Il Muro del Canto, Alessandro Pieravanti ci racconta la Roma Maledetta
Alessandro Pieravanti, voce narrante e percussioni de Il Muro del Canto, ci racconta l’ultimo lavoro in studio della band
L‘amore mio non more è l’ultimo disco de Il Muro del Canto: un lavoro intenso e affascinante che va a confermare questa band come una delle realtà musicali più solide del nostro paese.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Alessandro Pieravanti, voce narrante e percussioni della band, che ci ha raccontato come nasce questo disco e come è cambiato Il Muro del Canto.
L’amore mio non more, come nasce questo disco e cosa vuole raccontare?
L’amore mio non more è il nostro quarto disco e nasce da tutte le canzoni che abbiamo scritto negli ultimi due anni. Per noi è un disco un po’ particolare perché ha dei nuovi spunti stilistici, anche per dare un qualcosa di nuovo alle persone che ci seguono; dopo tre dischi di questo folk molto riconoscibile abbiamo cercato di trovare nuovi stimoli. Fondamentalmente sono canzoni d’amore che però, nel raccontare questo amore, raccontano poi quelle che sono delle dinamiche sociali.
Cosa è cambiato da Fiore De Niente? Come siete cambiati voi?
Mah, fondamentalmente, sono cambiati i tempi, quello che ci succede intorno e naturalmente questo influenza anche le nostre canzoni. Noi siamo cresciuti, siamo invecchiati [ride] in senso positivo perché siamo ancora giovani, ma il tempo passa e questo è un tema centrale disco proprio perché il tempo passa anche per noi.
La scelta di queste nuove scelte stilistiche e (forse) di questi nuovi generi di riferimento, da cosa è stata dettata?
Essenzialmente dalla voglia di esplorare nuovi territori e cercare nuovi stimoli.
Ho notato anche una maggiore complessità nelle parti ritmiche, giusto?
Sì perché ho deciso di cambiare un po’ l’approccio agli arrangiamenti ritmici dei brani, per regalare nuove ritmiche alla band. In questo caso sono state suonate più con la batteria che con il mio solito set di percussioni e quindi il risultato è quello che hai sentito nel disco; questo implica che nel tour dovrò usare delle soluzioni diverse, ibride, per cercare di replicare al meglio le sonorità del disco.
Uno dei temi ricorrenti del disco è il tempo. Troviamo la Roma del ‘900, Il tempo perso e la stessa copertina del disco raffigura l’orologio. Che rapporto c’è tra Roma e il tempo?
Roma è il tempo, nel senso che fondamentalmente è una città che rappresenta bene sia il passato che il presente, diciamo che sprizza da tutti i pori queste suggestioni relative al tempo che passa perché ci si trova tra dei monumenti del passato e una modernità che avanza.
Il gioco poi è sempre quello che facciamo noi nel cercare di attualizzare le cose che sono legate al passato, come l’attitudine popolare, le tradizioni e le nostre radici.
Voi che rapporto avete col tempo?
Mah, noi lo subiamo come tutti nella maniera sia positiva che negativa come fanno un po’ tutti. Poi c’è qualcuno di noi che sta per arrivare ai 40 anni o qualcuno che è già arrivato e, giustamente, ci si inizia a porre delle domande perché non siamo più dei ragazzini [ride].
Il primo dei monologhi del disco è Roma Maledetta. Perché secondo te questa città è maledetta? Da dove viene questa brama di sangue?
Mah in realtà io non credo che la città sia maledetta: Roma Maledetta è un gioco in cui si cerca di raccontare una storia attraverso tutti i fatti di cronaca nera, dal fratricidio di Romolo e Remo fino ad oggi; però è solo un escamotage per concludere il brano dicendo che la Roma che ci fa paura è quella indifferente. Il senso è: possono succedere tutte le cose più tremende che ci influenzano in negativo ma poi è l’indifferenza delle persone il vero problema.
E secondo te quale potrebbe essere una “cura” per questa indifferenza?
Secondo me una cura potrebbe essere interessarsi delle cose che succedono, interessarsi dell’altro e delle problematiche sociali. Porre attenzione anche verso le cose che sono di estrema attualità come le problematiche di chi viene da lontano, le problematiche di chi si trova senza casa; sono tanti gli aspetti su cui non bisogna essere indifferenti.
Pensi che la musica possa dare una mano in questo?
Penso che la musica possa fare qualcosa, sì, come penso che possano fare qualcosa tutte le arti.
La musica, il teatro, il cinema e via dicendo, almeno questo è il nostro modo di concepire un atteggiamento artistico.
Sono diversi anni che Roma è tornata un po’ al centro della cultura. Negli anni passati sembra quasi che l’asse della cultura si fosse spostato verso il nord, ma adesso sembra tornato nella Capitale, no?
Sì, Roma è tornata un po’ al centro e c’è una grande attenzione per quanto riguarda la cultura. È un bel momento, c’è un bel fermento artistico ed è una cosa che mi fa piacere perché ci sono molti incontri che facciamo che ci danno nuovi stimoli.
Roma Maledetta, la Roma di Suburra, quella dei palazzinari, degli imperatori o di Pasolini. Quante facce può avere una città come Roma? Voi come vivete questa città?
Roma ha tantissime facce. Noi la viviamo con amore e odio, con tutte le contraddizioni del caso: siamo in estasi per le bellezze che ci offre questa città e per le relazioni positive che si sviluppano; la viviamo con dispiacere invece quando vediamo Roma diventare teatro di atti di intolleranza o quando diventa invivibile per le solite problematiche note a tutti tipo il traffico, le buche, la mobilità, la mondezza e via dicendo [ride].

