The Cure, Disintegration: 30 anni di disperata bellezza

The Cure, Disintegration : un disco sontuoso e disperato.

 

The Cure, Disintegration CoverSono passati 30 anni da quel lontano 1989: i favolosi anni ’80 erano agli sgoccioli e stavano per lasciare il posto alle ombre dei ’90. L’inquietudine del nuovo millennio iniziava a farsi sentire sempre più prepotente nella musica e nella cultura di massa e i The Cure erano già un gruppo affermato, riempivano gli stadi e partecipavano a format televisivi di successo.

Sembravano piuttosto lontani gli esordi della band, il rock “oscuro” per pochi eletti e quell’aria più dark avevano lasciato spazio a un rock più melodico e, se vogliamo, più fruibile alla massa e all’ascoltatore più generico.

A questo punto della carriera dei The Cure vede la luce Disintegration, un disco sontuoso che ancora oggi a 30 anni di distanza è un grado di affascinare gli ascoltatori di mezzo mondo grazie a quella disperata malinconia di cui è intriso e grazie, ovviamente, ad alcuni brani che diventeranno capisaldi della produzione artistica di Robert Smith e soci.

Disintegration è un disco che nasce da un sogno di Smith e dalle paure del frontman dei The Cure. Coniugando questi due fattori la risultante è un disco che si sviluppa come una sorta di viaggio sonoro nel proprio io; un percorso interiore alla ricerca di un qualcosa, di una luce forse, perduto tra le pieghe più oscure della propria anima.

Questo potrebbe essere considerato un disco “autunnale”, da ascoltare in una giornata di novembre, con il cielo coperto e la pioggia che ticchetta sui vetri delle finestre.

Il capolavoro dei The Cure.

Il disco si apre con Plainsong, un brano che si snoda tra psichedelia dall’anima orchestrale e un tetro romanticismo ricco di sfumature sonore ricercate e intriganti. Robert Smith ci introduce così in quelle che saranno le “nuove” sonorità dei The Cure: meno dark e più di ampio respiro, se vogliamo, che spaziano cioè su esperienze sonore diverse.

Tocca poi a Pictures Of You, un brano malinconico e struggente che resterà nella storia, forse, come uno dei brani più belli di sempre. Qui emerge l’anima più “pop” dei The Cure, un pop ossessivo e circolare che stordisce e affascina.

Il brano numero tre del disco è Closedown: percussioni e tastiere che si incastrano a costruire un tappeto sonoro corposo alternate a queste chitarre lisergiche. Un brano a livello testuale più vuoto rispetto ai precedenti ma comunque non meno struggente.

Tocca adesso alla famosissima Lovesong, da molti definito il brano pop per eccellenza. Un pezzo che non ha bisogno di presentazioni e che ancora oggi è tra i cavalli di battaglia dei The Cure.

Last Dance assume toni più post-punk rispetto al brano precedente e sembra smorzare quasi i toni “sognanti” di Lovesong per raccontare la metafora di un addio costruita sul tema di un ultimo ballo. Un brano suggestivo con una serie di sfumature sonore affascinanti che sembrano richiamare gli anni ’80.

Lullaby è un altro pezzo che non ha bisogno di presentazioni. Anch’esso è ancora oggi uno dei brani di punta della band. Lullaby è sicuramente un pezzo molto orecchiabile e ricco di suggestioni, una sorta di filastrocca dai toni cupi che segna un ritorno all’infanzia.

Si continua con la rabbiosa e tagliente Fascination Street, un brano che si distacca molto dai toni più moderati di Lullaby o Lovesong che, ai tempi, chiudeva il primo lato del vinile di Disintegration.

Il lato B del vinile.

La seconda parte del vinile si apriva all’insegna di atmosfere, se possibile, ancora più autunnali e di quel “grigiume” suggestivo che impregna tutto questo disco.

The Cure, Disintegration

Prayers For Rain è un brano struggente che si sviluppa all’insegna di un riscatto che potremmo dire purificatore. Siamo davanti a un pezzo che avvolge l’ascoltatore e tiene a se per tutta la sua durata, quasi stritolato tra le spire di questo brano memorabile.

Tocca poi a The Same Deep Water As You. Viene considerato uno dei brani più intensi e struggenti del disco e del rock in generale. Un pezzo cupo e solenne che si muove a rilento in questo cantato quasi a mo’ di litania funebre. The Same Deep Water As You è uno di quei brani profondi che affascinano e spaventano allo stesso tempo.

Arriva la title track, Disintegration, un brano rabbioso e incalzante, un grido disperato e dolente. Disintegration sconvolge dall’interno e lacera come se Robert Smith urlasse al mondo questa disintegrazione di un rapporto.

Si continua con la struggente e malinconica Homesick. Quasi un momento di quiete e di nostalgia che prova a placare la disperazione di questo Disintegration.

Chiude il disco Untitled, la pace che sembra arrivare con l’ultimo brano o quantomeno una sorta di rassegnazione. Un brano “pallido” ma comunque una sorta di raggio di luce nell’oscurità che ci ha accompagnato dall’inizio alla fine di Disintegration. Una nuova speranza, forse, o comunque l’auspicio di continuare a scrivere la propria storia, nonostante tutto.

Uno dei dischi fondamentali della storia del rock

Si chiude così uno dei dischi migliori della storia del rock e, secondo alcuni, l’ultimo grande album dei The Cure. Disintegration è un’opera senza tempo che ancora oggi, dopo 30 anni, resta una pietra miliare della musica.

I The Cure hanno composto un disco magnifico, struggente e intenso che dovrebbe essere uno degli ascolti fondamentali per ogni appassionato di musica.

 

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Fonte immagini: Rolling Stones

Mirco Calvano

La musica è la mia passione: sul palco dietro una batteria e sotto al palco in un mare sterminato di dischi. Laureato in Letteratura, Musica e Spettacolo e in Editoria e Scrittura a La Sapienza di Roma, passo il mio tempo tra fogli bianchi, gatti e bacchette spezzate. CAPOSERVIZIO MUSICA

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