Sanremo 2019, una partenza a rilento. La prima serata del Festival
La prima serata del sessantanovesimo Festival di Sanremo.
Prima serata della sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo, la seconda con Claudio Baglioni al timone, accompagnato da Claudio Bisio e Virginia Raffaele.
Il tema di questa edizione sarà l’Armonia, Baglioni illustra quella che sarà la meta di questo viaggio che terminerà sabato con il vincitore del Festival.
Ventiquattro brani in gara, nessuna eliminazione fino a sabato.
Sanremo 2019, le 24 canzoni in gara.
Primo concorrente in gara Francesco Renga con il brano Aspetto che torni. Un brano molto classico “pianoforte e voce”, che cresce dal ritornello in poi e prosegue bello dritto fino alla fine. Niente di troppo innovativo, il sessantanovesimo Festival della Canzone Italiana si apre all’insegna della classicità. Sicuramente Renga ha una grande voce, sarà classico ma un classico con una gran voce. Forse un po’ affaticato sul finale ma l’emozione di aprire il Festival è tanta.
Si continua con Nino D’Angelo e Livio Cori con Un’altra luce. Accoppiata strana che porta in scena una sorta di dub dalle sfumature black ma cantato metà in napoletano e metà in italiano. Un brano che non rende, il problema è l’assenza di una vera amalgama tra le due voci: troppo diverse probabilmente ma la verità è che Nino D’Angelo (e tutta la traduzione in dialetto) ha rovinato un brano che poteva avere un senso almeno musicalmente.
Tocca a Nek con il brano Mi farò trovare pronto. Un brano che in certi punti non sembra essere nelle corde dell’artista, almeno nella parte lenta. Molto interessante l’arrangiamento, che sia finalmente un’evoluzione sonora nella carriera di Nek?
Il testo è molto canonico ma l’arrangiamento è davvero molto intrigante, almeno nella parte più “spinta”. Primo brano interessante.
Arrivano i The Zen Circus con L’amore è una dittatura. Un pezzo impegnato dal testo forte e con qualcosa da dire, forse non troppo sanremese data questa indole piuttosto percussiva e queste sonorità scarne e poco melodiche. Il pezzo si apre sul secondo verso, diventando un bel rock sinfonico grintoso e incalzante. Ripeto il pezzo non è assolutamente sanremese ma è da urlo, qualcosa di totalmente anomalo per Sanremo ma davvero geniale. Bello, bello, bello niente da dire.
Torna sul palco del’Ariston Il Volo con Musica che resta. Dopo l’estasi da The Zen Circus si torna a sguazzare nella pozza del nazionalpopolare. Tre ragazzetti, che dimostrano 50 anni più della loro età musicale, presentano un brano ovviamente vecchio e canonico. Si può dire che hanno delle belle voci? Certo che ce le hanno, sono tenori! Ma se non ricordo male qualcuno, a suo tempo, già tentò di mischiare il pop con la lirica. Ovviamente il pubblico dell’Ariston è in delirio, scontato come la morte.
Tocca a Loredana Bertè con Cosa ti aspetti da me. Loredana Bertè è sempre la classica Loredana Bertè e questo va più che bene perché porta in scena il classico rockettino tagliente e provocatorio.
Sicuramente è più giovanile e più innovativa de Il Volo; il pezzo è piuttosto statico ma si difende bene, niente di memorabile, ma comunque in grado di dare filo da torcere ai giovinastri in gara. Certo se smettesse di sollevare la gonna riusciremmo ad apprezzare di più il brano in gara.
Primo super-ospite Andrea Bocelli che torna sul palco di Sanremo dopo 25anni con il brano Il mare calmo della sera. Duetto Bocelli – Baglioni, sicuramente un gran bel momento.
Sale sul palco Matteo Bocelli che, assieme al padre, proporrà il pezzo Follow Me. Gran bel brano e una esecuzione magistrale.
Si torna alla gara con Daniele Silvestri e Rancore con il brano Argento vivo. Un brano dall’andamento strano: interpretato a mo’ di narrazione ma dalla ritmica incalzante. Anche qui siamo davanti a un brano atipico per la kermesse sanremese perché ruvido, rabbioso e cupo. Rancore apre il pezzo al rap, duro e affilato. Questo è un pezzo impegnativo e arrabbiato che, quasi sicuramente, non sarà capito. Magistrale interpretazione di Fabio Rondanini alla batteria.
Monologo di Bisio in difesa di Baglioni e poi immancabile schitarrata con tutti i successi del presentatore di Sanremo.
