Il caso Consip: un ritratto del sistema di potere renziano
Quando, quasi dal nulla, il nostro cervello viene sommerso di giorno in giorno da informazioni sempre più numerose sullo stesso argomento, è facile perdere di vista il nodo della questione, smarrendosi nel flusso di particolari che man mano si aggiungono. È proprio ciò che rischia di capitare con il caso Consip. Il profluvio di dettagli sull’inchiesta giudiziaria di queste ultime due settimane rischia infatti di far dimenticare il quadro generale. Per questo motivo l’interesse per ogni nuova notizia sul tema deve sempre essere accompagnato dal riassunto dei fatti (anche satirico, come quello proposto venerdì da Maurizio Crozza).
LE TANGENTI DIETRO L’APPALTO PIÙ GRANDE D’EUROPA.

La vicenda della centrale acquisti della pubblica amministrazione rappresenta innanzitutto una nuova testimonianza della buona salute della corruzione. Sì, quel fenomeno che ogni anno ci costa un numero imprecisato di miliardi, sicuramente superiore alle cifre di qualsiasi finanziaria. Il primo filone dell’inchiesta avviata dai magistrati di Napoli e di Roma riguarda infatti le tangenti pagate a Marco Gasparri, dirigente Consip, da Alfredo Romeo.
Gasparri ha già confessato di aver ricevuto dall’imprenditore napoletano, dal 2012 al 2016, una cifra che si aggira tra i 100 e i 150mila euro. In cambio – ha sostenuto – lo avrebbe favorito anticipandogli diversi dettagli sui bandi per l’assegnazione di alcuni lotti dell’appalto FM4, il più importante tra quelli messi a concorso dalla Consip, dal valore complessivo di 2,7 miliardi (il più grande d’Europa).
Le parole messe a verbale da Gasparri sembrano trovare un chiaro riscontro negli esiti dell’appalto (non ancora definitivi, anche a seguito dell’intervento della magistratura). La società di Romeo è infatti risultata la prima nella graduatoria di tre lotti da 609 milioni di euro totali. È per questo che i pm stanno pensando di chiedere il giudizio immediato per l’imprenditore, in carcere da due settimane.
DALLA CONSIP A TIZIANO RENZI.
L’inchiesta non si è limitata a questo episodio di corruzione. Ricostruendo il «sistema Romeo», i pm hanno infatti individuato un’altra via usata dall’imprenditore per influenzare i dirigenti Consip. Si tratta del suo stretto rapporto con Carlo Russo, faccendiere di Scandicci attivo nel settore della farmaceutica.
Russo perorò la causa di Romeo pressando altri funzionari della società pubblica. Lo conferma in particolare il verbale dell’interrogatorio di Luigi Marroni, da giugno 2015 amministratore delegato della Consip, che ha raccontato diffusamente ai pm le intimidazioni subite a più riprese.

Ma come poteva un privato cittadino come Russo spaventare un amministratore pubblico del calibro di Marroni? Secondo lo stesso dirigente, continuando a ricordargli che la sua nomina era dovuta anche al padre dell’allora presidente del Consiglio, ovvero a Tiziano Renzi, babbo di Matteo, che avrebbe parlato più volte all’ad di Consip dell’amico Russo, suo compagno di pellegrinaggio a Medjugorje.
A questo punto il discorso si fa delicato. Oltre che da queste parole, secondo i pm, il coinvolgimento di Tiziano potrebbe essere provato anche dai fogli volanti in cui Romeo sembra voler ricompensare due persone: «T.», con 30mila euro al mese, e «R.C.», con 5mila euro ogni due mesi. Per gli investigatori, il primo destinatario sarebbe Renzi senior, il secondo Carlo Russo. Come osservato a più riprese, fondata soltanto su queste basi, l’accusa di traffico di influenze illecite pare sostenibile soltanto per Russo (sorpreso più volte a parlare con Romeo del suo compenso per le sue azioni); senza una traccia tangibile della ricompensa di Romeo, gli indizi al momento non paiono invece così stringenti contro Tiziano Renzi. Diverso è tuttavia il discorso a livello politico, soprattutto se si prende in considerazione il secondo filone del caso Consip.
LA FUGA DI NOTIZIE E IL «GIGLIO MAGICO».
Esso riguarda le soffiate che hanno allertato gli indagati, danneggiando l’inchiesta. Da un lato abbiamo le precauzioni assunte dai protagonisti della vicenda. Tre su tutte: il già ricordato utilizzo di pizzini da parte di Romeo; l’eliminazione delle cimici piazzate nell’ufficio di Marroni; infine, la telefonata con cui lo scorso 7 dicembre Roberto Bargilli, l’autista del camper usato da Matteo Renzi nel 2012 durante la campagna delle primarie del Pd, ha suggerito a Russo di non telefonare più a Tiziano.

