Il nuovo film su Stonewall non merita un euro
Non lasciate che siano gli altri a dirvi cosa pensare di Stonewall. Guardatelo, fatevi voi un’opinione. Qui negli Stati Uniti non gli hanno dato neanche una possibilità”, così Roland Emmerich, regista del nuovo film Stonewall, rivolto al pubblico italiano, dopo il tracollo ai botteghini negli Stati Uniti.
Ho voluto prendere alla lettera quest’invito e così, armato di buona volontà e curioso di vedere dal vivo l’opera cinematografica sui moti di Stonewall, ho deciso di sedermi direttamente su una poltrona del cinema per verificare le critiche negative. Probabilmente però avrei dovuto più fidarmi della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisex e trans) d’oltreoceano e rimanere a casa. O magari investire quegli 8 euro di biglietto su Captain America o su Il Libro della Giungla, almeno in questi casi la fantasia sarebbe stata giustificabile.
Nel raccontare i moti di Stonewall del 1969, punto di partenza delle lotte dei diritti di omosessuali e transessuali, Emmerich stravolge la verità storica degli avvenimenti. In quel bar – che dà il titolo al film – di Christopher Street a New York, oggi monumento nazionale, iniziava la lotta che avrebbe dato vita a quelle centinaia di manifestazioni che oggi si chiamano Pride. Una folla di persone della comunità LGBT di New York, in quell’occasione, si ribellò infatti alle continue incursioni della polizia presso il bar gay Stonewall. La storia vuole che una drag queen transessuale sudamericana, Sylvia Rivera, simbolo del movimento LGBT, iniziò la rivolta lanciando una bottiglia verso un poliziotto dopo essere stata presa a manganellate.
Nel suo lavoro Emmerich ha però eliminato proprio il personaggio di Sylvia, sostituendolo con un bel ragazzo bianco omosessuale venuto dalla provincia. Nel tentativo forse di voler allargare il proprio pubblico con questa scelta, il regista non si è reso conto che stava eliminando la platea LGBT, ferendola nell’orgoglio. Oggi lo spirito dei Pride risente ancora dell’influsso di Sylvia Rivera e deve alla comunità transessuale le origini delle proprie rivendicazioni. Insomma, è come se Rosa Parks fosse stata eliminata dalle lotte di rivendicazione delle persone nere.
Allo spettatore poi è lasciata la totale interpretazione della differenza tra trans e omosessuale, attraverso il personaggio di Ramona (o Ray al maschile), innamorata e amica del protagonista (che continuerà a chiamarla col nome al maschile per tutto il film). Risulta impensabile, così come è stato pensato quest’ultimo ruolo, che chi guardi la pellicola, soprattutto se era stata ideata per essere rivolta alla massa, possa comprendere le difficoltà di una persona transgender nel 1969.
Spariscono inoltre, come se non bastasse, anche le lesbiche. Anzi no! Ce ne sono due che sembrano siano state messe nella sceneggiatura solo perché “dovevano esserci”. Una forzatura di parità di genere che non fa altro che peggiorare la confusione del lungometraggio.
17 milioni di dollari spesi per qualcosa a metà tra un film di fantascienza e un film per il grande pubblico riuscito male. Forse Emmerich avrebbe dovuto avere un approccio meno legato agli incassi. Non era il caso di ripetere, in versione gay, i grandi successi di Godzilla o Indipendence Day. La rivisitazione storica non funziona nel momento in cui si tocca la spina dorsale del movimento e dei diritti LGBT. Così facendo è stato, di fatto, lasciato per strada, sottovalutandolo, il pubblico che invece avrebbe dovuto sostenere Stonewall. Qualche centinaia di migliaia di dollari di incassi negli USA sono la dimostrazione che la delusione per questa versione di quegli storici fatti non lascerà agli annali del cinema il lavoro di Emmerich.
Non fate il mio errore, rimanete a casa e con quegli 8 euro ordinatevi una pizza, magari guardando l’altro “Stonewall”, pellicola del 1995 nella quale Nigel Finch ci raccontò i moti in maniera molto più autentica.