Storia del Giro d’Italia: tutte le sfide entrate nella leggenda
Il 2017 è l’anno della centesima edizione del Giro d’Italia, una delle corse ciclistiche più importanti al mondo. L’idea della nascita della corsa fu del direttore della Gazzetta dello Sport dei primi del Novecento: Tullio Morgagni. Bruciata sul tempo la concorrenza del Corriere della sera. Dal 1909, anno della prima edizione, tante sono state le sfide entrate nella storia del Giro d’Italia e nel cuore degli appassionati.

Le origini della corsa rosa e la prima rivalità storica.
La prima edizione del Giro d’Italia parte con la tappa che da Milano arriva a Bologna, nella notte del 13 maggio 1909. Il regolamento prevede una classifica a punti. La graduatoria a tempo entrerà in vigore a partire dal 1914. Inoltre non viene assegnata la maglia rosa (introdotta nel 1931).
La prima tappa va a Dario Beni. Quell’edizione non fu esente da problematiche; basti pensare che nel corso della prima prova, alcuni ciclisti arrivano al traguardo il giorno dopo. Nel 1909 il vincitore del Giro fu il varesino Luigi Ganna con 25 punti, che si aggiudicò 3 tappe su 8. Secondo al traguardo Carlo Galetti, che ne totalizzò 22.
A partire dall’edizione successiva nacque la prima storica rivalità al Giro. Una lotta tra squadre, tra l’Atala e la Legnano. La prima ha tra le sue fila Ganna e Galetti; la seconda, invece, la stella francese Lucien Petit-Breton.
Quello del 1910 fu un Giro pieno di veleni. Al termine della seconda prova, vinta dal francese Dortignacq, Galetti e Petit-Breton – rispettivamente secondo e terzo di tappa – vengono alle mani. Durante il giorno di riposo, invece, i ciclisti dell’Atala alzano un polverone, dichiarando di essere stati addirittura avvelenati.
L’episodio madre, però, avviene dopo la tappa Teramo-Napoli, dominata dalla Legnano che manda sul podio tre uomini. La stessa squadra, però, ne chiede l’annullamento, al fine di far rientrare nei giochi Petit-Breton. Tale richiesta nasce dal fatto che quasi tutti i ciclisti della Legnano sbagliarono strada a causa di un’alluvione. La giuria lascia la decisione finale all’Atala, che ha un suo uomo (Ganna) primo in classifica. La squadra rifiutò l’annullamento, provocando il ritiro dal Giro della Legnano e dell’Atena.
Le restanti tappe vengono tutte vinte da atleti dell’Atala. La classifica finale se lo aggiudica Galetti, che taglia il traguardo di Milano per primo.
Il primo dopoguerra nel segno di Girardengo, Belloni…
Il Giro d’Italia viene sospeso dal 1915 al 1918, a causa della Prima Guerra Mondiale. Nel 1919 la corsa riparte, e lo fa con una prima tappa che da Milano arriva Trento. La vittoria va a un giovane ciclista ligure, che diventerà uno dei primi campioni amati dal grande pubblico: Costante Girardengo.
Girardengo è il primo nella storia a rimanere in testa dall’inizio alla fine di un Giro (1919). Non a caso il soprannome “Il campionissimo” verrà coniato proprio per lui. Chi ne uscì penalizzato dalla rapida ascesa di Girardengo fu il lombardo Gaetano Belloni. I due erano grandi amici, al punto che la madre di Belloni preparava i rifornimenti prima delle gare anche a Girardengo (era decisamente un’altra epoca!).
Belloni fu soprannominato “eterno secondo“; nonostante ciò, però, riuscì a vincere il Giro d’Italia nel 1920.
…e Brunero.
