentale, nelle preferenze di spesa delle famiglie italiane, il ritorno all’investimento nel mattone e, conseguentemente, del suo “indotto” tipico.
Quanto appena scritto, ci fa immediatamente cogliere alcune peculiarità dell’argomento “risparmio”.
Sullo stesso, infatti, influiscono non solo variabili reali (nel senso di tangibili e concrete) come la maggiore disponibilità di reddito, ma anche non reali e legate alle valutazioni soggettive sull’andamento economico prospettico che ciascuno effettua e che originano atteggiamenti di spesa più o meno prudenti, all’esito delle stesse.
Uno studio condotto quest’anno da Intesa San Paolo e Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, dal quale estrapoliamo la tabella di seguito, ci aiuta a mostrare come la propensione al risparmio degli italiani sia frutto, anche, di una valutazione soggettivamente condotta da ciascuno in ordine alla maggiore o minore utilità (e quindi al valore direttamente assegnatogli) del risparmio.
Infatti, si è proceduto a verificare quale sia il giudizio soggettivo sull’importanza di risparmiare, che gli italiani elaborano.
Per chiudere, già che ci siamo, rileviamo una delle “dinamiche” che lo studio citato ha rilevato.
A leggere i dati del 2016, si nota come per la prima volta la somma delle percentuali dei giudizi “indispensabile” e “molto utile” espressi, sia inferiore al 60% e potrebbe essere alla base di un cambiamento culturale del nostro paese.
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