Unioni civili in Grecia? L’Italia e il rischio di essere ultimi
Syriza apre alle unioni civili in Grecia. Questa la notizia che, negli ultimi giorni, impressiona la comunità LGBT e la società civile del nostro paese. Non stiamo parlando del parlamento di un paese nordico, ricco e tradizionalmente ritenuto più civile di altri, ma del governo di una nazione con una gravissima crisi economica dalle vicende drammatiche, come tutti e tutte ricordiamo. Occorrerebbe notare, per altro, come tra l’annuncio del provvedimento e la data del voto c’è una distanza di poche settimane. La legge dovrebbe essere votata poco prima di Natale. E, ricordiamolo, in una situazione governativa poco favorevole: Anel, il partito di destra nazionalista che appoggia Tsipras, voterà contro infatti.
È importante notare, a questo punto, alcune analogie e alcune profonde differenze tra la situazione italiana e quella greca. Renzi aveva promesso le unioni civili con tutti i diritti del matrimonio e la stepchild adoption per le famiglie arcobaleno entro cento giorni dalla sua nomina a premier. Sono passati quasi due anni, il ddl Cirinnà ha subito più di otto rinvii ed è stato snaturato cancellando ogni rimando al matrimonio. Le coppie gay e lesbiche non sono riconosciute come famiglie bensì come formazioni sociali specifiche e pare che l’adozione del figlio o della figlia del/la partner sarà messa in discussione dai cattolici interni alla maggioranza.
In Grecia Tsipras andrà contro un suo ministro, Kammenos, mentre in Italia Renzi ha paura di Alfano. In Grecia Syriza ricorrerà all’aiuto dell’opposizione socialista, in Italia il Pd – per tenersi buono l’Ncd – rischia di far saltare le trattative con SEL e M5S, che voterebbero il ddl solo senza mediazioni al ribasso. In Grecia c’è un leader che, su questo frangente, si sta dimostrando determinato e affidabile, in Italia abbiamo un presidente del Consiglio che non è in grado di mantenere le sue promesse (e che al momento delle primarie accusava chi lo aveva preceduto dello suo stesso identico comportamento). Nel paese ellenico, accanto ai temi economici, si pensa anche alla qualità democratica del paese, in Italia si oppone sempre il discorso delle “altre priorità”.
Di fronte queste evidenze, è necessaria una riflessione più ampia riguardo l’approvazione dei diritti civili. A livello storico, l’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso rientra in un quadro di progressiva liberazione rispetto al paradigma “maschio-bianco-cristiano-eterosessuale”: si pensi, rispettivamente, a battaglie quali il suffragio femminile, la liberazione dei neri, la fine dello stigma contro gli ebrei e, infine, il movimento di liberazione sessuale. I diritti delle persone LGBT sono il quarto anello di questa lunga marcia verso l’uguaglianza.
A livello geopolitico, i diritti LGBT stanno conquistando un mondo sempre più grande e civilizzato. Trovano cittadinanza a partire dagli anni ’90, in quei paesi di cultura protestante e/o laica, partendo dalle monarchie scandinave (tra Mare del Nord e Baltico). Il fronte dei diritti si è poi spostato sull’asse atlantico e nel 2005 si ha la svolta zapateriana con il matrimonio in Spagna. Dopo quella data, anche il mondo anglo-americano ha progressivamente abbattuto le sue riserve, con Canada, Regno Unito, Irlanda e USA. L’Europa occidentale e mediterranea si è allargata con il marriage pour tous in Francia. Si sta aprendo, quindi, anche il fronte del Mediterraneo orientale, con Cipro e la Grecia. Per non parlare delle zone più decentrate e dei paesi di nuova democrazia (dalla Nuova Zelanda, al Sud Africa fino all’America Latina).
Mancano quindi tre fronti: la Mitteleuropa (Germania, Austria e Repubblica Ceca), che ha già diritti anche avanzati per le coppie LGBT, ma che deve fare il salto di qualità verso il matrimonio egualitario; l’ex blocco sovietico, invece, deve superare la sua tradizionale omofobia, soprattutto in quei paesi che vogliono essere “Europa Unita” (Polonia, Romania, Bulgaria, ecc); c’è infine, la palude italiana, ostaggio di una classe politica inadeguata non solo rispetto a una domanda interna di democrazia, ma anche al cospetto di un cambiamento epocale e planetario. Di fronte a tali trasformazioni – e, si badi, anche al cospetto di un provvedimento ormai superato quali le unioni civili – il nostro paese rischia davvero di essere l’ultimo.