Westworld 3, un nuovo mondo oltre i confini del parco
Westworld – Dove tutto è concesso con la terza stagione cambia pelle e supera i confini del parco, perdendo tuttavia buona parte della propria caratteristica magia.
Era il 2016 quando il mondo venne folgorato dalla prima stagione di Westworld – Dove tutto è concesso , un ibrido sci-fi/western dal ritmo cadenzato, infarcito di riflessioni esistenzialiste sulla dicotomia uomo-macchina degne di Blade Runner (1982) di Ridley Scott, e reso grande da performance allo stato dell’arte di Anthony Hopkins ed Ed Harris.
Qualcosa è cambiato però, a quattro anni di distanza, la serie HBO ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, remake/sequel de Il mondo dei robot (1973) di Michael Crichton e dell’infelice Futurworld – 2000 anni nel futuro (1976) di Richard T.Heffron – giunta alla terza stagione – sembra tuttavia aver completamente mutato pelle, discostandosi e non poco dall’esistenzialismo della prima.
Niente più uomo vitruviano con cui riflettere sulla dicotomia uomo-macchina, o La creazione di Adamo (1511) di Michelangelo Buonarroti con cui raccontare del ruolo di Dio nella vita dell’uomo, e di come la spiritualità sia fonte dell’ingegno umano; la terza stagione di Westworld – con protagonisti Evan Rachel Wood, Tessa Thompson, Thandie Newton, Jeffrey Wright e le new entry Tommy Flanagan, Aaron Paul e Vincent Cassel – è un puro concentrato d’azione, un racconto di fantascienza distopica di near future, al servizio del pubblico.
Un racconto di pura fantascienza d’azione
Il tono del racconto della terza stagione di Westworld – nota con il sottotitolo di The new world – non dovrebbe aver lasciato del tutto sorpresi gli spettatori più attenti della serie HBO; già dalla seconda stagione infatti, era possibile intravedere un radicale mutamento di tono nel dipanarsi del racconto. Con il suo terzo ciclo di episodi, Westworld completa definitivamente la transizione da racconto esistenzialista, elitario, e audace, a fantascienza d’azione, dall’impatto più immediato e netto, ma volto a perdere buona parte della sua magia caratteristica.
Non manca però il solido intreccio – autentico marchio di fabbrica della serie ideata da Lisa Joy e Jonathan Nolan (che ha curato anche la regia della premiere) – con cui Westworld dipana gli archi narrativi dei suoi protagonisti in giro per la propria arena, ben quattro, con cui scandagliare i misteri della Dalos Corporation dentro e fuori dal parco.
La netta evoluzione del tono del racconto, però, non intacca la caratterizzazione dei personaggi, la cui evoluzione risulta coerente con la propria natura, con la Dolores della Wood sempre più anti-eroina in cerca di vendetta, la Charlotte della Thompson ancora frastornata dagli eventi della seconda stagione, e la Maeve della Newton e Arthur/Bernard di Wright a prenderne lentamente le misure tra il caratteristico glitch della prima, e la crisi d’identità del secondo. Interessante, in tal senso, il Caleb di Paul, un’autentica anomalia tra i personaggi di Westworld – essenziale per scandagliare l’ambiente urbano.
Alle soglie del futuro
Ci troviamo così dinanzi a un racconto più similare, nei toni, a prodotti seriali come Altered Carbon (2018 – in corso) misto a Black Mirror, e a pellicole come al sopracitato Blade Runner e The Zero Theorem di Terry Gilliam – un racconto di fantascienza distopica di near future, una pericolosa previsione come solo seppe fare l’accoppiata Kubrick – C.Clarke con 2001: Odissea nello spazio.
L’espediente principale, alla base della terza stagione di Westworld, sta proprio nell’allargare i confini del proprio impianto narrativo, non limitandosi unicamente al parco – ampiamente esplorato nelle prime due stagioni note come The maze e The door – ma mostrandoci tutto ciò che c’è al di fuori, riprendendo gli archi narrativi dei personaggi sopracitati, dopo gli eventi in chiusura della seconda stagione e la relativa fuga dal parco.
Allargando i confini della propria arena, sulla base del sopracitato Futureworld – 2000 anni nel futuro, e della malriuscita serie Beyond Westworld: Alle soglie del futuro – cancellata dopo appena cinque puntate negli anni Ottanta – Westworld riesce a raccontare del ruolo degli androidi nel mondo – qui nella piena consapevolezza della propria natura, e in cerca di affermazione – e delle innovazioni tecnologiche in un futuro non troppo lontano, o per meglio dire “near“; andando così a identificare – alla maniera di Black Mirror – le abitudini degli uomini nella sfrenata ricerca di adrenalina e piacere.
Un gradito ritorno per una delle serie più amate di HBO
In un 2020 falcidiato dall’incertezza più totale nel mondo dello spettacolo (e non solo), il ritorno sugli schermi di Westworld è una delle notizie più belle per gli aficionados della serialità televisiva. Ciononostante, la scelta degli autori – relativa al cambio di rotta – non paga del tutto, depotenziando e non poco il valore di un’opera che dopo la prima stagione aveva tutte le carte in regola per poter entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo così come accadde per Il trono di spade – che da parte sua seppur con un’ottava stagione “straziante”, ha sempre mantenuto una coerenza di fondo e una sua precisa identità.
Il cambio di tono – fin troppo repentino di Westworld – ne riduce di molto la portata, per una crisi d’identità che seppur comprensibile da un punto di vista commerciale (la serie ha perso quasi mezzo milione di spettatori tra i due cicli di episodi del 2016 e 2018), risulta di difficile accettazione per il fan di lungo corso. Toccherà al pubblico l’ultimo giudizio, sul premiare o meno la serie di Jonathan Nolan e Lisa Joy, per un terzo ciclo di episodi di appena otto puntate – cinque in meno rispetto alle stagioni precedenti – che dovrebbe dare – in teoria – il là a un quarto ciclo di episodi.
Westworld – Dove tutto è concesso tornerà sugli schermi televisivi italiani a partire dal 16 marzo 2020 su Sky Atlantic
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Fonte immagini: sky.it