Da lì in avanti il grande rivale di Girardengo sarà il piemontese Giovanni Brunero. I due cominciano a darsi battaglia già dal Giro del 1921. Il campione ligure domina inizialmente quell’edizione, conquistando le prime quattro tappe. Alla quinta però, la Chieti-Napoli, avviene l’incredibile: Girardengo si ritira dopo aver accumulato un forte ritardo a causa di una caduta. Ad approfittarne subito è Belloni, che vince e diventa leader. Alla settima, la Roma-Livorno, trionfa invece Giovanni Brunero, che si prende la testa della classifica mantenendola fino alla fine. A Belloni non bastano i successi nelle ultime tappe. Il lombardo termina secondo.
La rivalità tra Girardengo e Brunero s’inasprisce alla Milano-Sanremo del 1922, con Brunero che vince approfittando di una caduta da parte di un addetto di Girardengo. La stessa vena polemica si ritroverà anche nel Giro d’Italia dello stesso anno. A causa di una squalifica prima data e poi tolta a Brunero, per protesta la Bianchi di Girardengo e Belloni abbandona a metà corsa. Lo stesso faranno anche altre squadre; tutte tranne la Legnano, team del piemontese, il quale, approfittando della situazione, conquista per il secondo anno consecutivo il Giro d’Italia.
Girardengo rimanda così la lotta all’anno successivo. Insieme al rivale campione uscente, il ligure è ancora una volta tra i favoriti. Quello del 1923 fu un Giro letteralmente dominato da Girardengo, che vince ben 8 tappe su 10. La fotografia di quell’anno è la Napoli-Chieti, nella quale Girardengo insegue per 4 ore il rivale diretto prima di passarlo e conquistare la tappa. Il ligure vince l’edizione del 1923 con 37 secondi di vantaggio su Brunero, il quale si rifarà nel Giro successivo.
Una rivalità leggendaria: Coppi e Bartali.
Se c’è una rivalità che ha saputo appassionare e dividere davvero i tifosi, è il dualismo tra Gino Bartali e Fausto Coppi; due autentici campioni del ciclismo che, con le loro battaglie, hanno contribuito alla storia di questo sport.
Gino Bartali debutta al Giro d’Italia 1935, concludendolo al settimo posto. Nei due anni successivi, il toscano diventa il padrone del Giro, conquistando in entrambe le edizioni.
Nel 1940 Gino Bartali si presenta al Giro d’Italia ancora tra i favoriti. Ad affiancarlo c’è il ventenne Fausto Coppi, all’epoca da poco affacciatosi al professionismo. Obiettivo del ciclista di Castellania è quello di aiutare il toscano a conquistare per la terza volta la maglia rosa. Il Giro parte ancora una volta da Milano. Nella seconda tappa, la Torino-Genova non tutto va come previsto; Bartali cade sfiorando la rottura del femore, mentre Coppi tenta più volte di accelerare, ritrovandosi nel gruppo di testa. È qui che avviene una sorta di passaggio del testimone all’interno della squadra. Fausto Coppi terminerà quella tappa al secondo posto dietro a Pierino Favalli; Bartali vede invece già aumentare notevolmente il distacco dall’allora maglia rosa, Osvaldo Bailo.
Coppi centra la prima vittoria all’undicesima tappa. Il campione di Castellania si prende congiuntamente anche la maglia rosa, difendendola fino alla fine. In suo aiuto arriva anche Bartali che, ormai, avendo perso ogni speranza di riuscire a recuperare in classifica – terminerà al nono posto – si travestirà da gregario illustre, accompagnando Coppi fino a Milano. Col ciclista di Castellania, l’Italia trova un nuovo campione.
Coppi entra nella storia.
Il Giro viene sospeso per la Seconda Guerra Mondiale. La prima edizione post-bellica si disputa nel 1946. Coppi e Bartali non sono più compagni di squadra. Il piemontese, infatti, ha scelto di correre per la Bianchi, mentre Bartali, voglioso di riscatto dopo l’edizione del 1940, è rimasto alla Legnano. I due campioni dominano il Giro. Coppi trionfa in tre tappe ma Bartali, nonostante non trionfò nessuna prova, si difese egregiamente sulle montagne, conquistando alla fine la maglia rosa. Vince davanti a Coppi per soli 47 secondi.