Dall’altro lato abbiamo le dichiarazioni dello stesso Marroni. Il dirigente ha sostenuto di essere stato avvisato dell’indagine, nella seconda metà del 2016, da quattro persone, ovvero: 1) Luigi Ferrara, presidente di Consip (che ha dichiarato di essere stato avvertito da Tullio Del Sette, comandante generale dei carabinieri); 2) Emanuele Saltalamacchia, comandante della legione toscana dei carabinieri; 3) Luca Lotti, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ora ministro per lo Sport; 4) Filippo Vannoni, presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e dei comuni toscani, che ha attribuito a sua volta a Lotti la soffiata, tirando in ballo genericamente anche Matteo Renzi.
Sulla base degli interrogatori, al momento risultano indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento i due comandanti e Lotti.
Proprio la posizione di Lotti rende manifesto il livello politico del caso Consip. Anche tralasciando le ipotesi più fragili dell’inchiesta e le dichiarazioni non verificate (come quella del commercialista napoletano Alfredo Mazzei, che ha sostenuto che Renzi senior, Romeo e Russo si sarebbero incontrati in una «bettola romana»), è evidente che la vicenda ruota intorno al cosiddetto «Giglio magico». Partendo dalla corruzione di Romeo, è un attimo arrivare al braccio destro di Matteo Renzi, Lotti; basta passare per l’amico di famiglia, Russo, e per il padre, Tiziano, sponsor dell’ascesa di Marroni in Consip.
VERDINIANI E RENZIANI, ANCORA INSIEME.
La rilevanza politica del caso trova riscontro nel coinvolgimento di altri due personaggi di spicco. Quello del napoletano Italo Bocchino, il finiano indagato a sua volta per traffico di influenze, non modifica eccessivamente il quadro. Al contrario, il suo appoggio alla candidatura di Romeo a salvatore de L’Unità conferma quanto emerge in generale dall’inchiesta. Esso infatti testimonia quanto la politica italiana spesso sembri preoccuparsi più dell’interesse del singolo che di quello della collettività.

Il coinvolgimento di Denis Verdini invece mette nuovamente in risalto la centralità delle compagnie toscane nella vicenda. Il parlamentare di Ala non risulta indagato, ma è stato chiamato in causa da Marroni, suo amico di vecchia data. L’ad di Consip ha affermato che, nel minacciarlo, Russo ha fatto riferimento all’appoggio offerto alla sua carriera anche da Verdini.
Marroni ha messo a verbale anche che il senatore, tramite diverse visite di Ignazio Abrignani, deputato del suo stesso gruppo parlamentare, avrebbe sponsorizzato il maggior concorrente di Romeo nei bandi Consip, l’azienda francese Cofely, vincitrice, come l’imprenditore napoletano, di diversi lotti dell’appalto. Verdini ha negato ogni addebito, ricordando che Abrignani è legale esterno di una delle società legate a Cofely; la circostanza tuttavia palesa quantomeno il conflitto di interessi del rappresentante di una candidata alla vittoria di un bando pubblico che incontra l’amministratore delegato dell’azienda che gestisce l’appalto.
UN RITRATTO DEL RENZISMO.
Di fronte a questo panorama, ricordando l’appoggio del gruppo dei verdiniani all’ultima fase del governo Renzi, pare impossibile non concordare con quanto scritto da Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia:
«Il quadro disegnato da Marroni prospetta […] un intreccio di interessi privati intorno ad appalti pubblici da centinaia di milioni. Mostrando che intorno alla torta Consip hanno cercato di sedersi parlamentari, familiari e presunti mediatori legati, o ragionevolmente vicini, all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Attraverso pressioni, minacce, promesse che nulla hanno a che fare con il normale svolgimento di un bando di gara. Una ricostruzione, ricordiamolo, ancora tutta da provare. Ma che getta un’ombra sul sistema di potere renziano negli ultimi tre anni. E che colpisce alle radici il «Giglio magico», per l’ennesima volta investito dal sospetto di conflitti d’interessi, di pulsioni affaristiche, di commistioni tra politica e affari, di contiguità con politici come Verdini».
Mutatis mutandis, il sistema che emerge finora è lo stesso che ha descritto Davide Vecchi durante il governo Renzi. Con un nuovo dettaglio, finora lasciato in secondo piano: il possibile rapporto tra questo sistema e le forze armate.
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