Bruxelles e la risposta necessaria dell’Europa al terrorismo
di Caterina Chinnici *
Gli attentati di quattro mesi fa a Parigi ci hanno mostrato che la nostra vulnerabilità dinanzi alla minaccia terroristica è forse molto più grande di quanto immaginassimo. Quanto accaduto pochi giorni fa a Bruxelles ci ha confermato che la nostra quotidianità è oggetto di un attacco non isolato ma seriale, che è in atto il tentativo di farci percepire qualunque luogo come non sicuro, sempre.
Il mio primo pensiero dopo le bombe nell’aeroporto e nella metro della capitale belga è andato alle tante vittime innocenti e al dolore dei loro familiari, e anche a loro, così come a tutti i cittadini europei che si attendono maggiore sicurezza, l’Unione Europea deve dare una risposta decisa, corale e immediata.
Una risposta da articolare su più livelli, partendo innanzitutto da una legislazione adeguata alle situazioni nuove che la realtà di oggi ci pone davanti. Occorre quindi accelerare l’aggiornamento della direttiva antiterrorismo, alla quale io stessa sto lavorando come relatrice-ombra, per introdurre nuove figure di reato mirate a colpire, per esempio, il finanziamento al terrorismo, il reclutamento, incluso quello via web, i viaggi per terrorismo, l’addestramento. È uno step indispensabile affinché l’azione di contrasto possa svolgersi a un livello uniformemente elevato in tutto il territorio dell’Unione.
Bisogna inoltre utilizzare al meglio gli strumenti di cooperazione e coordinamento già esistenti, come Europol ed Eurojust, e va soprattutto realizzata una vera integrazione dei servizi di intelligence per potenziare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. Ciò è fondamentale nell’ottica del controllo e della prevenzione. Nella prospettiva di un’armonizzazione normativa in ambito penalistico è da prendere in seria considerazione anche l’ipotesi di una procura europea dotata di competenza specifica per la lotta al terrorismo, in grado di coordinare indagini a dimensione sovranazionale.
Tutti passaggi che richiedono uno sforzo collettivo per vincere le troppe resistenze a una transizione che da molti Stati viene interpretata, a mio avviso impropriamente, come rinuncia a quote di sovranità. Non si discute di cedere sovranità, bensì di condividerla.
Va da sé che il rafforzamento della sicurezza nei nostri Stati deve conciliarsi il più possibile con l’esigenza di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, un prezioso patrimonio della nostra civiltà che è forse il primo bersaglio del terrorismo fondamentalista e che dobbiamo assolutamente proteggere e difendere.
Altro aspetto importante è poi la comprensione delle cause della radicalizzazione. Il fatto che i recenti attentati siano stati compiuti da giovani con cittadinanza europea cresciuti nelle nostre città e che alcuni di loro fossero prima noti alle forze di polizia solo per fatti di delinquenza comune deve, a mio avviso, farci riflettere sulla necessità di combattere il disagio sociale e favorire un’effettiva integrazione delle comunità di origine extraeuropea presenti nelle nostre città, e questa non è una questione formale di passaporto. Certi contesti di marginalizzazione possono rendere i giovani più fragili e, conseguentemente, più esposti o sensibili al richiamo dell’indottrinamento fondamentalista e della criminalità in genere. Sono necessarie, a mio avviso, anche politiche per la cultura e per l’istruzione che ci consentano di giocare d’anticipo sui possibili fenomeni di devianza.
* magistrato, ex Capo Dipartimento per la giustizia minorile ed europarlamentare del Pd