Elezioni Roma: i candidati in campo
Grandi manovre all’ombra del Campidoglio. Mancano circa 5 mesi alle elezioni per il nuovo sindaco di Roma e già la Capitale versa nel caos, tra candidature annunciate e mosse per “stanare” possibili avversari.
IL PD E IL CENTROSINISTRA

Analizzando gli schieramenti, troviamo in prima battuta il Pd che, tra correnti e risse interne mai sopite, ha rischiato di far fallire le agognate primarie che per tanti anni hanno rappresentato il loro cavallo di battaglia. Gli unici candidati in corsa fino adesso sono il Vicepresidente della Camera Roberto Giachetti (leggi qui qualcosa su di lui), l’ex parlamentare dell’Italia dei Valori Stefano Pedica (oggi membro della direzione regionale del Pd Lazio) e il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi (in quota Centro Democratico).
L’unico big alla stregua di Giachetti che si è fatto avanti per ultimo è l’ex assessore all’Urbanistica di Veltroni, Roberto Morassut (oggi deputato) che da tempo manifestava, neanche troppo velatamente, la sua voglia di impegnarsi ancora per la Capitale, dopo l’esperienza di assessore con Veltroni sindaco. Questo suo desiderio comincia a far capolino già nel 2012, con la pubblicazione del suo primo libro “MALAROMA, dal modello Roma al fallimento di Alemanno”, a cui seguirono – nel 2014 – “ROMA CAPITALE 2.0, la nuova questione romana. Un riformismo civico per la Capitale” e “ROMA SENZA CAPITALE. La crisi del Campidoglio e il bisogno di una riscossa civica”. Quando però, poche settimane fa, le condizioni sembravano favorevoli per una sua discesa in campo, l’esponente dem ci ha pensato. Nonostante fosse sostenuto da un nome forte nel Pd romano come Goffredo Bettini (colui che lanciò Rutelli e Veltroni sindaco, Zingaretti alla Provincia e poi Marino), Morassut sembrava avesse il timore che una sua possibile candidatura venisse vista unicamente in funzione anti-Giachetti (e quindi contro Renzi).
Qualcuno, probabilmente nel partito, il 21 gennaio scorso ha provato a “stanarlo”, facendo girare in alcuni gruppi su WhatsApp, formati da esponenti democratici romani tra cui anche ex consiglieri, una falsa agenzia di stampa che dava per certa la sua accettazione della candidatura. Subito l’interessato si affrettò a smentire: “Uno stupido scherzo, io non ho ancora deciso. Non capisco con chi abbiano parlato e dove abbiano preso tale notizia. La verità è che io non ho ancora deciso nulla e non saranno i giornali, con tutti il rispetto, a influenzare una decisione cosi’ importante. La mia riflessione sulle primarie non è ancora conclusa”.
La conclusione c’è stata il 30 gennaio scorso, con un messaggio sul suo profilo Facebook:
Ci ho pensato molto, come si fa per le cose importanti e che non possono essere improvvisate: mi candido alle primarie…
Pubblicato da Roberto Morassut su Sabato 30 gennaio 2016
MARINO IL VENDICATIVO?
Qualche settimana fa si è affacciato di nuovo anche un altro volto non del tutto sconosciuto. L’ex sindaco Marino, infatti, con una lettera al quotidiano La Repubblica si è tirato fuori da una sua possibile corsa nelle primarie dem e ha attaccato direttamente Renzi e il suo partito: “Molti in queste settimane mi hanno chiesto cosa farò io. Posso solo dire cosa non farò, e cioè: non parteciperò alle primarie del Partito Democratico. Le primarie hanno un senso a patto che chi le propone e chi vi partecipa ne rispetti il valore e poi l’esito. Se si calpesta la scelta dei cittadini, com’è successo a Roma, si svuota il significato stesso di quelle consultazioni. Per questo ho trovato sconcertante la decisione del segretario del Pd, Matteo Renzi, di indire nonostante tutto le primarie per la candidatura a sindaco di Roma”.

