The Monster

images (1)Annaspò. Era a terra, la schiena sbattuta sul suolo polveroso, il sangue che scendeva copioso dalla fronte, appannandole la vista. Per un attimo non aveva visto nulla, se non il cielo plumbeo e gravido di pioggia: l’incantesimo che aveva lanciato poco prima aveva attirato le nubi e tutt’ora lampi azzurro elettrico squarciavano l’orizzonte.

La creatura era lì, la mano stretta intorno al collo del suo compagno Rubin, il Cavaliere Rosso, il giovane dai capelli fulvi e la corazza del medesimo colore. Erano rosse tutte le armature naniche, le migliori a quanto si diceva; eppure Rubin era lì con il petto aperto, gli occhi azzurri vitrei e fissi mentre nella mano ancora stringeva la spada.

Una singola e isolata lacrima scese lungo la sua guancia quando la creatura gettò il corpo del Cavaliere Rosso lontano mentre, arrancando, tese le mani avanti, pronunciando la formula. Il colpo saettò verso il mostro, proprio nel momento in cui con un morso aveva staccato la testa di Joseph, l’arciere elfico migliore amico del Cavaliere Rosso. Per un attimo l’orco oscuro si coprì gli occhi ma si riprese subito, avanzando in carica verso di lei. La maga gettò un ultimo sguardo intorno. Tutti i suoi compagni erano morti, anche lui, il Cavaliere Rosso, l’uomo che amava da sempre. Lui che lei aveva tanto cercato, che l’aveva amata oltre il mostro che appariva, scavando a fondo e andando oltre la superficie.

Chiuse gli occhi restando ferma. Forse avrebbe anche potuto batterlo, ma senza il Cavaliere Rosso non voleva andare avanti. Non aveva senso. Almeno in quel mondo non voleva essere sola.

Attese. Il mostro la travolse, affondando le unghie nel suo petto e aprendolo a metà. Il sangue sgorgò copioso, fiotti rosso scuro che spruzzarono il volto della creatura e impregnarono i suoi abiti. Fu sbalzata in aria e ancora prima che toccasse terra era già morta. Il rosso, il colore di Rubin, avvolse ogni cosa, inondando la sua visuale.

Claudia si alzò dal letto spegnendo la console senza salvare. Avrebbe dovuto rifare quel pezzo di nuovo, per la decima volta. E quello era il livello più basso, per giunta. Appoggiò il joystick sulla scrivania, avviandosi poi verso il bagno. Ogni volta la stessa storia: il boss finale uccideva il Cavaliere Rosso e lei non volevo perdere il suo fidanzato, che certo era solo un ammasso di dati e codici, ma era pur sempre l’unico ragazzo che avesse mai avuto. D’altronde, nella vita reale, chi mai avrebbe potuto amare un mostro come lei, con quei capelli crespi, quelle guance da criceto e l’acne su tutto il viso? Per non parlare di tutti quei rotoletti intorno ai fianchi. Nessun ragazzo avrebbe mai potuto trovarla anche solo interessante, neanche carina.

Controllò l’ora: doveva uscire a breve e ancora era in pigiama. Si affrettò in camera cercando la tuta nera e la felpa analoga, larghe e informi, la sua corazza magica contro le persone normali, ma non la trovò e neppure trovò vestiti simili: il suo armadio era quasi completamente vuoto – da quando si era rotta la lavatrice sua madre aspettava sempre di avere un bel mucchio di panni prima di andare in lavanderia – l’unica cosa rimasta era il vestito che le avevano regalato al suo compleanno, ma che lei non aveva mai indossato. Rimase qualche secondo ad osservarlo. Doveva per forza uscire e quello era l’unico abito. Alla fine si risolse ad afferrarlo rapida, infilandolo senza troppa convinzione, sentendo nel petto annidarsi un gomitolo di ansia. Rivoleva la sua vecchia e cara tuta, quello strato in grado di coprirla agli occhi del imagesmondo e alle sue cattiverie, perché aveva imparato sulla sua pelle – nonostante avesse appena diciassette anni – che la gente era cattiva, ma cattiva davvero, parlava e agiva divertendosi a ferire e umiliare gli altri, quasi inconsapevole della gravità delle sue azioni. Preferiva annullare ogni rapporto, preferiva quel mondo fasullo in cui però era forte e nessuno poteva ferirla.

Uscì quasi correndo, cercando di non guardarsi, anche se non era affatto brutta come credeva, perché quel chiletto di troppo era certamente più sano delle ossa sporgenti delle sue compagne alla moda. Cercò di sbrigarsi, tenendo la testa bassa per tutto il tragitto, saltando giù dal bus non appena aprì le porte e ritirando febbricitante dall’ottico il pacchetto per sua madre.

– “Ehi tu, ragazza con il vestito blu! Stiamo facendo una promozione per pubblicizzare nuovi prodotti. Posso truccarti?”

