Sophia, la missione UE sui migranti che l’Italia vuole cambiare. Qual è la “strategia Conte”?
Da parte italiana non vengono più ritenute applicabili, anche alla luce delle conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno, le attuali disposizioni del piano operativo della missione Sophia…l’Italia non può essere più il solo luogo di sbarco dei migranti che vengono soccorsi dalle proprie unità”. Lo ha detto lo scorso martedì il nostro ministro degli esteri Moavero Milanesi.

A queste parole è seguita una lettera formale del presidente del Consiglio Conte a quello della Commissione europea Juncker e del Consiglio europeo Tusk. Nella missiva è stata richiesta una “cabina di regia europea” per la gestione degli sbarchi.
Dunque cambiare Sophia (definita dai ministri Salvini e Toninelli “un folle accordo”) e costruire questo nuovo coordinamento. Si tratta di due nostre proposte (arrivate dopo le minacce dello stesso ministro degli Interni di chiudere i porti non solo alle Ong, ma anche alle navi militari dei nostri partner) che stanno raccogliendo parziali adesioni tra le istituzioni del Continente. Ma non tutto è come appare. Cos’è questa missione e che quale forza possiede realmente la strategia del governo Conte?
LA MISSIONE EUROPEA “SOPHIA”
La European Union Naval Force Mediterranean (il cui acronimo è EUNAVFOR Med) è la missione europea istituita il 18 maggio 2015 e lanciata nel mese successivo in seguito all’affondamento, del 18 aprile 2015, di un peschereccio con oltre 800 migranti a bordo. Si tratta di quell’episodio, ultimo di una serie di morti in mare, che L’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha definito “il più grande disastro della storia recente“.
Il 26 ottobre dello stesso anno viene integrata la sua denominazione con “Sophia”, nome della bambina nata ad agosto su una nave tedesca della missione, da una madre somala recuperata dopo un naufragio a largo delle coste libiche. Un modo per rendere più empatico l’intervento europeo.
Contrariamente a quanto si pensi, come è scritto sullo stesso sito di Sophia, il mandato principale della missione è: “individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti (di migranti e non), al fine di contribuire ai più ampi sforzi dell’UE di distruzione del traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale meridionale e di prevenzione dell’ulteriore perdita di vite umane in mare”.
Il comando della missione è italiano (il comandante è l’ammiraglio di divisione Enrico Credendino). La sede operativa è a Roma. Anche la nave ammiraglia dell’operazione, quindi, è italiana. Al momento è la San Giusto.

Sophia è finanziata da 26 paesi europei (per una cifra intorno ai 6 milioni annui) e ha potuto contare fino ad ora su elicotteri e navi provenienti da vari stati UE: oggi sono operativi 5 elicotteri e 6 navi (mezzi italiani, spagnoli, irlandesi, tedeschi, francesi, sloveni, olandesi e polacchi).
Dopo una prima fase di sorveglianza e di valutazione delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo, durata qualche mese, la missione è fin dall’ottobre del 2015 nella sua seconda fase. Questa consiste nel procedere a fermi di trafficanti, oltre ad ispezioni e sequestri di imbarcazioni e strumenti, con distribuzione degli incarichi fra un’area in alto mare e una sulle coste libiche.
La terza fase, ancora non attivata, prevede la neutralizzazione delle imbarcazioni e attività di contrasto ai contrabbandieri direttamente sul territorio libico.
Nel frattempo, in occasione delle due proroghe del 2016 e del 2017, sono stati aggiunti altri due compiti:
- La formazione della guardia costiera e della marina libiche e il contrasto al traffico di armi;
- L’istituzione di un meccanismo di controllo del personale in formazione, la creazione di nuove attività di sorveglianza sul traffico illecito di petrolio dalla Libia e l’avvio di un maggiore scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie europee.
Ad oggi Sophia ha condotto all’arresto e al trasferimento alle autorità italiane (quelle più vicine ed attrezzate) di un totale di 143 persone, sospettate di tratta e traffico ed ha neutralizzato 545 imbarcazioni utilizzate illecitamente.
L’ultima proroga scade tra pochi mesi: il 31 dicembre 2018. Entro questa data bisognerà decidere se la missione continuerà o no.
COSA C’ENTRA CON I SALVATAGGI IN MARE E QUANTE PERSONE HA SALVATO
Ma a questo punto direte: cosa c’entra tutto ciò con i salvataggi in mare?
Le navi che prendono parte alla missione, secondo il diritto internazionale, devono intervenire (come del resto ogni altra imbarcazione pubblica o privata) in caso di naufragio se si trovano in una zona utile rispetto all’emergenza.

