Mafia Capitale ha guadagnato anche sull’elettrosmog?
Le ultime sentenze della Magistratura amministrativa (Tar Lazio n° 823/2015 e n° 4304/2015) sui mancati adempimenti procedurali per la regolamentazione degli impianti di telefonia mobile, che hanno determinato la condanna del Comune di Roma e l’annullamento delle autorizzazioni rilasciate, aprono scenari inquietanti, sulle reali responsabilità omissive del Campidoglio in rapporto al dilagante fenomeno di “Antenna Selvaggia”.
Numerose, infatti, sono le decisioni del giudice amministrativo di 1° e 2° grado (Sentenza Tar Lazio n° 7562/201 – Ord. CdS n° 2311/2014 – Sentenza Tar Lazio n° 1021/2014 – Sentenza CdS n° 306/2015) improntate univocamente a riconoscere valore giuridico vincolante al Protocollo d’Intesa, sottoscritto dal Comune di Roma e dai gestori della telefonia mobile nel luglio 2004.
Secondo i giudici amministrativi detto Protocollo, in quanto unico provvedimento nel panorama capitolino per la disciplina degli aspetti procedimentali finalizzati al rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti di telefonia mobile, nel rispetto della normativa nazionale (decreto legislativo 259/2003), acquisisce a tutti gli effetti valore di regolamento e, pertanto, non può essere disatteso, né dall’amministrazione comunale né, tantomeno, dagli operatori di telefonia mobile.
Ma cosa recita il Protocollo di così vincolante per le parti che lo hanno sottoscritto?
Tra gli impegni del Comune vi è anche quello di “informare i Municipi delle richieste di installazione dei nuovi impianti“, mentre questi ultimi “provvederanno all’informazione ai cittadini“. Sempre ai Municipi compete – entro 30 giorni – indicare un’area o immobile di proprietà comunale alternativa al sito prescelto dal gestore, qualora esso presenti elementi di criticità.
Infine, decorsi 90 giorni senza che al Comune siano pervenute dal Municipio competente osservazioni od opposizioni al progetto presentato, scatta la procedura del cosiddetto silenzio-assenso (autorizzazione tacita).

Tra gli impegni dei gestori rientra, infine, quello di localizzare i siti ove collocare le antenne oltre il raggio di 100 metri dai cosiddetti luoghi sensibili (scuole, ospedali, case di cura e di riposo), mentre al Comune, presso cui è depositato il progetto e l’elaborato grafico, incombe l’onere di verificare che tale prescrizione venga rispettata.
Ora, a che servono tali adempimenti nei confronti della popolazione? Questi rispondono non certo a criteri di mera formalità, nel senso che una volta avvisati i cittadini, diviene prassi automatica l’accoglimento dell’istanza dell’antenna, ai sensi del Codice delle Comunicazioni elettroniche.
L’osservanza di tale adempimento, a guardar bene, assume un ruolo delicato e fondamentale, perché incide non solo sulla trasparenza dell’informazione in merito a scelte che hanno conseguenze urbanistiche, ambientali, paesaggistiche, di decoro architettonico e urbano per l’assetto del territorio, ma ricade su aspetti vitali della salute umana.
Infatti, il termine indicato (90 giorni) entro cui ogni cittadino, correttamente informato dal proprio Municipio, può prendere visione degli atti relativi al progetto dell’antenna, serve a permettere ai cosiddetti soggetti a rischio (portatori di apparecchi elettromedicali e pacemaker) di opporsi e tutelare la propria salute dai possibili rischi di interferenza causati dalle onde elettromagnetiche emesse da impianti, che potrebbero essere posizionati nelle vicinanze della loro abitazione; mentre, a tutela delle cosiddette fasce deboli della popolazione (bambini, adolescenti, pazienti, ecc..) è indirizzato l’obbligo dei gestori di collocare le sorgenti di elettrosmog ad una distanza di sicurezza dai luoghi di permanenza prolungata (da qui il limite di 100 metri da scuole, ospedali, case di cura e di riposo).
Pertanto, è facile comprendere l’importanza del rispetto di questi adempimenti, per il Comune, i Municipi e gli operatori.
Come è facile capire le conseguenze rischiose, ma anche drammatiche, a cui andrebbero incontro i cittadini in caso di omesso adempimento!
Al riguardo, per appurare il rispetto degli impegni di cui al Protocollo, ho effettuato una ricognizione capillare presso i parlamentini, prima che la riforma li riducesse a 15, e ne è emerso un quadro desolante: nel 2013, su 19 municipi, soltanto 2 avevano attivato un canale di informazione ufficiale (pubblicazione su portale internet, peraltro poi ritenuto insufficiente dai giudici amministrativi) per segnalare alla popolazione interessata l’avvenuto deposito di uno o più progetti inerenti l’installazione di antenne di telefonia mobile nel territorio di competenza.
