Brexit: prego, andatevene
La Gran Bretagna ha scelto: è Brexit. L’inimmaginabile è rapidamente diventato irreversibile. L’Unione Europea, all’alba del suo 65esimo anno di vita, perde un importante pezzo dell’ingranaggio politico-economico che dalla sua prima istituzione, nel 1951 con la CECA, ha garantito il più lungo periodo di pace e di sicurezza che il continente europeo abbia mai sperimentato nella Storia.
Soltanto un anno fa sarebbe sembrato impossibile che legioni di britannici scontenti e avvezzi alle recriminazioni nei confronti dell’Unione Europea – accusata da questi di imporre regole ‘stupide’ create da pomposi burocrati – potessero colpire così duramente cittadini e istituzioni dell’UE, palesemente ignorando qualsiasi avvertimento o raccomandazione di esperti economisti o analisti finanziari e politici di tutto il globo i quali, all’unisono, hanno per mesi chiaramente espresso le loro pessimistiche aspettative per le condizioni dell’economia britannica se questa avesse realmente abbandonato le sponde di Bruxelles per solcare altri mari. Oggi si fa la Storia, ma non è un bel giorno per l’Europa, specie se si guarda la cosa dal lato dei mercati.
E’ cominciato tutto nella notte, quando al sopravanzare dei ‘leavers’ sui ‘remainers’ sui mercati è iniziata la tempesta perfetta, a partire dalla quotazione della sterlina. Già alle 6.30 italiane il Pound britannico era già crollato (per poi risollevarsi un minimo) a quota 1.3234 sul Dollaro USA, quota toccata l’ultima volta nel 1985, la bellezza i 31 anni fa. A questo ha fatto seguito l’andamento del mercato di Tokyo dove, confermata la notizia dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, hanno iniziato a piovere richieste di vendita facendo crollare le quotazioni del Nikkei chiudendo le contrattazioni a -7,92%.
Le borse del Vecchio Continente non hanno tardato a reagire nello stesso modo, se non peggio: alle 9.40 italiane Milano perdeva quasi il 9%, superata da Francoforte con un calo di oltre il 9% fino a chiudere con gli altri principali listini di riferimento continentale, Parigi e Madrid, che perdono oltre il 10%. Lo spread BTP-Bund, dopo aver toccato soglie di quasi 200 punti base, si assesta a circa 160bp – presumibilmente grazie ad un massiccio intervento di liquidità della BCE con il Quantitative Easing – , con un incremento netto che comunque supera il 20%. Un’ecatombe, annunciata.
Agli elettori britannici sono state offerte moltissime motivazioni, bisogna dirlo, per respingere l’UE, a cominciare dal deficit democratico che da anni imperversa a Bruxelles, alla debolezza delle economie della zona euro. C’è una particolare motivazione che è risultata, però, essere l’elemento scatenante: la libera circolazione delle persone. Poiché il numero di nuovi arrivi è cresciuto a causa della inarrestabile crisi dei flussi migratori – con tutte le problematiche ad essa connesse per l’immaginario collettivo – , il tema ha gonfiato una preoccupazione e una psicosi diventata insostenibile per gli elettori. C’è da dire che, come in tutte le cose, si tratta di dare e ricevere.
La Gran Bretagna, dal suo ingresso nell’UE, ha beneficiato di un Mercato comune che, fino a ieri, è stato il principale canale di sbocco per metà delle esportazioni britanniche complessive generando ricchezza e benessere a tutto il popolo britannico nel corso degli ultimi decenni. Citando le colonne del The Economist “il Paese deve scegliere tra frenare la migrazione e la massimizzazione della ricchezza”. E infatti ha scelto.
Al di là della crisi innescata sui mercati, comunque, da oggi la Gran Bretagna si troverà a dover fronteggiare una situazione molto complessa e difficile, a cominciare dal nodo della leadership politica. Infatti, l’attuale Primo Ministro David Cameron ha proprio stamani rassegnato le dimissioni, lasciando campo aperto a elezioni che sicuramente vedranno entrare al numero 10 di Downing Street un Tory, molto probabilmente proprio un brexiteer, il quale avrà il compito di contrattare con l’UE circa le modalità di uscita.
Il nodo da sciogliere, in questo caso è circa l’applicazione dell’articolo 50, clausola di recesso dall’UE introdotta dal Trattato di Lisbona nel 2009, la quale stabilisce che “uno Stato membro può notificare al Consiglio europeo la sua intenzione di separarsi dall’Unione e un accordo di ritiro sarà negoziato tra l’Unione europea e lo Stato. Gli effetti dei trattati (dell’UE, ndr) cessano di essere applicabili a tale Stato a partire dalla data del contratto o, in mancanza, entro due anni dalla notifica, a meno che lo Stato e il Consiglio europeo siano d’accordo nel prorogare tale termine”.
Lo stesso Cameron ha dichiarato che è necessario che sia un nuovo leader a condurre le trattative in questi due anni, senza contare che già questa mattina hanno risuonato pesanti le immediate proteste dei governi di Irlanda e Scozia, tutti a favore della permanenza nella UE, e che già minacciano battaglia.
Nonostante quello che si possa pensare, la Gran Bretagna ha sempre goduto di una posizione privilegiata nell’Unione Europea. Dal suo ingresso nell’UE, nel 1973 con la caduta del governo di Charles de Gaulle in Francia, il Regno Unito è rimasto sempre un partner marginale che però esigeva un prezzo esorbitante per la sua permanenza nell’Unione, a cominciare dalle esenzioni dall’applicazione di alcune regole (compresa la permanenza al di fuori di Schengen con l’applicazione della clausola opt-out), senza contare le concessioni finanziarie dell’UK rebate negoziate e applicate da Margaret Thatcher ogni anno fino al 1985.
Parlando di integrazione europea, inoltre, l’approccio di Londra nei confronti dell’Europa negli anni ha sempre affondato ogni slancio verso il federalismo, trasformando un progetto che aspira a diventare una forte unione politica in niente di più che un libero mercato in costante ampliamento.
Letta in questa chiave, probabilmente l’addio di Londra all’UE potrebbe rappresentare una tragedia più per i britannici che per il resto di noi europei, che ci troveremmo in una situazione più favorevole al cambiamento e alle spinte riformiste dai tempi della caduta del Muro di Berlino. A patto di arginare le spinte antieuropeiste che macerano in seno alle nostre società e finalmente procedere spediti verso un’unione politica che rappresenti la reale conclusione del processo di integrazione europea che da decenni aspetta di essere ultimato.