La querelle Giornale-Marcegaglia

Ebbene, l’arcano è svelato. I dubbi si sono dissolti. L’angoscia dell’astratto si è trasformata in trasparente realtà. Parole, intercettazioni, dossier, articoli, minacce e perquisizioni hanno dato modo al Giornale di farsi un poco di pubblicità e gli altri quotidiani – nessuno escluso – come caproni gli hanno dato corda; ed oggi, ben gli stà, proprio il quotidiano di Feltri ha risposto pubblicando undici articoli non suoi, ma di Repubblica, L’espresso, l’Unità e del Fatto Quotidiano. E sono proprio questi scritti che comporrebbero il misterioso dossier di cui tanto s’è parlato negli ultimi 2-3 giorni. La domanda forse sorge spontanea: siamo sicuri che non sia stato un escamotage, usato dal trio Feltri, Sallusti e Porro per abbassare un poco i toni nei loro confronti e far cambiare direzione ad una polemica che stava vertendo sull’utilizzo dei dossier come arma da minaccia?

Ecco, è proprio questo il problema. Sin da subito devo dire che la perquisizione al Giornale mi è sembrata assolutamente eccessiva e inutile, perchè, in ogni caso, non sarebbero così deficienti da tenere del materiale che “scotta” nei cassetti delle scrivanie della redazione. Checché se ne dica, sono più furbi di quanto si immagini. E ciò che oggi pubblicano ne è la prova lampante.
Ma dicevamo del problema. Bene. Quello che è da rimproverare al giornale della famiglia B. – nel cui gruppo sembra però comandare Confalonieri e non colui che possiede la quota maggiore, ovvero Paolo B. – è il metodo minatorio che usa. L’ avvertimento preventivo. Ci siamo già passati con Fini, quando, l’estate scorsa, gli era stato intimato di ritornare in carreggiata o sarebbero partiti dei dossier su di lui. Questo è quello che non accetto. Questo è quello che tutti dobbiamo respingere. Le notizie, se si hanno, si pubblicano. Punto. Non può esistere il ricatto. Non deve esserci l’avvertimento o l’intimidazione. Se la Marcegaglia ha degli sheletri nell’armadio – e credetemi che ne ha – e un giornalista lo scopre, ebbene quest’ultimo deve sentirsi OBBLIGATO a pubblicare tutto senza prima avvertire l’interessato; se no che differenza c’è fra questo e il metodo Corona? Con che faccia una si presenta come “giornalista” se in realtà ha semplicemente una serie di pistole cariche e pronte a sparare quando il padrone lo comanda? Non è giornalismo questo. E mi dispiace per chi, magari, fa queste inchieste che poi non vengono pubblicate sino al momento del bisogno e solo per questo, e non per la bravura del reporter. C’è una frase di Mario Borsa che è illuminante e che, anche se pronunciata in tempi abbastanza remoti, è sempre attuale:

“Dite sempre quello che è bene anche se non va a genio ai vostri amici,
dite sempre quello che è giusto anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita.
Siate dunque indipendenti e chinatevi solo davanti alla libertà,
ricordandovi che prima di essere un diritto,
la libertà è un dovere”

Mario Borsa, ai suoi colleghi giornalisti!

GIAMPAOLO ROSSI
giampross@katamail.com

Giampaolo Rossi

Residente a Belluno, studia all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna alla facoltà di Lettere, con indirizzo storico, per poi specializzarsi in giornalismo. giampross@katamail.com

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