Un discorso sciatto
Un discorso sciatto, molle, piatto. Berlusconi, colui che si definisce (con una morigerata quantità di modestia) il “miglior Premier degli ultimi 150 anni”, non ha vinto la sua sfida, riuscire a fare risalire la borsa. Anzi, ha ottenuto il contrario. L’uomo ha sfoderato il discorso più moscio e lento della sua carriera. E forse degli ultimi 150 anni. Oddio, non che si possa rimpiangere l’omino “con il sole in tasca” che fa cucù alla Merkel e le corna nelle foto del G8. Con questo stile la borsa sarebbe crollata dell’8 per cento; al massimo ci dobbiamo ritenere fortunati, se la borsa è crollata solo del 5%. Ma ci si aspettava almeno uno dei suoi coup de théâtre, qualche parola che facesse scattare un cambiamento. Un sussulto di vitalità. Un’idea nuova. Uno straccio di lenzuolata alla Bersani. E si che lo spostamento d’orario dei due discorsi in Parlamento faceva presagire qualche segnale importante, che non sarebbe stato utile dare a mercati aperti. Ma forse lo spostamento di ieri è stato dettato dal terrore che l’intervento del Presidente del Consiglio affossasse anzi tempo e senza margini di risalita una seduta di Piazza Affari già di per sé non splendida. Il differimento non ha risolto il problema – lo ha solo procrastinato – ed oggi l’intervento del Premier ha dato il suo effetto.
Nessun colpo di scena, nessun predellino, nessun contratto con gli italiani. Il discorso di ieri sera non è stato un discorso da Berlusconi come lo conosciamo, quello che nei momenti di difficoltà tira fuori il coniglio da cilindro e inventa una delle sue diavolerie, capaci in quattro e quattr’otto di fargli riacquistare credito, almeno tra i suoi. Un Presidente stanco, in imbarazzo mentre legge parole che forse non ha neanche scritto. Costretto ad ammettere che una crisi c’è, una crisi che ha negato fino all’altro giorno (o che, a seconda della versione, era già alle spalle senza essere mai iniziata). L’imbarazzo cresce quando il segretario (non si sa bene di cosa) Alfano riceve più applausi del leader indiscusso. Roba da matti, scenari inediti, cose che non si erano mai viste in questi lunghi 15 anni. Un Berlusconi che si fa superare dal suo segretario non è Berlusconi. E’ quello che resta di Berlusconi, una sua pallida immagine politicamente moribonda. E’ un Berlusconi bloccato, indebolito, ma proprio per questo pericoloso quanto il Berlusconi dei deliri di onnipotenza.
Spazzati via dal discorso gli attacchi e le battutine osé, quello che è rimasto ieri sera è stato un lungo elenco delle cose (presunte) fatte. Niente di più. Ah dimenticavo, anche la “conferma” che il nostro paese è solido, che le nostre aziende sono stabili, che il debito pubblico è sotto controllo, che siamo poco indebitati, che la nostra situazione è “migliore di altri paesi”, che le famiglie in fondo stanno bene. E le tasse sono diminuite, aggiungo io. Un quadretto idilliaco a cui non crede neanche lui, ma visto che bisognava dire qualcosa al Parlamento e Gianni Letta non avrebbe approvato barzellette porno, si doveva trovare qualche “contenuto” (e cosa meglio di una lista del “lungo lavoro svolto”?). Peccato solo che l’allegro ritratto del nostro Paese illustrato al Parlamento è andato a cozzare con il peggior tonfo finanziario dell’anno, a conferma che il Paese incantato tratteggiato dal Premier non esiste.
Anche il clima generale della maggioranza non è stato dei migliori, ieri sera. Un ministro Tremonti cadaverico alla sinistra del Capo, assorto al pensiero della prossima manovra correttiva, in alcuni momenti quasi a disagio. E c’è chi, dietro le quinte, racconta di un lungo colloquio tra i due appena prima del discorso, forse per scongiurare cattivi risvolti nelle indagini sul presunto spionaggio (ora si che Tremonti ha il coltello dalla parte del manico). Ministri e sottosegretari (con Daniela Santanchè ed Ilaria Ravetto schierate in prima fila) intenti a tutto tranne che ad ascoltare. Un gruppo del PdL con vari assenti, indispettito per il ritardo della seduta, pronto a scappare via appena dopo aver svolto il dovere d’ufficio di applaudire il Presidente diretto verso il tramonto. Un Alfano che parla a braccio e un Cicchitto immerso nel torpore al suo fianco. Un clima di vacanza che invade tutti. Ma non dimentichiamo il grande assente, Umberto Bossi. Strano che visite e operazioni caschino tutte nei giorni sbagliati.
Uno scenario che sarebbe ridicolo, se non fosse raccapricciante. Di questo passo, ti dici, la situazione non può fare altro che peggiorare. Senza una minima idea di come risolvere la situazione, siamo destinati a fare la fine della Grecia. Ma a tappe forzate, con un Esecutivo che si è dimostrato (e continua a dimostrarsi) incapace di fare fronte alla situazione. E pure “l’ultima spiaggia” prima delle vacanze non ha ottenuto l’effetto desiderato. L’incontro governo-parti sociali, conclusosi con qualche vaga promessa per Settembre, ha fatto crollare la borsa di un altro mezzo punto. Ammirevole.
Per concludere un discorso che non ha convinto nessuno mancava solo il tocco finale, “Sono anche io in trincea”. Sospiro di sollievo. Inizierà a lavorare per ridare fiducia all’Italia? Cercherà di allentare la morsa della speculazione? Tenterà, con istinto patrio, di risollevare l’Italia (suo slogan politico del 2008)? No, è in trincea perché, va ricordato, “Sono un imprenditore che ha tre aziende in Borsa”. E, mentre l’Italia va a picco, c’è il rischio che quelle tre aziende restino il suo unico pensiero.
P.S. Ore 14.50, Agenzia di Stampa Asca: “Se avessi risparmi, investirei nelle mie aziende”. Come volevasi dimostrare.
GIORGIO MANTOAN