Il duello tra i due si rinnova nel 1947. La lotta è bella e aperta fino alla tappa del 12 giugno, quando si corre la Pieve di Cadore-Trento. Bartali è in maglia rosa e niente sembra poterla portagliela via. Coppi, invece, è consapevole che quella tappa potrebbe essere una delle ultime occasioni per cercare di vincere il Giro. Il campione piemontese quel giorno fece il miracolo, staccando tutti gli avversari diretti. Bartali, vedendolo scappare via, nella foga cade due volte. Coppi si prende maglia rosa e secondo sigillo al Giro in carriera.
L’edizione del 1949, invece, verrà sempre ricordata per la storica tappa Cuneo-Pinerolo. In quella prova Fausto Coppi compì un’impresa che è entrata di diritto nella storia dello sport, con una fuga solitaria – nonostante due forature – di ben 190 chilometri. Bartali fu costretto a fermarsi per un problema meccanico. Alla fine della tappa, Coppi taglia il traguardo per primo, conquistando per la terza volta in carriera il Giro d’Italia.
Il sigillo di Gimondi e l’avvento di Eddy merckx.
Sul finire degli anni ’60, il Giro d’Italia assiste al debutto di quello che in seguito sarà conosciuto come “il Cannibale”: il belga Eddy Merckx. Il duello di quegli anni con Felice Gimondi farà battere forte il cuore dei tifosi.
Nel 1967 il Giro festeggia i suoi 50 anni. La tradizionale partenza da Milano salta per una protesta studentesca contro la guerra in Vietnam. Si parte il 20 maggio con la Treviglio-Alessandria; a vincere quella tappa è Giorgio Zancanaro. Il favorito numero uno di quel Giro era il francese Jacques Anquetil, già vincitore nel 1964. Tra gli italiani, invece, tutte le aspettative erano riposte su Felice Gimondi. Alla partenza debutta anche Eddy Merckx, sul quale molti critici, però, non hanno fiducia poiché non lo considerano adatto per le corse a tappe.
Il belga vince due tappe: la Caserta-Block Haus e la Riccione-Lido degli Estensi. Dopo un inizio difficile, anche Felice Gimondi vince, centrando la Udine-Tre Cime di Lavaredo. Tale tappa, però, non vale per la classifica finale, poiché molti ciclisti vengono spinti dal pubblico. Gimondi, appresa la notizia, minaccia di abbandonare la corsa. Volontà che non si concretizza, visto che il lombardo continua a correre. La conquista della maglia rosa arriva al termine della tappa Trento-Tirano. Grazie a quella tappa, Gimondi potè vincere il suo primo Giro d’Italia in carriera. L’esordiente Merckx, invece, termina nono.
L’era del cannibale.
Nel 1968 il belga si consacrerà definitivamente. Quel Giro ha due novità fondamentali: si parte da Campione d’Italia, con una cronometro, e la tappa finale si conclude a Napoli. Dominatore assoluto fu Eddie Merckx, che vinse, pronti via, le prime due prove: la Campione d’Italia-Novara e la Novara-Saint Vincent, conquistando la maglia rosa.
Maglia rosa che perderà a beneficio di Michele Dancelli dalla tappa successiva, prima di riconquistarla definitivamente a metà Giro sulle storiche salite delle Tre Cime di Lavaredo. Delusione, invece, per il campione uscente, già lontano dal gruppo di testa dopo le prime tappe. Gimondi, che si renderà protagonista di un’ottima seconda parte di Giro, terminerà terzo, alle spalle di Vittorio Adorni, gregario del belga. Per Eddy Merckx si trattò del primo successo in una corsa a tappe prestigiosa. Decisamente una bella risposta ai tanti critici che lo consideravano inadatto alle corse lunghe.
Il Giro 1969, invece, verrà ricordato per sempre per il pianto in mondovisione di Merckx che, in un’intervista con Sergio Zavoli, scoppia in lacrime dopo essere stato trovato positivo all’antidoping. La notizia divenne pubblica dopo la Parma-Savoia, al termine della quale il belga indossava la maglia rosa. Risultato positivo a uno stimolante, Merckx viene squalificato. Da quel momento il leader diventa Felice Gimondi; l’italiano difenderà la maglia rosa fino alla fine, in una lotta tutta italiana con Michelotto e Zilioli. Centra il Giro d’Italia per la seconda volta in carriera.