Salgono sul palco Federica Carta e Shade con Senza farlo apposta. Duetto rap, il primo brano in gara che porta sul palco dell’Ariston questo genere. Lei ha una gran voce, soprattutto nel ritornello, per il resto è il classico tentativo di armonizzare un qualcosa che dovrebbe essere “spigoloso” per natura. Dove è finito il rap incazzato e affilato? Ce l’hanno fatto vedere Silvestri e Rancore, il resto è aria fritta.
È il turno di Ultimo con il brano I tuoi particolari. Pianoforte, voce e un testo abbastanza scontato. Niente di che, probabilmente Ultimo ha fatto una migliore figura nella gara degli emergenti. Il ritornello è qualcosa di già sentito come tutto l’andamento del brano. Poco convincente.
Torna sul palco dell’Ariston Pierfrancesco Favino che assieme a Virginia Raffaele si cimentano in un grande medley tra Bohemian Rhapsody, Mary Poppins e Sister Act. Molto divertente.
Riparte la gara con Paola Turci e il brano L’ultimo ostacolo. Un rock grintoso e delicato allo stesso tempo fa da cornice all’inconfondibile voce di Paola Turci. Un brano melodico cantato con ruvida dolcezza che fa emergere tutta l’eleganza e il carisma della Turci. Gran bel brano che nella sua semplicità riesce a conquistare l’ascoltatore.
Tocca a Motta con Dov’è l’Italia. Anche qua troviamo un brano “fuori luogo” per il palco dell’Ariston, colpa di un testo impegnativo e della voce affilata e “sgraziata” di Motta. Un buon brano, frenetico e nervoso che porta uno dei maggiori rappresentati dell’underground a contatto col grande pubblico, quello abituato al Bel Canto e che, forse, stenta a capire la consistenza di questi artisti.
Salgono sul palco i BoomDaBash con Per un milione. Sul palco di Sanremo arriva questo pseudo-reggae che ha fatto il successo dei BoomDaBash. Sicuramente mette allegria e pure il testo non è male, sembra un po’ forzato nel risultare più sanremese possibile e meno reggae, forse l’arrangiamento orchestrale non facilita le cadenze tipiche del genere e tutto sembra non troppo fluido.
È il turno di Patty Pravo e Briga per il brano Un po’ come la vita. C’è qualche problema tecnico nell’orchestra dell’Ariston e si temporeggia un po’ ma il silenzio era comunque migliore di questo guazzabuglio di voci portato sul palco dai due. Patty Pravo è visibilmente alterata e sembra quasi non conoscere il pezzo. Briga fa il suo lavoro, peccato l’essere penalizzato dalla sua compagna. Il brano è il classico pezzo sanremese ma eseguito nel peggiore dei modi.
Arriva Simone Cristicchi con Abbi cura di me. Cristicchi è un cantastorie, pianoforte e voce narrante, un momento intimo e delicato. Per il momento questo è il brano più intenso del Festival, un racconto sotto voce, delicato e struggente.
Un buon ritorno per Cristicchi che porta sul palco dell’Ariston la sua delicatezza e la sua competenza di scrittore e cantastorie. Molto intrigante, sulla metà del brano, questa apertura orchestrale che amplifica l’intensità del brano e porta il tutto alla chiusura. Molto bene.
Torna sul palco di Sanremo Giorgia.
Riparte la gara con Achille Lauro col brano Rolls Royce. C’è davvero bisogno di commentarlo? Ad esclusione di questo andamento un po’ tagliente il resto è decisamente poco interessante. Sembra un versione triste e senza niente da dire del primo Vasco Rossi, non è ben chiaro il contesto e il perché di tutto questo.
È il momento di Arisa con Mi sento bene. Arisa ha una gran voce e dopo un intro “truffa” con pianoforte e voce, il pezzo esplode su queste sonorità più movimentate e piuttosto allegre. Forse un po’ simile ad altro materiale presentato da Arisa ma è comunque una buona prova vocale e ha un arrangiamento niente male che resta subito in testa. Un bel ritorno sulla scena.
Tocca ai Negrita con I ragazzi stanno bene. Purtroppo i Negrita sembrano un po’ la brutta copia di se stessi che continua a proporre le stesse cose e le stesse frasi da una vita, senza mai andare veramente avanti. Il pezzo è già sentito e un mix di tutto il loro repertorio migliore, non decolla e anche vocalmente è molto sforzato. Purtroppo non ci siamo. In realtà sembrano anche piuttosto scocciati di stare sul palco, cose se glielo avesse imposto il dottore di stare in gara.
