Il re leone, il ruggito copia e incolla di Jon Favreau
Remake del Classico Disney del 1994, Il re leone torna in sala con una strabiliante animazione fotorealistica computerizzata
In un anno cinematografico in cui la Disney – compresi tutti i suoi gruppi sussidiari – sembra davvero voler dominare il mercato tra remake con attori reali dei suoi classici animati (Dumbo, Aladdin), film originali Pixar (Toy Story 4) o cinecomic Marvel (Captain Marvel, Avengers: Endgame e Spider-Man: Far from home), arriva in sala un prodotto nuovissimo e vecchissimo al tempo stesso. I più per comodità lo definiscono un remake live action de Il re leone (32º Classico Disney datato 1994), ma di fatto di live action questo film non ha praticamente nulla. Alla regia è infatti stato chiamato Jon Favreau, già dietro il remake de Il libro della giungla, il cui approccio tecnologicamente innovativo è stato ne Il re leone applicato in misura maggiore e in maniera assai più sorprendente.
Sinossi
La trama rimane la stessa del classico animato. Simba, figlio di Mufasa e principe delle Terre del Branco, è destinato a prendere il posto del padre come re. Peccato che il fratello minore di Mufasa, Scar, complotti per tradire tutti loro, tanto che il giovane Simba sarà costretto all’esilio. Il leoncino diventerà adulto lontano dal branco insieme ai suoi nuovi spensierati amici Timon e Pumbaa. Almeno fino a quando la sua amica di infanzia Nala lo rintraccerà per caso, mettendolo di fronte al suo dovere: affrontare Scar e riprendere il posto che gli spetta come legittimo re.
Uno straniante déjà-vu
A differenza di altri remake Disney che hanno scelto un adattamento più libero (vedi Cenerentola) o più fedele con pochi cambiamenti (vedi La bella e la bestia), con Il re leone si è scelta una terza strada ancora: quella della riproposizione quasi shot-for-shot del cartoon di partenza (pur mixando anche un po’ del musical di Broadway), generando un effetto straniante di déjà-vu. Straniante, perché la strabiliante animazione fotorealistica computerizzata usata da Jon Favreau per il suo Il re leone ispira sì stupore e ammirazione, ma al tempo stesso non può che lasciare perplessi per la scelta di far recitare un copione ultra potente di impronta shakespeariana a degli animali da National Geographic, che poco hanno a che spartire con l’espressività che un’animazione più classica (bidimensionale o digitale che sia) riesce a offrire.
Nuova tecnologia per emozioni riciclate
Visivamente validissimo (come già lo era il film del 1994) grazie alla restituzione al tempo stesso realistica e poetica della bellezza e del calore dei paesaggi africani, il nuovo Il re leone trova senso d’esistere solo nel suo apparato tecnologico da 10 e lode, che sì stupisce ma non osa narrativamente.
Si potrà anche versare qualche lacrima col film di Jon Favreau, si potrà anche ridere in più di un’occasione (particolarmente simpatica una scena citazionistica con Timon e Pumbaa che non andremo a svelare), ma si tratta alla fine dei conti di emozioni di seconda mano, che attingono alla nostalgia prima che a quello che passa sullo schermo. Se la creatività narrativa è stata sacrificata sull’altare del già certo, anche l’immedesimazione – resa solitamente possibile non solo da personaggi ben scritti ma anche da recitazione ed espressività – non può che aggrapparsi ai ricordi di quanto già visto, e questo a causa dei nuovi protagonisti animali che ben poco vengono in questo senso in aiuto.
Come dire che il nuovo Il re leone è un film indubbiamente bello da guardare, con una storia meravigliosa da seguire, ma così “mal recitata” da lasciare di fatto freddi, se non fosse per l’affetto che lega al film del 1994. Togliendo per assurdo l’audio al film, capiremmo non molto di quello che passa per la mente e il cuore dei protagonisti. Ed ecco che di conseguenza il doppiaggio risulta essenziale, più ancora che in altri film d’animazione.
L’importanza del cast vocale
Se il cast vocale originale è di primaria grandezza, quello italiano si avvale di Marco Mengoni per la voce e il canto di Simba adulto, di Elisa per Nala, Luca Ward per Mufasa, Massimo Popolizio per Scar, Edoardo Leo e Stefano Fresi per Timon e Pumbaa. Sorprendono positivamente quest’ultimi, a loro agio in entrambi i compiti affidatigli, e si confermano una certezza Ward e Popolizio. Riguardo invece Mengoni ed Elisa, pressoché perfetti nei brani cantati, viene da chiedersi perché si sia deciso di farli anche recitare, visto che l’inesperienza di entrambi affiora in maniera evidente e di doppiatori professionisti bravi certo in Italia non ne mancano.
La squadra canora esegue i pezzi che già ben conosciamo dal Classico originale, tra nuovi adattamenti riusciti (L’amore è nell’aria stasera) e altri meno (Sarò re), confermando la validità di una colonna sonora che non a caso a suo tempo vinse due Oscar, ora arricchita soprattutto dal brano originale Spirit.
Il grande Cerchio della Vita (e dell’Arte)
Nel grande Cerchio della Vita, in cui “quando moriamo, i nostri corpi diventano erba, e le antilopi mangiano l’erba, e così siamo tutti collegati”, Il Re Leone di Jon Favreau dichiara in più di un’occasione la consapevolezza della sua natura di remake di un cult di cui si nutre per rigenerarsi, offrendo alla Settima Arte una tecnologia mai vista prima a tali livelli, tralasciando tuttavia un fatto fondamentale: il primo Il re leone non è affatto “morto”.
Da parte nostra a questo punto non possiamo che sperare che il cerchio si ricongiunga, riportando alla riscoperta del passato, lì dove l’arte animata è sì meno tecnologicamente avanzata, ma anche più palpitante. Un ruggito che, nonostante siano passati 25 anni, non ha ancora smesso di raccontare ed entusiasmare.
Il re leone sarà al cinema dal 21 Agosto con Walt Disney Pictures
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