Qual è il brano o il racconto de Il Muro del Canto che, secondo te, descrive meglio il vostro percorso artistico e perché?
Questa è una domanda estremamente complessa [ride]. Proprio perché non ti so rispondere ti dico Luce Mia, che è una dichiarazione d’amore nei confronti di una donna immaginaria ma forse anche una dichiarazione verso la musica che facciamo e verso il pubblico che ci segue. Ecco Luce Mia credo che resta il brano più rappresentativo de Il Muro del Canto.
Quindi, secondo te, come si è evoluta la vostra canzone partendo proprio da Luce Mia fino ad arrivare alla title track del disco?
Sì il nostro percorso artistico si è evoluto molto nel tempo, ma ha comunque degli elementi molto saldi che sono sempre gli stessi, diciamo. Possiamo dire che Il Muro del Canto è per noi come un figlio cresciuto bene, probabilmente ora è maggiorenne e ci sembra maturo, chissà cosa verrà dopo.
In questo disco emerge anche un forte senso di nostalgia: la Roma del ‘900, quella delle borgate. Qual è la Roma che ti manca? E quella che invece proprio non rimpiangi?
La Roma che manca è quella popolare buona, quella di Testaccio, di Trastevere, di San Lorenzo, di Garbatella; la Roma di quei quartieri storici dove il termine popolare era un complimento, una realtà positiva dove le tradizioni sono ben salde, dove si mangia la vera cucina romana e dove i nonni raccontavano ai nipoti della storia antica. Una Roma che c’è ancora ma non quanta ne vorremmo ed è una Roma che vorremmo che non sparisse.
La Roma che non ci manca è quella intollerante, quella della gente che litiga sull’autobus, quella razzista e la Roma che non accoglie; ecco quella è la Roma che proprio non ci piace.
Nel disco precedente c’era il brano Figli come noi che oggi è ancora tristemente attuale. Ne L’amore mio non more troviamo Cella 33. Il muro del canto si è sempre schierato apertamente su queste tematiche. Pensi che sia importante affrontare questi temi con la musica? In quanti si schierano apertamente?
Fortunatamente non siamo gli unici e ci sono un sacco di artisti che ci mettono la faccia. Prendi il video di Figli come noi dove appaiono molti dei nostri amici e colleghi: Zerocalcare, Elio Germano, Chef Rubio e molti altri. Quello che voglio dire è che molti c’hanno voluto mettere la faccia e che fortunatamente sono delle tematiche che non devono e non vengono lasciate sole.
Noi continueremo a farlo da tutti i lati: che si tratti di problematiche legate agli abusi da parte delle Forze dell’Ordine o che riguardi la situazione dei detenuti nelle carceri; noi siamo stati molte volte a suonare in carcere e continuiamo a tenere alta l’attenzione su questi temi.
Avete collaborato con diversi nomi della scena romana, hai appena citato Zerocalcare, Chef Rubio e via dicendo. In che rapporti siete con la scena culturale della Capitale?
Io direi in ottimi rapporti, fortunatamente siamo persone che si contaminano a vicenda e che instaurano diverse relazioni. Poi non si può essere in relazione con tutti, però diciamo che c’è un bel movimento.
Ricordiamo anche la collaborazioni con Piotta per Sette Vizi Capitale e gli Assalti Frontali con Il Lago che combatte.
Sì, sono state delle esperienze molto positive e sicuramente degli spunti di crescita molto interessanti. I due brani che hai citato sono diventati, tra l’altro, molto seguiti e molto importanti per la città perché trattano due temi molto importanti per Roma. Sono state due grandi esperienze.
E pensi che una serie o un film come Suburra possa essere d’aiuto per mettere in luce la situazione del malaffare del nostro paese o pensi che possa essere solo fiction?
Io penso che questo tipo di approfondimento debba essere lasciato a chi fa davvero approfondimento: chi fa documentari, chi fa giornalismo e via dicendo. La fiction, seppur ispirata a fatti di cronaca, resta comunque finzione e resta un qualcosa che racconta una storia per il semplice gusto della narrazione piuttosto che dell’informazione, ecco.
Ben venga che si parli di queste storie anche nella fiction, poi però chi vuole approfondire e saperne di più approfondisce attraverso altre fonti.
Parlando di Sette Vizi Capitale secondo te in che condizioni si trova Roma adesso?

Forse non nella migliore delle condizioni [ride], poi ognuno ha la sua valutazione personale, io rispondo per me e non per il resto della band però, per quanto mi riguarda, io non sono soddisfatto delle condizioni di Roma e dell’Amministrazione. Si può fare di meglio e spero che chi verrà dopo possa lavorare meglio di adesso.
Da dove nascono i tuoi racconti? Cosa ti fa dire Domenica a pranzo da tu madre, piuttosto che Roma Maledetta o Er Funerale?
Sono tutte esperienze vissute in prima persona, Domenica a pranzo da tu madre ne è l’emblema perché là racconto la mia famiglia; Er Funerale era più un modo per me per esorcizzare la paura della possibilità di perdere qualcuno. Roma Maledetta è più un esercizio di stile, un gioco, per vedere se fossi riuscito a raccontare Roma attraverso dei fatti che l’hanno scossa. Diciamo sono un osservatore e racconto le cose che vedo intorno a me e che, spesso, mi riguardano in prima persona.
Nella lista delle date del tour de L’amore mio non more non c’è ancora Roma. Puoi darci qualche anticipazione su quando ci sarà la data e su cosa avete in mente?
Sì, ancora non c’è perché la data di Roma sarà un qualcosa di speciale che verrà annunciata a breve. Stiamo lavorando per fare un qualcosa di unico ma non posso anticiparti niente.
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