Elezioni Spagna, Podemos e Ciudadanos decretano la fine del bipartitismo
Le elezioni legislative spagnole si sono concluse con la fragile vittoria del Partito popolare (Pp), alla guida del Paese dal 2011.
Dopo una lunga notte di attese, smentite e forti tensioni, il partito del premier uscente Mariano Rajoy è riuscito a posizionarsi al primo posto, ottenendo il 28,7% dei consensi (123 seggi su 350), ma perdendo la maggioranza assoluta dei seggi che gli consentirebbe di governare senza alleati. Il Partito socialista (Psoe) è arrivato secondo con il 22% dei voti (90 seggi), il partito anti-sistema Podemos si è classificato terzo con il 20,7% dei voti (69 seggi), mentre il partito di centrodestra Ciudadanos si è aggiudicato il quarto posto con il 13,9% dei voti (40 seggi). 9 e 8 seggi vanno rispettivamente ai due partiti nazionalisti catalani, Erc e DI, mentre 6 ne ottengono i nazionalisti baschi del Pnv. Unità popolare, la storica sinistra ormai quasi spazzata via da Podemos, dimezza i suoi consensi e passa da 11 seggi a 2. In totale, il Pp ha ottenuto 65 seggi in meno rispetto alle elezioni del 2011. L’affluenza, che ha toccato il 73%, è stata più elevata di quella delle precedenti elezioni.


UN QUADRO POLITICO FRAMMENTATO E LO SCONTENTO DELLA POPOLAZIONE
In termini assoluti Podemos ha raccolto quasi cinque milioni di voti, solo 300mila in meno rispetto al Partito socialista, ed è diventato il primo partito in Catalogna (il partito è favorevole all’indipendenza catalana) e nel Paese Basco e la seconda forza nella comunità valenziana, dove i popolari sono il primo partito. Il Partito socialista, al contrario, ha registrato il peggior risultato della sua storia. L’Andalusia è la regione in cui il Psoe, e il bipartitismo in generale, hanno perso meno posizioni, anche se l’astensione è stata più alta che nelle elezioni del 2011.
Oltre a un quadro politico piuttosto incerto e frammentato, due sono i segnali che emergono chiari dai risultati di queste elezioni spagnoli: il primo è la voglia di cambiamento del popolo spagnolo, che ha premiato i due nuovi partiti Podemos e Ciudadanos e ridimensionato quelli tradizionali. Il secondo è costituito dall’evidente fine del bipartitismo che negli ultimi quarant’anni ha dominato la scena politica del Paese, con l’alternanza tra Psoe e Pp.
Le ultime elezioni, sia europee che regionali, avevano già confermato questo cambiamento. Il PP – che nel 2011 aveva ottenuto quasi il 45 per cento dei consensi – alle elezioni regionali e amministrative dello scorso maggio ha ottenuto nel complesso il 26,7 per cento dei voti, perdendo molti consensi a livello locale (in media due milioni e mezzo di voti). Il PSOE, principale partito di opposizione, non ha saputo raccogliere il diffuso malcontento nei confronti del governo Rajoy. Alle scorse europee i socialisti hanno ottenuto solo il 23 per cento: Alfredo Perez Rubalcaba si era dimesso ed era stato eletto come nuovo segretario Pedro Sanchez. Alle amministrative il PSOE aveva perso circa 700 mila voti.

