Agromafie, una realtà italiana
Nel giugno del 2011 è stato presentato il 1° rapporto sui crimini agroalimentari in Italia condotto da Eurispes e Coldiretti. I principali quotidiani non ne hanno parlato, nonostante l’argomento trattato sia per noi comuni mortali d’uso giornaliero: il cibo. Il rapporto è diviso in due parti. Qui, ci concentreremo a parlare delle Agromafie, traendo i dati dal rapporto e ampliando con altre informazioni.
Benché il settore agroalimentare italiano possa essere considerato uno dei comparti meno redditizi, la facilità di infiltrazione da parte della criminalità organizzata la rendono una piatto assolutamente più che appetibile. In particolare se teniamo presente il fatto che nel Sistema Paese, il settore agroalimentare ha avuto un valore aggiunto complessivo di ben 52,2 miliardi annui dal 2005 al 2009 e che il volume d’affari complessivo dell’agromafia sia attorno ai 12,5 miliardi. Non sarà il più redditizio, ma sicuramente non sono noccioline.
La modalità di infiltrazione va dalle più classiche a veri e propri modelli finanziari. Si parte con la richiesta di pizzo, incendi ai macchinari agricoli, danneggiamenti alle culture, per arrivare al caporalato – cioè lo sfruttamento di manovalanza con metodi illegali – all’intermediazione tra i luoghi di cultura e quelli di consumo. Come vere holding finanziarie, tangono in considerazione tre aspetti fondamentali: la diversificazione del rischio e del portafoglio – cioè avere le mani un pò ovunque – la massimizzazione del profitto e, in particolar modo, quello che è chiamato l’effetto moltiplicatore.
Con quest’ultimo termine si indicano tutti quei fattori di criticità che circolano attorno a questo settore: una grave crisi economica, un eccessivo squilibrio tra domanda e offerta dei finanziamenti, una grandissima maggioranza di piccole e medie imprese individuali maggiormente esposte al rischio di minacce e una forte diffusione del mercato sommerso. Questi casi di difficoltà possono essere assopite grazie all’immensa quantità di denaro a disposizione della criminalità organizzata. Il bisogno immediato di credito, spinge purtroppo gli imprenditori a trovare nuove modalità di finanziamento.
In questo modo, la criminalità organizzata arriva addirittura a determinare l’aumento dei prezzi dei beni di consumo. Secondo la DIA, l’azienda Mafia è in grado di controllare e condizionare l’intera filiera agroalimentare, dalla produzione agricola all’arrivo della merce nei porti, dai mercati all’ingrosso alla Grande Distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione.
La mafia agricola non si allontana dalla terra d’origine. Ed essendo il sud interessato principalmente, riesce a gestire meglio i suoi canali e ad arrivare al nord nei principali luoghi di smercio. La ‘Ndrangheta in Calabria rivendica il suo dominio su agricoltura e pastorizia, ma questo non le impedisce di mettere poi le mani sull’Ortomercato di Milano, che sembra terra di nessuno, dove i Piromalli e i Morabito hanno avuto modo di piantare le loro radici e creare uno dei luoghi più oscuri del nord. Così facendo, riesce pure a utilizzare un solo settore commerciale a più fini: come il contrabbando di armi, i grandi trasporti di droga, ecc.
In Campania la Camorra ha un potere immenso sopratutto in questo ambito. I clan investono i capitali illeciti acquistando aziende agrarie o direttamente in aziende che già possiedono. Un esempio lampante sono le aziende di bufala nel Casalese. Quasi tutte le grandi famiglie avevano o hanno una masseria. C’è l’azienda produttrice di latte di bufala a cui faceva capo Carmine Zagaria, fratello del boss Michele, c’è il Caseificio Corvino in cui Carlo Corvino, proprietario assieme al fratello Lorenzo, vede pendere sulla sua testa una richiesta di condanna a 18 anni per associazione cammorristica ma che continua ad esportare le sue mozzarelle di bufala in tutto il mondo.
C’è poi il pieno controllo della manodopera extracomunitaria, in particolar modo nella raccolta di pomodori. E come dimenticare quando Michele Zagaria si fece garante della Parmalat per aumentare il numero delle vendite necessarie per la quotazione in borsa della società di Callisto Tanzi. E così come la ‘Ndrangheta a Milano, così la Camorra sembra essersi infiltrata nel mercato ortofrutticolo di Fondi, il cui potenziale economico è tra i primi in Europa.
In simil modo Cosa Nostra pare far gravitare i propri affari nel grande mercato Ortofrutticolo di Vittoria, in provincia di Ragusa.
Analizzando questi ultimi dati, capiamo come la filiera illegale della criminalità organizzata riesca a creare un vero e proprio filo d’arianna che interessa le principali direttrici commerciali. Attraverso i poli di Vittoria e di Fondi, fino ad arrivare all’Ortomercato di Milano, il cui giro d’affari si aggira attorno ai 20 miliardi di euro.
Secondo il Rapporto Eurispes-Coldiretti, le agromafia in questo periodo di fragili certezze e di insicurezza sociale diffusa, ristabiliscono il loro ruolo di mediazione economica e sociale, l’identità di “industria della protezione-estorsione”, dispensatrice malevola di sicurezza-rassicurazione.
Una delle figure più controverse è quella dei cosiddetti “colletti bianchi” che operano nel settore agroalimentare e che stanno acquisendo un ruolo strategico per le organizzazioni criminali inserite nel business delle agromafie e interessate soprattutto a spostare l’asse dell’illegalità verso una zona neutra, di confine, nella quale diviene sempre più difficile rintracciare il reato.
Esiste un altro ambito nel quale la criminalità organizzata riesce a mettere le mani: il falso Made In Italy. In questo caso però è difficile additare alle sole organizzazioni mafiose questo genere di commercio, che vede sottrarre ogni anno al VERO made in Italy la bellezza di 51 miliardi di euro!