Un dato che ritengo sorprendente e preoccupante, se pensiamo a quali conseguenze per la propria salute possano essere andati incontro tanti cittadini sin dal 2004 (data di entrata in vigore del Protocollo d’Intesa) ad oggi, in assenza di una informazione capillare e trasparente da parte del Comune e dei Municipi.
Ancora oggi, numerosi risultano essere i Municipi totalmente inadempienti o che hanno allestito una informativa insufficiente a garantire la corretta partecipazione dei cittadini ai procedimenti amministrativi.
Per cui, i giudici del tribunale amministrativo di 1° e 2° grado, ritengo abbiano correttamente interpretato le indicazioni contenute nel Protocollo, giudicandole vincolanti per le parti ed inficiando, di conseguenza, la regolarità del procedimento di autorizzazione dell’antenna.
Tuttavia, mi chiedo se l’inadempimento di tali delicate prescrizioni da parte degli organi comunali e municipali, protratto per così lungo tempo, possa aver configurato anche fattispecie di reati penalmente rilevanti, laddove fosse accertato che, ad es., a causa della omessa informazione, un soggetto portatore di pacemaker, avuta cognizione con ritardo della installazione di una sorgente di emissione elettromagnetica nel raggio d’azione dell’apparecchio elettromedicale, abbia subito conseguenze, anche letali per la propria salute.

Come si vede, l’argomento è scottante e, valutato quanto di recente accaduto e riportato dalle cronache giudiziarie, sul coinvolgimento di vari settori dell’amministrazione comunale, non posso non sospettare che analoghe responsabilità dolose in passato si siano potute registrare anche per il rilascio delle autorizzazioni nel settore delle reti di infrastrutture delle comunicazioni elettroniche.
Un sospetto che pesa come un macigno, laddove è in ballo la salute se non la vita di persone inconsapevolmente esposte agli effetti dei campi elettromagnetici prodotti da antenne, ripetitori, tralicci, stazioni radio base ed ogni altra sorgente di inquinamento elettromagnetico.
Infine, va segnalato un fenomeno che contribuisce ancor più a svelare il panorama di possibile collusione – da qui il richiamo a “Mafia Capitale” – affermatosi nell’ultimo decennio a Roma e testimoniato da numerose denunce e proteste pervenute da cittadini e comitati: il rilascio di autorizzazioni nonché l’installazione di antenne e ponti radio per la telefonia mobile, avvenute in estrema prossimità di luoghi cosiddetti sensibili, dunque ben al di sotto della soglia di distanza (100 metri) indicata dal Protocollo d’Intesa.
Ora, considerando che a Roma, in particolare, l’attività di diffusione di infrastrutture elettromagnetiche ha registrato – come in nessun altro contesto urbano – uno sviluppo frenetico ed incessante (oggi si contano oltre 5mila stazioni radio base), appare decisamente insolito l’elevato numero di installazioni sotto la soglia di tutela delle fasce sensibili, effettuato in nome di “manutenzione ordinaria” degli apparati esistenti.
Un espediente, questo, attraverso cui gli operatori del settore avrebbero agito “impunemente” per realizzare centinaia – se non migliaia – di nuove antenne, aggirando le regole imposte dal Protocollo e – aggiungo – ponendo a repentaglio la salute di larghe fasce della popolazione cosiddetta a rischio.
Viene, pertanto, da chiedersi se questa insolita “emorragia” di antenne non si sarebbe compiuta qualora gli uffici comunali e di vigilanza avessero effettuato puntuali controlli e verifiche!
Potrebbe, così, trovare spiegazione la protratta inerzia degli organi di governo – che nell’ultimo decennio si sono alternati alla guida della Capitale, ma anche della Regione -, il cui disinteresse e malaffare ci consegna oggi una città ostaggio di migliaia di protuberanze elettromagnetiche, una città brutalizzata sotto il profilo del decoro urbano ed ambientale, meno sicura in ordine alla cura e tutela della salute umana dalla esposizione ai campi elettromagnetici.
Auspico, pertanto, che le indicazioni lanciate attraverso questo articolo/denuncia non cadano nel vuoto e le autorità preposte assumano l’iniziativa di far luce, senza reticenza e con capillare puntigliosità, sull’intero regime delle autorizzazioni rilasciate dal Comune di Roma dall’entrata in vigore del Protocollo d’Intesa ad oggi, setacciando i meandri delle procedure di autorizzazione, per chiarire se i fenomeni segnalati siano imputabili ad inadempienze, omissioni, collusioni e leggerezze da parte di apparati dell’amministrazione comunale, di quella periferica nonché delle società di telecomunicazioni.