Speciale Michael Jordan: il ritorno in campo
Nella prima puntata di questo speciale ci eravamo lasciati con Michael Jordan e con la sensazione, crescente in lui, che lo avrebbero usato come esca per il baseball e lui non aveva alcun desiderio di diventare un giocatore di rimpiazzo o, peggio, un crumiro. Così finalmente il 10 marzo 1995, accantonò per sempre il sogno di suo padre e si diresse a casa.
All’inizio Jordan tentò di prendere parte agli allenamenti dei Bulls con grande discrezione, ma la cosa non poteva funzionare, soprattutto con la squadra che arrancava partita dopo partita. Le prime avvisaglie furono impercettibili: magari una telefonata a un vecchio amico, o uno sbuffo di sigaro fuori dall’ufficio di Jackson. Qualunque cosa fosse, la notizia in qualche modo arrivò a tutte le persone giuste, in quel mese di marzo: MJ stava pensando di tornare a giocare? Si metterà la divisa e si presenterà in allenamento, giusto per vedere che effetto fa?
Il mondo impazzisce
Iniziò così l’anno in cui il mondo intero perse davvero la testa per il basket. A Chicago. Ma non era ancora chiaro se avesse deciso di tornare o meno. La prima indiscrezione trapelò con una chiacchierata in una radio sportiva locale, dopodiché si scatenò la follia. Nei dieci giorni successivi si verificò la più grande attesa nella storia dello sport. Michael Jordan stava per tornare al basket? Un intero villaggio composto di camioncini satellitari, di inviati dei maggiori network e delle principali testate nazionali, confluì nei dintorni dei campi di allenamento al Berto Center.
Tutti speravano di ascoltare un annuncio di qualche tipo. Invece grandi pannelli furono montati per coprire le vetrate della palestra. I mass media potevano solo sentire le grida e lo stridio delle scarpe da ginnastica sul pavimento della palestra. La stampa sapeva solo che Jordan si stava allenando con la squadra, ma che non aveva ancora preso una decisione; c’erano molti aspetti della vicenda da sistemare. Giovedì 16 marzo Jackson avvertì che la situazione aveva superato il limite. Disse a Jordan di non presentarsi all’allenamento quel giorno, perché il numero di giornalisti al Berto Center era andato oltre ogni misura. Nel pomeriggio il coach comunicò alla stampa che Jordan e Reinsdorf stavano ancora discutendo, e che la decisione finale richiedeva ancora tre o quattro giorni.
Il definitivo ritorno
Poi, d’un tratto, una mattina, le radio di Chicago annunciarono che l’accordo era stato trovato; Jordan avrebbe fatto il suo annuncio quel giorno stesso, per poi giocare domenica contro Indiana in diretta televisiva nazionale. I gestori del ristorante di Michael Jordan ascoltarono la notizia e decisero di riassortire nuovamente la vetrina dei souvenir. Da marzo in poi la folla gremì il ristorante quasi ogni sera. Fuori dallo United Center i tifosi vegliavano sulla statua di Jordan, che si era rapidamente trasformata in un tempio.
Fuori dal Berto Center, una folla di giornalisti e tifosi vagava in attesa di una dichiarazione ufficiale. All’improvviso l’allenamento finì e la Corvette di Jordan apparve in strada, con i tifosi che ululavano selvaggiamente mentre lui accendeva il motore e se ne andava a tutto gas. La stella delle stelle ruppe il silenzio con un comunicato stampa di due parole rilasciato dall’agente David Falk. C’era scritto solo: «I’m back», sono tornato.
Il più grande impatto mediatico sportivo
Durante questo periodo, Michael Jordan ebbe un impatto mediatico incalcolabile, molto probabilmente il più grande di tutta la storia sportiva. Il passaggio al baseball ha mosso quasi un’intera nazione ed ha portato un interesse che prima non si era mai visto in quello sport. Il successivo ritorno poi ha mandato in delirio giornalisti e tifosi di tutto il mondo che attendevano soltanto una sua dichiarazione. E la sua immagine? Arrivò a un livello talmente alto che nessuno nel mondo non poteva non conoscerlo. Siamo di fronte a uno dei casi più grandi di attrazione mediatica mai avvenuta.
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