Arriva all’Ariston Claudio Santamaria. Parte il siparietto con Baglioni, Bisio e la Raffaele che decidono di intornare Nella vecchia fattoria.
Riparte la gara con Ghemon col brano Rose viola. Per la prima volta dopo molti anni sembra che l’arrangiamento orchestrale sia riuscito a valorizzare un pezzo rap. Il brano funziona discretamente sul verso, il ritornello è un po’ troppo scontato ma quantomeno non è stato storpiato da un arrangiamento poco felice. Diciamo che Sanremo non è proprio il terreno migliore per questo genere e Ghemon non fa eccezione, ma almeno l’arrangiamento stavolta non dispiace.
Tocca a Einar con Parole nuove. Il classico pezzo pop che parla d’amore e non aggiunge molto altro. È interessante l’apertura di synth sul ritornello, fa crescere un po’ il pezzo ma per il resto è tutto troppo canonico. Il brano segue un po’ questa tendenza all’elettronica e per certi versi ci può stare, ma manca proprio di contenuti.
Arrivano gli Ex-Otago con Solo una canzone. Un brano moscio, con un arrangiamento scarno e un testo poco interessante. Un brano che non comunica molto e non cattura proprio l’attenzione. Diciamo che è il classico pezzo indie, più moscio e più “sterile” forse a causa della pressione sanremese o di un palco troppo “impegnativo”.
Sale sul palco Anna Tatangelo con Le nostre anime di notte. Il classico brano alla Tatangelo: canonico e scontato. Il brano adatto all’Ariston che porta sul palco la sicurezza di un genere che, tutto sommato, piace e ha possibilità di scalare la classifica. Classicone senza troppe pretese.
È il momento di Irama con il brano La ragazza con il cuore di latta. Una sorta di rap dai toni pacati e soffusi. Il verso è un fiume in piena di parole, il ritornello sembra una sorta di gospel dalla melodia prepotente e “insistente”. Il brano ha una sfumatura internazionale che sembra a proprio agio sul palco dell’Ariston. È un brano intenso, con qualcosa da dire e una storia da raccontare. Forse il primo pezzo sanremese di quest’anno ma con uno spessore e dei contenuti.
Tocca a Enrico Nigiotti con Nonno Hollywood. Anche qui l’artista ricorre a una linea vocale a mo’ di narrazione che tira fuori la parte melodica sul ritornello. Il pezzo resta un po’ scarno, forse è un problema di arrangiamento e a poco serve l’ingresso della ritmica. Il testo è anche condivisibile ma la parte musicale è poco coinvolgente, forse l’arrangiamento orchestrale andava un po’ “gonfiato”, diciamo che questo pezzo poteva essere giocato meglio.
Ultimo concorrente in gara, è il turno di Mahmood col brano Soldi. Un rap brutto ma proprio brutto. Zero contenuti e una vocalità proprio tremenda. Siamo arrivati all’una di notte e questo pezzo potevamo risparmiarcelo. Tremendo.
Sanremo 2019, la classifica provvisoria della prima serata.
Prime Posizioni:
Ultimo
Loredana Bertè
Daniele Silvestri
Irama
Simone Cristicchi
Francesco Renga
Il Volo
Nek
Posizioni Intermedie:
Enrico Nigiotti
Federica Carta e Shade
BomDaBash
Negrita
Paola Turci
Anna Tatangelo
Patty Pravo e Briga
Arisa
Ultime Posizioni:
MahMood
Achille Lauro
Nino D’angelo e Livio Coro
Einar
Ghemon
Motta
Ex Otago
The Zen Circus
Chiude così la prima serata del sessantanovesimo Festival di Sanremo, una serata forse un po’ troppo statica dove, in certi momenti, è stata la noia a fare da padrone.
Ci sono stati parecchi artisti che hanno sorpreso positivamente e, nonostante la classifica provvisoria potrebbe essere poco fedele alla realtà dei fatti, si può ancora ben sperare.
Quest’anno c’è stata una “rivincita” dell’underground ed è una cosa molto interessante, soprattutto nell’ottica della grande qualità di alcuni dei brani presentati, che hanno notevolmente alzato la media, anche se sembra che la massa stenti un po’ a capirlo.
Vedremo come andrà a finire, è pur sempre Sanremo e non è che ci si può aspettare una rivoluzione in tutto e per tutto; è una rivoluzione in pillole: a piccole dosi giornaliere (almeno per questi 5 giorni) con la speranza che serva come cura certa stagnazione.
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