Prima ancora che Claudia potesse replicare la commessa l’afferrò per un polso, trascinandola dentro il negozio e facendola sedere di fronte a un enorme specchio. Claudia non si era mai truccata. O meglio, una volta ci aveva provato, ma un compagno di classe le aveva detto che era addirittura più brutta di prima, così aveva smesso di farlo. La commessa le stava spiegando quali prodotti aveva usato, mostrandole come fare, ma Claudia non la stava ascoltando, era certa che fosse peggio di prima. Solo alla fine sgranò gli occhi dalla sorpresa nel vedere che si piaceva. Il trucco era leggero e neppure si percepiva molto, eppure nell’effetto finale lei si piaceva di più.

Uscì dal negozio con un pacchetto stretto tra le mani, non del tutto conscia di ciò che aveva appena comprato. Guardò l’orologio al suo polso, sedendosi alla fermata. In profumeria aveva perso molto tempo e l’autobus non sarebbe passato prima di mezz’ora. Sentendosi in soggezione si nascose dietro il libro che teneva nella borsa, il secondo volume di World of Warcraft, ma la sua attenzione fu catturata dalla ragazza accanto a lei, il classico tipo alla cui presenza si acuiva i suoi complessi di inferiorità: bella, alta, sicura di sé e, soprattutto, magrissima. Aveva una vitina di vespa che sarebbe entrata per certo nelle sue mani. Claudia rimase a fissarla di nascosto, il naso celato dietro il libro aperto, come in trance. Quell’ignara ragazza rappresentava il mondo al quale anelava da sempre ma che invece l’aveva sempre evitata.

E poco importava se chi viveva in quel mondo aveva uno stile di vita poco sano o sbagliato, se saltava i pasti e aveva le ossa in vista: era ciò che tutti trovavano bello e giusto e che anche lei aveva finito per vedere in quel modo.

– “Ciao!”

Sussultò. Era così presa dall’altra che non aveva notato l’avvicinarsi del proprietario della voce, un ragazzo dai vivaci occhi azzurri e il sorriso aperto. Lei lo osservò senza rispondere, gli occhi sgranati, ma il ragazzo non si demoralizzò, continuando: “Anche a me piace quel libro. Conosci anche il gioco?”

E continuò, inoltrandosi sempre di più nell’argomento e coinvolgendo con il suo entusiasmo Claudia, che iniziò a sciogliersi un poco, balbettando qualcosa timidamente per poi aprirsi sempre di più.

Parlarono e parlarono senza accorgersi del tempo che passava, fermandosi solo quando in lontananza scorsero l’autobus di Claudia.

– “Senti”, disse il ragazzo di colpo, “possiamo rivederci? O almeno, posso aggiungerti su Facebook?”, domandò timidamente, evidentemente imbarazzato.

660890_CVIG22Y8G1347IE4QKMILIMFGC5ZAA_malinconiaii_H160331_LClaudia restò ancora una volta in silenzio, fissando la sua maglietta rossa.

– “Non ho Facebook”. Si interruppe un secondo. “Ma ho Skype, se ti interessa”, aggiunse esitante, scribacchiando su un foglio che lui le porgeva il nickname.

L’autobus arrivò in quel momento e Claudia salì sopra, voltandosi solo un istante a salutarlo, sentendosi improvvisamente privata di un grande peso.

Questa non è una storia, come a una prima lettura potrebbe apparire, “superficiale”, di una ragazza che riesce a trovare un fidanzato e realizza il suo sogno d’amore, ma vuole mettere in risalto una complicanza che spesso viene criticata e cui (a mio avviso) non si dà la giusta importanza, perché viene bollata come “una cosa stupida”: i problemi legati all’aspetto fisico.

Sono la prima a sostenere che esso sia una cosa futile, ma, purtroppo, questo non cambia che molti giovani (specie ragazze) soffrano a causa sua. E che tutto ciò abbia (per quanto sbagliato sia) dei risvolti nel mondo sociale.

Nella parte finale del racconto la situazione cambia semplicemente perché è Claudia che si piace di più. Ovviamente ciò non deve essere letto come: “Se non piacciamo cambiamo ciò che siamo”. E’ proprio qui forse il messaggio più sottile. Claudia, anche se non si piaceva, si sforzava di apparire in quel modo per essere accettata perché  era convinta che il suo non rientrare in certi canoni la dovesse far vergognare, senza rendersi conto che aveva tutto il diritto – e il dovere – di camminare a testa alta.

Con questo, ripeto (e ci tengo che la questione sia chiara) non voglio dire che l’aspetto fisico sia qualcosa di importante, voglio solo dire che purtroppo esiste. E come tutti gli altri fattori determina il nostro muoverci nel mondo e il rapportarci con le persone.

Il mio racconto vuole essere d’aiuto (come sempre) e vuole cercare di far capire che non bisogna temere l’aspetto fisico o farci manovrare da esso. Tutti noi abbiamo il potere di rimetterlo al proprio posto e controllarlo, sovrastarlo e ridurlo all’appendice che è. Senza soffrire o farci cambiare a casa sua.

Martina Monti.

 

Martina Monti

Studentessa di Editoria e Scrittura presso la Sapienza di Roma. COLLABORATRICE SEZIONE CULTURA.

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