Lettera alla base del Pd.

È necessario premettere a questa lettera – che più che tale, vuole essere una riflessione condivisibile e non faziosa – che non intendo prendere le difese di Matteo, primo perchè non ne vedo il motivo, e secondo perchè non ritengo che abbia bisogno di essere difeso da qualcuno che non sia lui stesso e non è mio volontà additare, aggredire o sbeffeggiare alcuna persona. Leggete – se mai la leggerete – questa “lettera” con la stessa calma e la stessa vuotezza mentale con cui leggereste un libro di Ammaniti.

Forse molte persone non sanno che il direttore del blog, Matteo Marini, ha organizzato a Roma un gruppo di persone, che si fanno chiamare “Qui Roma Libera” – nome direttamente ripreso da quello di Piero Ricca “Qui Milano Libera” alla quale si vuole ispirare. Non descrivo tutto quello che fanno o che vogliono fare – se vi interessa cliccate sul link riportato sul nome -, ma uno degli obiettivi che si prefiggono è quello di “rincorrere” alcuni personaggi politici e porgli delle domande “scomode” che nessun giornalista sembra ormai più rivolgere. Da questo, ne è nato un forte diverbio (leggete sotto!), in quanto, gli obiettivi principali di Matteo & Co., sono attualmente, gli esponenti del Pd. Ed ecco quindi il perché scrivo questa lettera alla “base” del Pd, alle persone che stanno dietro le quinte e che – ne sono sicuro – si fanno in quattro per migliorare il paese.

Cari militanti del Pd,
vi scrivo per prendere le “mie” difese e di tutti i blogger, in quanto, nonostante io non faccia parte di QRL o di altri gruppi di contestatori, mi sono sentito preso in causa quando ho letto, fra i vostri malcontenti alla azione di porre delle semplici domande ai vertici piddini, che è inutile esporre i problemi del paese, se poi non si fa nulla per risolverli. Avete detto che chi fa questo “non è un bravo giornalista” e non è al servizio del paese, o, peggio ancora, è solo un “provocatore”. Voglio quindi porvi alcuni esempi e fare qualche riflessione, con la speranza poi di avere un vostro diretto riscontro (non mi avvalgo della presunzione di verità pura e unica). Premettiamo intanto che, in quanto tale, il giornalista NON ha il dovere di porre rimedio ad un problema, quanto più ha l’obbligo – se non altro morale e professionale – di esporlo, questo problema. Deve descriverlo, deve spiegarlo. Non lo deve risolvere, non è il suo compito e non è il suo lavoro. Eppure, la critica che voi – e non solo voi, ma anche i più alti ranghi istituzionali e, diciamolo pure, lo stesso Grillo – più aspramente ci rinfacciate è quella che, se una cosa non ci va bene, dobbiamo tirarci su le maniche e risolverla. È una tesi interessante e, obiettivamente, non contraddicibile, se non per il fatto che non è sempre ciò che uno vuole fare. Se a me non interessa prendere parte ad un partito, non può essermi tolta la possibilità di criticare chi dentro al partito ci sta e non fa nulla – non mi riferisco a voi ma a coloro che, purtroppo, vi camminano in testa con le scarpe sporche di merda (e scusate la finezza).
Quando si dice che il il giornalista deve essere il cane da guardia del potere, non si intende che deve fare la guardia a ciò che sta attorno al potere, ma al potere stesso. Deve essere feroce se il potere si arrovella diritti che non ha o se fa azioni subdole e controproducenti per il paese. Ha l’obbligo di tirare fuori i denti e dimostrare, se ne ha le prove, che una tale persona non merita di rappresentare l’istituzione che il suo ruolo ricopre. Ma, poniamo caso, che si trasporti il vostro pensiero dal giornalismo di cronaca politica, al giornalismo di cronaca giudiziaria, criminale, nera, dal fronte. Come si potrebbe dire, ad un Saviano ad esempio, che anzichè continuare a raccontare la camorra dovrebbe entrare nella polizia o nei carabinieri o in magistratura e combatterli da dentro? Come si fa a sostenere ad un giornalista che sta in Afghanistan che, anzichè riportare il bollettino di guerra ogni giorno, rimponga taccuino e matita e indossi l’elmetto e fucile? Come puoi suggerire ad un Cronista di nera di piantarla di raccontare un delitto e i suoi risvolti nelle indagini e indossare il camice del Ris per scoprire il colpevole? Non si può. È sbagliato. Perchè non è quello che il giornalista in questione vuole fare. Raccontare, riferire, “indagare”. Questo è il suo compito. Pensate se, negli anni del Watergate, fosse stato detto a Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post di non raccontare quello che stava succedendo ma di tirarsi su le maniche e entrare nel partito dei Democratici – all’opposizione di Nixon – e combattere quegli accadimenti da dentro? Chi mai avrebbe osato dire a Montanelli di piantarla di parlare male di questo o quel politico, e di entrare in politica, cosa che per altro gli fu proposta da Cossiga e che Montanelli rifiutò con queste parole “il giornalista deve tenere il potere a una distanza di sicurezza“. Cosa avrebbe risposto Tina Merlin se le avessero detto che, se voleva continuare a denunciare tutto lo schifo che portò al disastro del Vajont, doveva farlo nelle sedi opportune, tipo in procura come pm?
Non osiamo paragonarci a questi mostri sacri del giornalismo. Non intendiamo accaparrarci il diritto o la presunzione della verità. Vogliamo solo fare quello che ci piace fare. Raccontare quello che accade. Esporre i fatti, fare ragionare la gente. Mettere in moto quelle rotelle del cervello che la Tv tiene ferme per ore ed ore. E, visto che ci è consentito per Costituzione, esporre – preferibilmente lontano dai fatti – le nostre opinioni e i nostri pensieri. E, a maggior ragione se è di forte disturbo, fare domande al potere ed esigere, in quanto cittadini prima e giornalisti o blogger poi, delle risposte. Rompiamo le scatole? Non ci interessa. Facciamo del male ai politici o ad un partito? Non è un mio problema, perché se diciamo fandonie esiste quella brutta cosa chiamata querela, ma se diciamo la verità, non siamo noi a rovinare un partito, ma chi lo compone e non rispetta le regole – non solo le leggi ma pure delle regole morali che vengono sbandiarate solo quando si vuole raccogliere dei consensi. La cosa assurda è che dovreste essere proprio voi, base di un partito, anima reale di un movimento di idee condivise, ad avere per primi il diritto a delle risposte. Perché ok, loro ci mettono la faccia, ma voi ci mettete il cuore e l’anima. Se chiediamo a D’Alema di farsi da parte perché sono 22 anni che sta in parlamento e di dare spazio a nuove facce giovani e capaci, lo facciamo anche per voi. Non vogliamo essere i “salvatori della patria” stando dietro ad una tastiera, vogliamo solo essere, per quanto possibile, i narratori del presente. E se il presente è un cumulo di cenere, non abbiamo altra scelta che descriverla.

In attesa di una vostra risposta, che vi invito a dare su un vostro blog o semplicemente inviandomi una mail che io, indubbiamente, pubblicherò qua, vi saluto e vi auguro una buona estate e che il vostro impegno politico possa servire a questo paese, perché ne ha bisogno eccome!

GIAMPAOLO ROSSI
giampross(at)katamail.com

Giampaolo Rossi

Residente a Belluno, studia all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna alla facoltà di Lettere, con indirizzo storico, per poi specializzarsi in giornalismo. giampross@katamail.com

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