Gerry, la lezione sulla sottrazione e il tempo di Gus Van Sant
Di ritorno alla sua sperimentazione ammaliante e tenebrosa, il regista statunitense Gus Van Sant lascia alle spalle i successi dei precedenti film commerciali per riavvicinarsi al suo ambiente primo e naturale spinto verso un orizzonte di opere indipendenti dall’atmosfera straniante e, nella sua ombrosità, conturbante. Dietro la macchina da presa, per riprendere il cammino senza meta di due stremati Matt Damon e Casey Affleck, Gus Van Sant compie un primo passo nella realizzazione della sua famosa Trilogia della morte, nella quale il punto massimo di tensione emozionale, sia per il pubblico che per i personaggi, culmina nell’esalazione fatale dell’ultimo respiro.
Gerry e un sentiero senza fine
Gerry è l’inconsueto lungometraggio della nuova fase indipendente del cineasta americano, film del 2002 che silenziosamente segue i passi, lo spaesamento, la disidratazione dei due protagonisti soli sullo schermo avvolti dall’immensità della sconfinata natura, incapaci di ripercorrere la propria strada e destinati a vagare in una realtà mortalmente segnata.
Decisi a percorrere un tortuoso sentiero, i due amici, entrambi di nome Gerry, si perdono nella vastità del territorio incontrato fino a giungere in un afoso quanto arido deserto, costretti in un’impresa in cui lo scopo è quello di tornare ad una meta conosciuta, ma dove si palesa assolutamente chiara l’impossibilità di tale desiderio.
Spettatore come personaggio grazie all’occhio cinema di Gerry
Tramite l’applicazione totale dell’identificazione primaria dello spettatore con l’occhio della macchina cinema, Gus Van Sant fin dal principio del suo film Gerry inserisce nelle lande brulle della Death Valley un pubblico destinato ad un’esperienza di visione. A comandare è il tempo assieme alla sua dilatazione. Come un terzo personaggio partecipe dalla corsa in automobile per la strada sferrata, poi persosi con i due ragazzi nella desolazione di un ambiente non ostile, ma estraneo e imponente, lo spettatore accompagna la camminata dei protagonisti occupando con disinvoltura lo spazio che la dimensione naturale ha da offrire. Prima qualche passo indietro rispetto a uno dei due Gerry, poi più vicino fino a tracciare una mappa con le linee che il sudore ha solcato sulle loro tempie, per finire lontano come uno sguardo onnipotente che scaglia quelle minuscole figure dentro un paesaggio solenne.
In un’educazione alla visione placida e distesa nella quale domina la creazione riproduttiva cinematografica, l’operazione del regista è un lavoro di sottrazione dove vengono ad asciugarsi elementi, strutture e consuete impalcature, rinnegando inutili complessità ed elevando il film alla pura forma. Sottrazione che si rende chiara nel procedere della pellicola, da un inizio punteggiato da cespugli di verde smorzato per poi giungere ad una distesa vuota, piana, morta, dove i personaggi – pur nella loro mobilità – si ritrovano definitivamente statici, come frenati dall’impossibilità di procedere in avanti.
La sottrazione di Gerry tra scarsi dialoghi ed espansione temporale
E Gerry si asciuga delle montature convenzionali tanto da presentarsi con due protagonisti, ma un solo nome. Così facendo priva quei ragazzi di un passato, di un futuro e di un presente che possa appigliarsi a qualsiasi senso del reale, un percorso con pochi stracci di dialogo e una reminescenza dell’assurdità beckettiana.
Avvalendosi di una massiccia presenza della macchina da presa, il film crea i suoi spazi con panoramiche monumentali, timelaps e un’estensione temporale che si fa asse portante dell’intera pellicola, un’espansione che Gus Van Sant rende, con i mezzi cinematografici, punto nevralgico di Gerry, scritto con la collaborazione degli stessi Matt Damon e Casey Affleck. Un cammino che parte svantaggiato eppure prosegue oltre i minuti dell’opera, collegato da quella stella gialla sulla maglia di Affleck che, come una premonizione, porterà conseguentemente allo svolgersi di Elephant, secondo film della Trilogia della morte, seconda passeggiata per i suoi protagonisti.
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