La missione opera in acque internazionali, italiane, maltesi e libiche. Tuttavia in assenza di un Maritime Rescue Coordination Center (Mrcc) libico e vista l’impreparazione e la tendenza a delegare dei maltesi, è la Guardia Costiera italiana a coordinare questi soccorsi. D’altronde il primo Mrcc che riceve notizia di una situazione di emergenza, anche fuori dalle proprie acque territoriali, ha la responsabilità di gestire la situazione.
Dal 2015 ad oggi, così, Sophia ha contribuito al salvataggio di 44.251 vite. Parliamo di appena l’8,5% (circa) dei migranti che sono arrivati in Italia dalla sua introduzione.
IL RAPPORTO CON TRITON, THEMIS E L’ACCORDO ITALIA-LIBIA
Un’altra domanda sorge spontanea: perché lo sbarco finale avviene sempre in Italia, come sottolineato da Moavero? Accade questo perché Sophia fa riferimento al piano operativo dell’operazione Triton dell’agenzia Frontex (L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea). Quest’ultima prevedeva che l’approdo fosse unicamente nel nostro Paese.
Prevedeva perché Triton (operazione di sicurezza per la protezione delle frontiere e gestione dei flussi migratori di sostegno all’Italia, avviata nel 2014, che ha realizzato circa il 27% dei salvataggi in mare da allora fino ai primi mesi del 2017) è stata smantellata lo scorso febbraio (2018) e sostituita dalla missione Themis.
Quest’ultima ha eliminato nel suo piano operativo la dicitura “Italia” per lo sbarco, sostituendola con “porto sicuro più vicino”, che comunque nella pratica è quasi sempre il nostro paese. Inoltre ha sottolineato una maggiore attenzione ai possibili terroristi presenti sui barconi (anche se i casi registrati fino ad ora si contano sulle dita di una mano) ed ha definito nuove aree di pattugliamento in base al modificarsi dei flussi migratori (iniziando a seguire anche la rotta migratoria tra Turchia, Grecia ed Albania ad est e quella tra Tunisia ed Algeria che guarda all’Italia ad ovest).

Quindi Sophia fa letteralmente riferimento ad una missione morta.
In tutto ciò, poi, visto l’accordo siglato tra Italia e Libia nel gennaio del 2017 (che prevede fondi, mezzi ed addestramento forniti da governo e militari italiani alla Guardia Costiera libica, affinché salvi i migranti naufragati e li riporti indietro), gli sbarchi ad oggi sono drasticamente crollati. A luglio, per esempio, sono arrivati a un -80% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in cui già erano calati.
LA “STRATEGIA CONTE”
Detto tutto ciò la strategia del governo italiano – che per correttezza chiamiamo Strategia Conte, ma che in realtà è frutto di mediazione tra Salvini e Di Maio – appare debole.
L’idea è quella di condividere almeno parte degli sbarchi da navi UE cambiando il piano operativo di Sophia e creando quella cabina di regia citata, vista l’impossibilità di modificare radicalmente il trattato di Dublino (che obbliga i paesi di primo approdo a farsi carico delle richieste di asilo ed è difeso dai paesi del gruppo di Visegrad).
Questo coordinamento ipotizzato, guidato dalla Commissione Europea, dovrebbe evitare che per ogni nave che richiede l’attracco da noi si debba aspettare il giro di telefonate dei leader del Continente per smistare i migranti. La cabina di regia, per l’Italia, sarebbe così un tavolo organizzativo che di volta in volta, sentiti vari paesi, stabilisce i porti d’approdo e le nazioni che si possono dividere i migranti, per poi identificarli sul loro territorio (capendo se sono rifugiati ed in caso, visto Dublino, tenendoseli).
Tuttavia se cambiare Sophia significa adeguare il suo piano operativo a quello di Themis, si farà qualcosa di ben poco risolutivo. Al massimo la responsabilità dell’approdo sarà condivisa tra Italia e Malta. E’ pur vero però che, anche in questi mesi (dopo l’arrivo di Themis), non si è visto un così grande coinvolgimento di La Valletta.

Per agire in modo migliore andrebbe cambiato anche Themis. L’obiettivo dovrebbe essere trasformare quel “porto sicuro più vicino” in “porto sicuro individuato tra i paesi europei”. Anche la cabina di regia può andar bene, ma, rimanendo su base volontaria, non darà mai adito ad una stabile e certa condivisione dell’onere migratorio.
In realtà il governo dovrebbe spingere per tornare ad una redistribuzione obbligatoria dei rifugiati politici (invertendo la rotta dell’ultimo documento del Consiglio europeo). Successivamente, in mancanza di accordo per cambiare Dublino, si può pensare di avviare un progetto di condivisione duratura dei flussi migratori tra i paesi desiderosi di collaborare. Questi paesi vanno individuati e con loro va firmato un impegno per far sì che, anche se la maggior parte dei migranti continuasse a sbarcare da noi, questi vengano comunque re-distribuiti per essere identificati nei territori di diversi Stati.
COSA DICE L’EUROPA
Nel frattempo la riunione degli ambasciatori dell’Unione europea nel Comitato politico e di sicurezza (Cops), che si è tenuta a Bruxelles, ha stabilito una revisione strategica di Sophia entro le prossime settimane. Tuttavia ha respinto l’idea di un cambiamento del piano operativo.
La Commissione europea, invece, ha accolto lo spirito della proposta Conte. Nel farlo, però, ha ricordato che l’UE non ha competenza nella definizione del porto sicuro dopo un’operazione di salvataggio e che comunque il coordinamento può essere soltanto una soluzione temporanea. Al più presto, però, arriverà un suo progetto di risposta all’Italia.
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