#SpiegoneReferendum 4 dicembre: il Titolo V, i rapporti Stato-Regioni
Fonte dell’immagine di copertina: alessandrosicurocomunication.com
Il 4 dicembre 2016, qualunque sia l’esito del referendum, sarà una data molto importante per l’Italia. Non sarà una consultazione come le altre perché tutti noi cittadini saremo chiamati ad esprimerci in favore o contro una riforma della nostra Costituzione: la Carta fondamentale su cui si basa l’organizzazione dello Stato e il diritto italiano intero.

Finora ci siamo occupati dei ruoli che andranno a ricoprire le Camere, nella fattispecie il Senato della Repubblica (nella prima puntata); abbiamo esaminato le variazioni che subiranno Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale (nella seconda puntata); le nuove iniziative di partecipazione popolare e la trasparenza (nella terza puntata).
In questo ultimo articolo cercheremo di riassumere come cambieranno i rapporti fra lo Stato centrale e gli enti locali, ovvero: le Regioni, le Province e le Città Metropolitane.
Le modifiche sono tutte raccolte nella Parte Seconda, al Titolo V della Costituzione, dall’art. 114 al 133 .
L’ATTUALE SISTEMA
Le funzioni delle Regioni sono tutte elencate nella Costituzione e vanno, ad esempio, dalle politiche sul lavoro, alla protezione civile, alla promozione turistica.
Vi sono poi le cosiddette “Regioni a Statuto speciale” che hanno maggiori poteri rispetto alle altre. In questo caso il Governo deve richiedere il loro parere prima di decidere su un determinato tema che le interessa da vicino. Le Regioni e gli enti territoriali in questione sono: la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e le province di Trento e Bolzano.
Per evitare i conflitti con lo “Stato centrale”, nel 2001, furono scritti anche i compiti affidati esclusivamente al Governo nazionale, come ad esempio la difesa, la moneta, la politica finanziaria, le pensioni, la legge elettorale, ecc.. Tutte le funzioni che non erano presenti, potevano essere demandate alle Regioni e proprio questa discrezionalità ha creato – nel tempo – tanti “conflitti di competenza”, ovvero liti su chi doveva agire su un certo tema, se Roma o la Regione interessata.
LE NOVITA’ : COSA CAMBIEREBBE CON LA RIFORMA
Nel testo della riforma si ri-centralizzano molte materie che sono, ad oggi, affidate alle Regioni e quindi tornerebbero al Governo. Ad esempio: la disciplina giuridica del lavoro per i dipendenti pubblici, le politiche sulla salute e la sicurezza alimentare, l’università, l’ordinamento scolastico, la programmazione della ricerca, le pensioni (comprese quelle “integrative”, ovvero erogate dalle assicurazioni private), la tutela e la sicurezza del lavoro, la formazione professionale, il commercio estero, il coordinamento della protezione civile, le infrastrutture “strategiche”, il trasporto, le politiche sulla navigazione marittima che interessino la nazione, i porti e gli aeroporti, l’ordinamento sportivo, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Una delle novità proposte è quella della cosiddetta “clausola di supremazia”, presente al punto 4 dell’art.117 riformato: la legge dello Stato potrà intervenire sulle materie non riservate esclusivamente allo Stato stesso quando lo richieda «la tutela dell’unità giuridica o economica del Paese, nonché l’interesse nazionale». Un concetto un po’ evasivo, che andrà chiarito con una apposita legge costituzionale: quindi il Governo potrebbe entrare in scena su una decisione territoriale quando essa è di vitale importanza per la Nazione.
I NUOVI POTERI E DOVERI DELLE REGIONI
Con la “nuova” Costituzione, alle Regioni rimarrebbero tutte le disposizioni sulle minoranze linguistiche, la programmazione e organizzazione dei servizi sociali, la promozione dello sviluppo economico per le imprese, la promozione del diritto allo studio, la valorizzazione del turismo e del paesaggio e tutto ciò che non compete allo Stato centrale. L’elenco però potrebbe non finire qui, contando eventuali obblighi ulteriori rispetto ad oggi: infatti la legge statale potrà definire degli indicatori di riferimento in merito a certe spese utili al fabbisogno di alcune funzioni importanti, come la Sanità.
Si volta pagina anche riguardo gli stipendi e i costi: un consigliere regionale non potrà prendere più del sindaco del comune capoluogo e, a norma della seconda Disposizione Finale riformata, non potranno essere corrisposti rimborsi o trasferimenti in denaro a carico della collettività per i gruppi politici presenti nel consiglio regionale.
LA POSSIBILITA’ DI INTERVENTO DELLO STATO CENTRALE
L’altro cambiamento inserito nella riforma costituzionale è l’intervento del Governo sugli enti locali quando – come era già previsto – non rispettino le norme e i trattati internazionali o pongano delle azioni che possano provocare pericolo all’incolumità e sicurezza pubblica o violino i diritti civili dei cittadini. Nel caso in cui la riforma avesse “luce verde” dalla consultazione referendaria del 4 dicembre, avrebbe pure la possibilità di rimuovere gli amministratori locali, sia dei Comuni che delle Regioni, che hanno portato il loro ente al dissesto finanziario. Potrà essere richiesto un parere al Senato della Repubblica, il quale si dovrà pronunciare entro 15 giorni, ma non è stato specificato con quale maggioranza e in caso di diniego cosa accada.

Inoltre il nuovo articolo 118 stabilisce che la legge statale possa delegare agli enti locali il coordinamento dell’ordine pubblico e dell’immigrazione.
L’ELIMINAZIONE DELLE PROVINCE
Nella riforma viene tolto qualunque riferimento alle Province che, pertanto, si considerano abolite. Sarà poi la legge statale a stabilire a quale altro ente vadano affidate le loro funzioni.
Vengono però introdotti i cosiddetti “enti di larga scala”, sovra-comunali, istituiti per un determinato compito o per il coordinamento territoriale.
Ultima modifica è la sostituzione di tutti i termini legati alla Comunità Europea in Unione Europea, come oggi si chiama, dopo la modifica dei trattati nel 2007.
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