Il labirinto del silenzio: la Germania del dopoguerra tra oblio e verità

Giulio Ricciarelli, italiano di nascita ma tedesco d’adozione, esordisce straordinariamente sul grande schermo con Il labirinto del silenzio, candidato all’Oscar come miglior film straniero, lavoro che è insieme documento e monito nella spietata rivelazione di una pagina di storia dimenticata.

Fonte: cineblog.it
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SINOSSI.

Nello scenario della Germania di fine anni 50, che dietro nastri colorati e tulle rosa nasconde le brutalità della guerra trascorsa, il film ripercorre lo sviluppo delle indagini di Fritz Bauer (Gert Voss), procuratore generale di Francoforte, culminate nel processo del 1963, il primo grande lunghissimo processo della storia tedesca contro i crimini del nazismo che portò in aula 211 sopravvissuti ad Auschwitz e si concluse dopo venti mesi con la condanna di 17 SS di stanza nel campo.

Protagonista della pellicola è Johann Radmann (Alexander Fehling), personaggio storicamente fittizio nato dalla fusione dei tratti caratterizzanti di tre procuratori, giovanissimo e brillante avvocato alacremente attivo nella difesa della giustizia e nella lotta contro la corruzione che attraverso l’amicizia con il giornalista Thomas Gnielka (André Szymanski) scopre l’esistenza di Auschwitz e dei suoi orrori, tenacemente rimossi da una popolazione spumeggiante che ha cancellato nella novità le orme scure del suo passato.                          

A partire dal caso di un maestro di scuola elementare, membro delle SS riabilitato nell’immediato dopoguerra all’insegnamento, Radmann si trova invischiato in una rete di inganni e mistificazioni che, a partire dalle drammatiche testimonianze sulle crudeltà occultate di Mengele o sulle disumane azioni degli uomini di Eichmann, giunge a coinvolgere persino la sua famiglia e gli  amici in un labirinto di menzogne e silenzi da cui rischierà di restare soffocato.

UNA SENSIBILITA’ NUOVA PER RACCONTARE UN DRAMMA.

Il titolo originario, Il labirinto della colpa, allude ad un peccato sfuggente e sommerso nella coscienza del popolo tedesco (ed europeo in genere) negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. E’ la colpa della dimenticanza forzata, della vanificazione di ricordi crudi, della violazione di una memoria attanagliante e dolente sepolta dalla paura sotto le macerie di guerra e dissolta entusiasticamente nell’ottenebramento della rinascita.

Fonte: ansa.it
Fonte: ansa.it

Come il regista stesso sottolinea il film è una risposta all’ “eseguivamo gli ordini” reiterato, costante, che per secoli ha offuscato la consapevolezza della colpa individuale e giustificazione ormai acriticamente accettata, pur nella sua vuota insensatezza, in quella Germania di Adenauer tesa a celare nell’ebbrezza estatica del presente la ferita lacerante di un passato troppo vicino.

Il labirinto del silenzio si pone quindi come capovolgimento radicale della prospettiva di Hannah Arendt, nello squarciare il velo di ipocrisia e oscurantismo con cui  fin da subito si è mascherata la responsabilità personale e l’iniziativa volontaria di quanti parteciparono ad una delle carneficine più efferate e cieche della storia dell’umanità.

Non è “La banalità del male” ad interessare Giulio Ricciarelli nel suo film, ma la complessità del bene, la difficoltà nello scegliere la giusta via da seguire per liberarsi da un vortice di bieco arrivismo e ignoranza, la strenua fatica e il coinvolgimento sofferto nel disperato tentativo di restituire all’uomo la dignità tragicamente negata e la vitalità sfiorita, miseramente divorate dalla macchina mostruosa dell’Olocausto.

La grandezza de Il labirinto del silenzio, che intreccia indissolubilmente alla verità storica una profonda riflessione esistenziale, si nutre della capacità di guardare con sensibilità nuova ad uno dei temi più affrontati, dibattuti, evocati, ripercorsi, quasi consumati dalla cinematografia contemporanea.

Non abbiamo di fronte una commemorazione struggente delle atrocità dello sterminio nazista o una straziante rievocazione delle conseguenze di un’ideologia perversa, non troviamo il realismo crudo di Schindler’s list o la delicatezza affettiva de Il bambino con il pigiama a righe, non la visione infantile e disincantata di Storia di una ladra di libri né l’ottimismo malinconico di La vita è bellaNon una pellicola sulla Shoah dunque, ma sulla memoria: sulla memoria come dovere collettivo, come imprescindibile obbligo individuale, come angosciante fardello e  insieme ancora di salvezza per la preservazione del bene comune.

Fonte: ansa.it
Fonte: ansa.it

Attraverso un racconto di fortissima intensità emotiva, che valica i confini della pura cronaca per caricarsi della dirompente suggestione di una rappresentazione intimistica e vividamente vissuta (resa ancora più efficace dalla performance teatrale degli attori protagonisti, che fanno della mimica e della gestualità il fulcro stesso della narrazione), Ricciarelli porta alla luce una questione bruciante e drammaticamente attuale: possiamo ancora oggi dimenticare?

L’oblio di un passato crudele è un lenimento per le vittime e una consolazione per chi ne ha colpa, appaga le coscienze e attenua il dolore, ma può trasformarsi in un’ evasione dalla realtà? Fuggire il ricordo nel silenzio, il coraggio della testimonianza nella mediocrità della negazione, non è forse uno svilimento dello sforzo compiuto per il cambiamento?

Giulio Ricciarelli sceglie con forza di rendere manifesto al pubblico quanto la coscienza del presente possa affondare saldamente le sue radici solo nel pieno possesso del passato trascorso e lo fa con Il labirinto del silenzioun film che, apparendo nelle sale a poca distanza dalla Giornata della memoria, trova la sua essenza  nella memoria stessa.

In una realtà incalzante e frenetica, di fronte allo scorrere inafferrabile degli eventi che sembrano passare senza lasciare tracce, nella precarietà effimera degli equilibri e nell’instabilità volatile delle certezze, quest’opera cinematografica fa la sua toccante comparsa e si presenta come affermazione semplice e decisa di un diritto inalienabile per l’uomo: quello di ricordare.

Il labirinto del silenzio uscirà nelle sale italiane il 14 gennaio, distribuito da Good films.

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Antonella Rubinacci

Nata a Roma nel 1995, ma napoletana d'origine, studia Lettere moderne presso l'Università di Roma Tre. Interessata e poliedrica, appassionata d'arte, cinema e teatro, ama la letteratura fin da bambina e ha fatto della scrittura il mezzo per conoscere se stessa e il mondo. COLLABORATRICE SEZIONE CULTURA

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