L’amara realtà
Troppo facile oggi dire che «la manovra non ci soddisfa, è una tornata di nuove tasse»; troppo facile affermare che «non è la manovra che avremmo fatto»; troppo facile dichiarare che «era davvero difficile immaginare una manovra più ingiusta di questa»; troppo facile poi sostenere – come ha fatto il più grande spudorato di tutti i tempi – che le stesse misure che ora fanno storcere il naso a molti, se avesse avuto tempo, le avrebbe fatte anche lui. Troppo facile per la classe dirigente italiana (ho escluso qui lacchè come l’Udc di Casini, oltre che oppositori pro domo loro come i leghisti) che ci ha portato fino a questo punto lamentarsi dei provvedimenti presi dal governo Monti, come se a parlare fosse il primo italiano che passa, fermandosi a chiacchierare con i soliti amici al bar. Troppo facile anche per le cosiddette «parti sociali» – lasciando perdere la sempre ottima Marcegaglia (fino a circa un anno fa incensatrice di Berlusconi, come tutta Confindustria) – sparare a zero, soprattutto nel caso di Cisl e Uil, pronte a proclamare lo sciopero dopo aver sempre accettato senza batter ciglio tutti i provvedimenti di Berlusconi. Troppo facile insomma per i maggiori responsabili dell’attuale situazione italiana bocciare le prime effettive proposte di chi almeno ha avuto il coraggio di mettere la faccia e provare a raddrizzare la situazione, a differenza loro.
Facile limitarsi a dire che «pagano sempre i soliti (pensionati e lavoratori dipendenti)». Sì, è vero, l’innalzamento dell’età pensionabile (66 anni per gli uomini, 62 per le donne) col passaggio al sistema contributivo, il ritorno dell’Ici, l’innalzamento delle aliquote iva del 10 e 21% di 2 punti dal prossimo giugno e di un altro mezzo punto dal 2014, l’aumento della benzina: ognuno di questi provvedimenti colpirà soprattutto i soliti, questo è innegabile. Resta però un punto: se avessimo aspettato il parlamento, cosa avremmo ottenuto, se non il fallimento diretto e immediato? Per Berlusconi (e la sua maggioranza), i ristoranti e i voli italiani fino ad un mese fa erano pieni, mentre il debito pubblico era solo una generica «eredità del passato» (mai una volta che qualcuno ricordasse tale Craxi Bettino), nonostante abbia continuato ad aumentare anche sotto il suo mandato; per il Pd il problema economico negli ultimi giorni è stato soprattutto Fassina, oppure Ichino, oppure il primo tesserato che passa (tipo Renzi); per la Lega, sempre pronta ad ingrassare a Roma i vari Bricolo, Reguzzoni e Rosi Mauro, ora è di nuovo colpa di «Roma ladrona», tant’è che basterebbe la secessione («consensuale» però, perché ora Calderoli è da considerare addirittura moderato e studia il modello cecoslovacco).
Aspettando la contromanovra di Di Pietro (chiamato per l’ennesima volta a provare a dimostrare di essere in grado di proporre anche una pars costruens), pur criticandone la scarsa equità, a mio avviso bisogna innanzitutto sottolineare due punti di questa manovra: iniziano i tagli alla casta e, finalmente, anche i ricchi inizieranno a tirare fuori qualcosa. Certamente poco (vengono vietati i doppi stipendi per i membri di governo, mentre il personale degli enti locali verrà sfoltito, assieme a quello della authority; sono poi state previste tasse sull’ormeggio delle barche e sul possesso di aerei ed elicotteri, oltre che di auto con potenza superiore ai 170 cavalli), ma già tanto, considerando quanto hanno chiesto i precedenti governi ai loro colleghi politici e a chi ha di più (nulla), soprattutto se si ricorda che l’una tantum dell’1,5% sui capitali fatti rientrare tramite lo scudo fiscale (per il quale, oltre al suo ideatore, dobbiamo sempre ringraziare l’opposizione e i suoi assenti al voto) è, legge alla mano, purtroppo, incostituzionale (l’imposta sarebbe retroattiva e contravverrebbe ad una precedente disposizione dello stato).
Quest’ultima considerazione mi porta al punto centrale del ragionamento: per reperire fondi, Monti – come ha sottolineato ieri – si è visto costretto a fare ciò che la politica ha evitato di fare da ormai troppo tempo, ovvero guardare al futuro e non alle prossime elezioni. Data la situazione, è ovvio che le sue scelte siano impopolari e corrano il rischio di provocare una fortissima recessione (anche se, bisogna ricordarlo, sono stati previsti alcuni sgravi fiscali per le imprese che assumono e reinvestono gli utili, oltre che diverse liberalizzazioni). Del resto, come tutti dovrebbero aver capito, l’alternativa era solo una: il default greco.
Ricordato questo passaggio, forse non così chiaro ai nostri politici, resta da ribadire la possibilità di critica dei provvedimenti adottati da parte di tutti, esclusi i partiti, i veri responsabili (nelle loro molteplici emanazioni e assieme a buona parte degli elettori) di tutto questo, causa dell’amara medicina montiana, che non è altro che il primo passo verso l’amara realtà che ci attende.