La demagogia della “rinascita” di Atac attraverso il concordato preventivo

 

Caro Direttore,

sembra che il “fenomeno ATAC” sia giunto ad una svolta decisiva: concordato preventivo con continuità aziendale. Sino alla settimana scorsa si temeva che la Società partecipata potesse finire nelle mani di privati poco lungimiranti o, peggio ancora, essere dichiarata fallita. Sulla vicenda è stata fatta parecchia confusione in termini di procedure concorsuali. La procedura di fallimento sarebbe potuta essere stata attivata solo su iniziativa dei creditori (ne bastava anche uno solo!). In quel caso avrei condiviso i timori dei dipendenti ATAC e del futuro dei propri contratti di lavoro.

Credo che se degli imprenditori privati avessero investito nella Società, selezionati da una Commissione interministeriale nominata ad hoc per evitare ogni genere di rischio, sarebbe stata la soluzione migliore col limite che tale gestione sarebbe dovuta essere stata limitata nel tempo: una sorta di amministrazione straordinaria, a cui generalmente si ricorre in caso d’insolvenza delle grandi imprese private.

Non è questa la sede per arrovellarsi con tecnicismi giuridici ma spendere poche parole per chiarire il punto è quanto mai doveroso. Il fallimento è dichiarato con sentenza dal giudice del tribunale (sez. fall.) competente su istanza dei creditori o del P.M. Requisito essenziale è che il dichiarando fallito versi in stato di insolvenza, cioè quella condizione irreversibile in cui il debitore non sia più in grado di adempiere alle sue obbligazioni.

Il concordato preventivo è una procedura completamente diversa, non solo per legittimazione, ma anche per presupposti: è il debitore che sua sponte propone ricorso di concordato, allegandovi un piano di ristrutturazione e risanamento. Una società soggetta alla procedura di concordato, specie se si sopraggiunge ad un’omologazione dello stesso, per definizione non potrà mai considerarsi fallita poiché il concordato vuole che il debitore versi in uno stato di crisi, non d’insolvenza: il primo contiene il secondo, ed è reversibile.

In questa particolare situazione, l’ATAC sottoposta a concordato preventivo con continuità dovrà sopportare costi ed oneri più alti della procedura, proprio perché dovrà garantire la continuità d’erogazione del servizio pubblico. Il Professor De Sensi, docente di Diritto delle crisi d’impresa presso la LUISS, ha correttamente affermato che «non è da escludere che si vada a finire come Alitalia» – attualmente è in amministrazione straordinaria gestita da un collegio commissariale preposto dal MISE.

Si chiede da tempo a gran voce una legge unica su Roma, poiché ATAC è solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è un vaso di Pandora che è bene non scoperchiare e al cui interno scalpitano tutte le altre partecipate che non versano in condizioni migliori dell’ATAC. Non è il caso di intasare ulteriormente le commissioni e le aule del Parlamento: ad un certo punto c’è bisogno di mettere un punto, andare a capo e ricominciare.

Una cosa è certa: gridare soddisfatti alla “rinascita” dell’azienda è solo demagogia ed in gioco ci sono i destini di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie, nonché di milioni di romani che meritano di essere presi sul serio.

Marco Bevilacqua, giurista

 

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