“Mi chiedo – argomenta Marino – come possa Renzi non vedere il danno arrecato al Pd e all’istituto stesso delle primarie dalle sue decisioni e pensare di andare avanti come se niente fosse. Non capisco come ritenga credibile chiedere alle elettrici e agli elettori romani di sacrificare una domenica mattina, mettersi in coda, versare i due euro e indicare il nome del proprio candidato sindaco, dopo che egli ha eliminato con un atto di forza chi quelle primarie aveva vinto l’ultima volta”.
“Le primarie – continua l’ex inquilino del Campidoglio – non hanno più alcun valore, perché il loro esito può essere capovolto per ordine del vertice del partito. Dirò di più: il Pd a Roma non dovrebbe nemmeno partecipare con il proprio simbolo alle elezioni amministrative del 2016”.
Marino ne ha anche per Giachetti: “Il vicepresidente della Camera dei Deputati, con le spalle coperte dal suo ruolo di garanzia istituzionale, ha alla fine ceduto ed ha dato, seppur malvolentieri, la propria disponibilità. Ma non lascerà il suo incarico parlamentare, a riprova che non ci crede nemmeno lui fino in fondo, perché è facile candidarsi quando si ha un paracadute d’oro sulle spalle.[…] Candidarsi per ordine di Renzi significherebbe accettare una logica secondo cui, in caso di vittoria, a governare Roma sarà il capo del partito e del governo, mentre il sindaco sarà ridotto a una sorta di commissario esecutore. Con la sua sciagurata gestione, la credibilità del Pd romano ha subito e inferto un grave danno: la pretesa di giocare un ruolo da protagonista in questa fase non è oggettivamente credibile”.
Che sia il preludio a una sua candidatura con una lista civica?
LA CORSA SOLITARIA DI FASSINA.
L’unico che finora sembra avere le idee chiare in tutto questo caos è Stefano Fassina che, dopo 7 anni nel Partito Democratico, a novembre scorso si è prima unito al nuovo soggetto politico Sinistra italiana – Sinistra Ecologia e Libertà e poi si è candidato a sindaco, iniziando una capillare campagna d’ascolto e attaccando pesantemente il suo ex partito: “Renzi ha deciso di tagliare le gambe all’amministrazione Marino, ha negato i fondi del Giubileo fin quando è stato sindaco Marino e li ha sbloccati con l’arrivo di Tronca, ha mandato i consiglieri comunali del Pd dal notaio insieme a quelli del centrodestra, quindi è un dato politico l’inesistenza del centrosinistra a Roma”.
IL CENTRODESTRA.
Anche nel centrodestra non se la passano bene in quanto a fronti aperti.

Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile, si dice disponibile ad assumersi l’onere della candidatura perché “a Roma serve un manager”.
Francesco Storace, consigliere regionale del Lazio, invece, il giorno dopo il Family Day, in un posto cattolico come il Salesianum, ha dato il via alla sua corsa per il Campidoglio, lanciando il suo programma per Roma, per una Capitale che #torneràpulita. “La «proposta per Roma», spiega il leader de La Destra, rilancerà il metodo – le primarie, per una coalizione che vorrei larga – e il merito, con i doveri che vorrei caratterizzassero il sindaco di domani. «Er sindaco», perché c’è bisogno di chi pensi solo alla città e non a cosa potrà fare in politica da grande”. Donna Assunta Almirante, moglie dello storico leader del Movimento Sociale Italiano, dal canto suo lancia un appello sia a lui che alla Meloni: “trovino un accordo per il bene della città. Sono due profili validissimo e uno non esclude l’altro”.
E veniamo a Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia sono mesi che tentenna, che dice e non dice, non si sbilancia su una sua discesa in campo. L’apertura di Bertolaso, conseguente a pressioni venute da Berlusconi, secondo molti serviva proprio a farla uscire allo scoperto. Nulla però è da escludere e i ben informati giurano che alla fine la giovane esponente di centrodestra possa proprio non candidarsi.
Il ragionamento però che sembra girare negli ambienti di Forza Italia è il seguente: se la Meloni decidesse di non correre, a questo punto non potrebbe più mettere – come ha fatto – un veto sulla candidatura di un personaggio che a Berlusconi piace (e non poco): Alfio Marchini.
Chi sta alla finestra per capire cosa succede, per poi raccogliere il testimone, è infatti proprio l’imprenditore/ex candidato sindaco. Più infatti i partiti di centrodestra (incluso Noi con Salvini) tentennano, più c’è la concreta possibilità che, alla fine, si consegnino mani e piedi a lui per evitare la debacle più totale.