Il ritorno: Merckx entra nella leggenda.
Inizialmente intenzionato a non partecipare, Eddy Merckx ci ripensa e decide di correre il Giro d’Italia del 1970 solo grazie agli inviti dei compagni. Il belga, ancora una volta, trova in Felice Gimondi il rivale più agguerrito. Merckx, trascinato dalla classe e dalla voglia di rivalsa, è devastante; conquista la maglia rosa al termine della settima tappa, cucendosela addosso fino alla fine. Secondo si piazza Gimondi, staccato di oltre tre minuti.
Nel 1972 cambiano le carte in tavola. Invece degli italiani, Merckx si ritroverà sulla sua strada i campioni spagnoli. Il più accreditato di tutti è Josè Manuel Fuente, che alla fine del Giro prenderà comunque più di 5 minuti di svantaggio dal belga. Quell’edizione fu letteralmente dominata dai ciclisti belgi, che totalizzarono 10 vittorie su 20 tappe.
La sfida con Gimondi si ripropone ancora al Giro del 1973, nel quale Merckx conquista la maglia rosa sin dalla prima tappa – emulando Girardengo. L’anno successivo il belga vince ancora, entrando nella storia con il quinto successo. Eguagliato il record di Binda e Coppi.
Dopo tanti piazzamenti, Felice Gimondi si prende la rivincita nell’edizione del 1976, nella quale nè lui nè Merckx partivano con i favori del pronostico. Il lombardo agguanta la sua terza vittoria al Giro, alla veneranda età di 34 anni. Per il ciclista italiano si tratta dell’ultimo grandissimo successo in carriera.
Il duello Moser-Saronni
A fine anni ’70, il ciclismo italiano assiste all’esplosione di due campioni: il trentino Francesco Moser e il lombardo Giuseppe Saronni. La loro rivalità inizia al Giro del 1978. Moser l’anno precedente era arrivato secondo, e si presentava al via con una forte voglia di rivincita; Saronni, invece, è al suo debutto nella corsa. Il lombardo dimostra le sue qualità sin da subito, vincendo la terza tappa, la Novi Ligure-Spezia, prima dell’ottava e della nona. Moser, d’altro canto, trionferà in quattro tappe: Assisi-Siena, Modigliana-Padova, la storica cronometro di Venezia e la crono della diciottesima prova. Il trentino chiuderà terzo in classifica generale, mentre Saronni quinto. La maglia rosa finisce sulle spalle di De Muynck.
La rivalità si accende definitivamente al Giro 1979, nel quale Moser e Saronni domineranno sin dalla partenza di Firenze. Dopo un avvio targato dalla supremazia dal trentino, è il lombardo a spuntarla. A soli 21 anni e 8 mesi, Saronni si aggiudica la classifica generale del Giro d’Italia. La corsa si decise nella cronoscalata di San Marino, dove Saronni vinse indossando la maglia rosa: non lasciò più il primato, risultando uno dei vincitori più giovani della storia del Giro. Il bis – secondo e ultimo Giro vinto – arriverà nel 1983.
Nel 1984 sarà Francesco Moser a vincere per la prima e unica volta in carriera il Giro d’Italia. Il trentino si presentò a quell’edizione con la motivazione a mille; a gennaio 1984, infatti, aveva battuto il record assoluto dell’ora.
Per portare a casa quella maglia rosa ci volle il colpo del campione. Moser compì il capolavoro nella crono finale di Verona, dove l’arrivo in Arena gli consegnò la vittoria.
Quello tra Saronni e Moser è forse l’ultimo grande duello tra due campioni assoluti. I dualismi leggendari hanno segnato la storia del Giro d’Italia e, di conseguenza, la storia di questo sport. Il ciclismo rivive sempre nella memoria e nelle sfide dei grandi campioni.
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