Negli anni lo scontento della popolazione spagnola nei confronti delle due maggiori forze politiche è cresciuto considerevolmente. A contribuire a questa disaffezione sono stati diversi elementi: innanzitutto la crisi economica: dopo il crollo economico e finanziario iniziato nel 2008, la Spagna è uscita dal tunnel della recessione solo nell’ottobre del 2013. Da allora sono iniziati ad arrivare dati positivi, lenti ma costanti, a cui non è seguito però un aumento della fiducia dei cittadini nel governo. A questo si è aggiunta la questione degli scandali legati alla corruzione all’interno del Pp e le pressanti richieste di rinnovamento interno dei partiti tradizionali da parte della popolazione. Richieste rimaste finora inascoltate, che hanno permesso di spostare l’entusiasmo e l’interesse degli elettori verso nuove forze politiche più trasparenti e vicine al popolo, oltre che a dare una nuova spinta alla voce forte dell’indipendentismo catalano.
I DUE NUOVI PARTITI, PODEMOS E CIUDADANOS
Podemos, nato dal movimento popolare degli “Indignados“ che occupò le piazze di Madrid nel 2011, è stato fondato il 16 gennaio 2014 da Pablo Iglesias, tuttora il portavoce e membro più influente del partito. Iglesias, 37 anni, scrittore, giornalista e accademico, è famoso in particolare per essere il presentatore di alcuni programmi di giornalismo televisivo e per essere stato spesso ospite di numerosi talk show politici spagnoli: è anche un ex membro del Partito Comunista Spagnolo. Iglesias è stato eletto al Parlamento europeo nelle ultime elezioni, le prime a cui ha partecipato il suo partito. Podemos ha ottenuto l’8 per cento dei voti, conquistando cinque seggi e diventando il terzo partito spagnolo appena quattro mesi dopo la sua fondazione.
Il programma politico di Podemos è centrato sull’ambientalismo, sulla lotta alle grandi imprese, alle banche e alla finanza. Prevede incentivi alla piccola impresa, alla produzione locale di cibo, al trasporto pubblico e la nazionalizzazione di gran parte dei servizi pubblici. Podemos non si oppone soltanto all’attuale classe politica spagnola, che chiama “casta”, ma, come Syriza di Alexis Tsipras in Grecia, ha preso anche posizioni molto forti contro l’Unione Europea e la Germania, vista come la causa principale dell’attuale situazione economica del paese.
Ciudadanos è un partito nato in Catalogna nel 2006 con l’appoggio di alcuni intellettuali e noti professionisti: non si dichiara né di destra né di sinistra, ma post-nazionalista e progressista. Pubblica online i dati sui suoi finanziamenti e bilanci e insiste molto sulla questione della trasparenza e della lotta alla corruzione.

Il suo leader è Albert Rivera: classe 1979, ex campione di nuoto e laureato in Giurisprudenza. Dice di rivolgersi soprattutto a un elettorato moderato di centro e di essere a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso (sulle adozioni è un po’ più cauto). Nel 2006 Ciudadanos si è presentato alle elezioni per il parlamento della Catalogna ottenendo 3 seggi. La popolarità del partito da allora è rapidamente cresciuta, così come quella del suo leader. Ciudadanos ha ottenuto buoni risultati alle elezioni regionali e comunali del 2015, superando Podemos che aveva preferito allearsi con varie formazioni locali. Alle elezioni anticipate della Catalogna dello scorso settembre, Ciudadanos è stato il partito più votato tra quelli contrari all’indipendenza.
FUTURO INCERTO
La situazione politica oggi, in Spagna, è quindi tutt’altro che stabile. Dai risultati di queste elezioni risulta che nessun partito ha la maggioranza necessaria per governare: 176 seggi su 350. Per la prima volta dal 1982, in Spagna si dovrà formare un governo di coalizione. Il problema è: quale colazione?
Durante la campagna elettorale i partiti Podemos e Ciudadanos hanno escluso alleanze con i partiti tradizionali (socialisti e popolari). Tuttavia il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, nel suo primo discorso dopo le elezioni ha mostrato un’apertura verso una possibile alleanza: “Saremo determinanti nel formare un governo che cambierà questo paese”, ha detto Rivera ai suoi sostenitori. Ma anche se il Pp si alleasse con Ciudadanos avrebbero comunque una maggioranza molto esile (162 seggi). I socialisti potrebbero ottenere la maggioranza solo con l’appoggio di Podemos e di Izquierda Unida, ma anche con l’appoggio o l’astensione di qualche partito nazionalista. L’unica maggioranza sicura e stabile sarebbe assicurata da una grande coalizione alla tedesca tra i popolari e i socialisti, ma è un’ipotesi alquanto improbabile, perché non fa parte della cultura spagnola.
Se non sarà formato un governo entro due mesi dal primo incarico, saranno convocate nuove elezioni, fatto inedito nella storia democratica spagnola. La partita è ora in mano al re Felipe VI, che dopo le consultazioni, dovrà esercitare la sua persuasione morale sulle diverse fazioni politiche affinché trovino un accordo.
Di certo il messaggio politico uscito dalle urne spagnole esprime un sentimento di sfiducia nelle forme tradizionali di rappresentanza e una spinta al rinnovamento che non è espressione di un solo Paese, ma di gran parte della popolazione europea, in rivolta contro l’élites, l’establishment e i vecchi partiti corrotti. Un messaggio inequivocabile che le forze politiche tradizionali e Bruxelles non possono più ignorare.
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