Da consigliere comunale uscente, il costruttore romano non sembra affatto impensierito dall’ipotesi Bertolaso. Tra le inchieste sul G8 alla Maddalena e quelle sul terremoto in Abruzzo, i marchiniani sono convinti che una sua possibile candidatura sarebbe un fiasco colossale. Senza contare il fatto che, mentre da capo della Protezione Civile aveva indici di popolarità molto alti, ormai è da tempo che manca dai dibattiti dell’opinione pubblica.
In questo marasma si inserisce la proposta, comparsa su il Messaggero e attribuita a Marchini stesso, delle primarie all’americana (due turni) per il centrodestra.
«La semplice ipotesi di primarie – scrive il sito formiche.net – ha comunque consentito all’imprenditore di ricevere qualche apertura non solo tra i moderati ma anche nella vecchia guardia di destra. Esemplificativo in tal senso quanto dichiarato al Corriere della Sera da Francesco Storace che – alla domanda se appoggerebbe mai Marchini – ha risposto: “Di fatto, si iscrive anche lui al centrodestra. E questo è un fatto politico. Non è estraneo al sistema di potere cittadino, ma è coraggioso. Se ci fossero le primarie aperte a tutti, e lui le vincesse, lo sosterrei”».
Chiusure invece dalle truppe meloniane. Il deputato Fabio Rampelli, in un post su Facebook, scrive: “Continuo a non capire la ragione per la quale Marxini-Marchini ambirebbe a partecipare alle primarie del centrodestra. Meglio che competa con Giachetti e Morassut” a quelle del Partito Democratico.
Al di là però di tutto questo, appoggi a Marchini arrivano già da diversi ambienti. Lo sostengono infatti sia il senatore Andrea Augello che il deputato Vincenzo Piso, volti storici della destra capitolina passati da Alleanza Nazionale al Popolo della Libertà fino al Nuovo Centrodestra e, adesso, entrati in Idea, la nuova formazione dell’ex ministro Gaetano Quagliariello. Augello, inoltre, ha anche dato vita al movimento Cuori Italiani creato insieme all’ex europarlamentare Roberta Angelilli proprio per dare aperto sostegno alla candidatura romana del costruttore. Da lì è nato anche un gruppo omonimo al Consiglio Regionale del Lazio formato da Luca Malcotti, Fabio De Lillo, Daniele Sabatini e Pietro Di Paolo. A questi supporter si aggiunge Italia Unica di Corrado Passera e i Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto, guidati a Roma dall’ex Udc Luciano Ciocchetti e dall’ex forzista Ignazio Cozzoli Poli.

E IL MOVIMENTO 5 STELLE?
Cosa bolle, infine, nel pentolone del Movimento 5 Stelle? Mentre è in corso l’esame delle oltre 200 proposte di candidatura ricevute, voci di corridoio danno in pole position per la nomina a candidato sindaco la 37enne avvocatessa Virginia Raggi, uno dei quattro consiglieri comunali uscenti.
Proprio a voler quasi serrare le fila nei confronti della lista più accreditata nei sondaggi, giorni fa il sito Dagospia ha tirato fuori una notizia vecchia di qualche mese ma che poi notizia non è. L’ex consigliera comparirebbe a pagina 669 della Relazione della commissione prefettizia su Roma Capitale, documento dell’organo incaricato di valutare il condizionamento criminale dell’amministrazione e che, alla fine, chiese di considerare “lo scioglimento per mafia della Capitale”.
Il nome dell’esponente pentastellata risulta a fianco di politici come Gianni Alemanno o Daniele Ozzimo nella lista dei nomi del “capitale politico” di Buzzi e Carminati, cioè di coloro che hanno “intrattenuto relazioni caratterizzate da non piena linearità di condotta”.
Il testo della relazione, a dire il vero, era stato desecretato già a novembre 2015 ed era stato pubblicato dall’ex assessore alla Mobilità del Campidoglio e senatore Pd Stefano Esposito sul suo sito. A maggior ragione a molti è sembrato strano che Dagospia l’avesse ripreso solo oggi.
La notizia però, come detto, è una non notizia. La Raggi compare infatti tra “gli amministratori presenti sia nell’amministrazione Alemanno che in quella Marino come membri della giunta o dell’assemblea capitolina”. “Come ho avuto modo di accertare – scrive il prefetto di Roma Franco Gabrielli in una nota – anche tramite alcuni funzionari incaricati di svolgere l’attività di accesso, l’inserimento del nominativo della Consigliere Virginia Raggi è effettivamente errato”.
“Trattasi – precisa Gabrielli – di un refuso, tra l’altro facile da accertare visto che la stessa Raggi non risulta sia stata eletta, o abbia assunto cariche, a seguito delle precedenti consultazioni elettorali del 2008”.
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