Regression, Amenábar riflette sul Male e i meccanismi della Paura
Dopo 6 anni di attesa dalla sua ultima fatica cinematografica, Agora, Alejandro Amenábar torna finalmente nelle sale con un’opera che guarda indietro, alle atmosfere più horror thriller sia di suoi precedenti film come Apri gli occhi o The Others, che di classici americani “della suspense orrorifica” anni ’70 quali Rosemary’s Baby o L’esorcista. Come in quest’ultimi, il regista spagnolo porta avanti, attraverso i meccanismo del thriller psicologico dalle venature un po’ gialle un po’ horror, una riflessione sul Male e i suoi meccanismi. L’ispirazione per Regression attinge a eventi realmente accaduti negli Stati Uniti degli anni ’80, periodo nel quale si propagò un’ondata di panico collettivo e accuse legate al mondo del satanismo.
Ricordare il Male.
La sceneggiatura di Amenábar ambienta dunque la storia nel 1990, in una piccola comunità del Midwest. Qui il detective Bruce Kenner (Ethan Hawke) si ritrova a indagare su un caso che vede vittima la giovane Angela (Emma Watson), che accusa il padre John Gray (David Dencik) di un fatto gravissimo. Il problema è che l’uomo ammette la sua colpa pur senza averne il minimo ricordo. Kenner si farà dunque affiancare nelle indagini dal Dottor Rainer (David Thewlis), psicologo che cercherà di far rivivere a Gray e agli altri familiari quanto dimenticato, sfruttando la pratica della terapia regressiva.
Il Male è intorno a noi, covato anche in luoghi impensabili, sembra avvisarci o ricordarci Amenábar. Un Male visto con un nemico comune, tanto da portare scienza e religione a collaborare per debellarlo. Sfruttando, per sua stessa ammissione, i cliché dei generi di riferimento, il regista indaga non tanto il mistero al centro della storia, quanto i meccanismi e la complessità della mente, della memoria, della Paura stessa, rendendo il Diavolo evocato dai rimandi ai culti satanici non tanto un’entità esterna, quanto un nemico interiore legato alla psicologia di ognuno, sempre a rischio di sfociare in psicosi collettiva.
Promesse mancate.
Seguendo le indagini del sicuro e ferreo detective Kenner, lo spettatore viene coinvolto a sua volta in un’atmosfera paranoica che non può che portare a domandarsi dove sia l’inghippo predisposto da Amenábar.
Sia per il meccanismo stesso del film (che fa capire subito che le cose non sono come sembrano, e che porta il protagonista a diventare vittima delle sue stesse indagini), sia prendendo spunto dalla lezione di pellicole precedenti del regista spagnolo, si rimane in attesa di quel plot twist, di quello scacco narrativo nei confronti dell’osservatore, che rimescolerà le carte in tavola e le aspettative fino a quel momento covate. Peccato che questa soluzione finale non sia potente come i presupposti avrebbero fatto sperare. Il problema di Regression è infatti quello di evocare continuamente un clima di minaccia e pericolo, per poi non instillarlo davvero, ma anzi annientandolo per impartire una lezioncina allo spettatore sulla quale non ci soffermeremo onde evitare spoiler. “Giochetto” anche interessante sulla carta, per una tematica forse involontariamente tragicamente attuale, ma che lascia con un senso di insoddisfazione per le attese deluse (più cinematograficamente parlando).
Ci si aspettava di più, ci aspettava di meglio da Regression visto il talento di Amenábar, che pure con il suo film ci ricorda come troppo spesso siamo noi stessi a crearci i nostri demoni, che vanno ad alimentare quell’immane senso di colpa che si portano dietro i nostri tempi.
Regression sarà nelle sale italiane dal 3 dicembre distribuito da Lucky Red.
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