RomaFF12: Detroit, Kathryn Bigelow racconta gli scontri razziali del 1967
Detroit, estate 1967. La città ribolle di disordini civili e scontri razziali, stanca com’è di ingiustizie e promesse mancate. Violenze sanguinose e risposte militari sono all’ordine del giorno, in un clima di tensione e caos costante. In cinque giorni muoiono 43 persone per lo più di colore. E, in una notte da incubo, tre afroamericani perdono la vita a causa di un abuso di potere da parte della polizia, alla ricerca del responsabile di un presunto colpo di arma da fuoco.
Non è una trama di fantasia, ma una delle pagine più nere della storia americana ricostruita da Kathryn Bigelow in Detroit, ultimo film della regista premio Oscar per The Hurt Locker presentato alla 12^ Festa del Cinema di Roma all’interno della Selezione Ufficiale.
La cronaca di ieri che si rispecchia nella cronaca di oggi
“Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla” diceva George Santayana. E sembra proprio che in questo loop distruttivo sia immersa l’America di oggi, la cui cronaca legata alle violenze sulla comunità afroamericana ancora infiamma con regolarità i media. Detroit si concentra infatti su di un fatto di 50 anni fa – la famosa Detroit Rebellion avvenuta tra il 23 e il 27 luglio 1967 – parlandoci al tempo stesso del presente. Una storia che brucia ancora forte per la sua scottante attualità… basti pensare a fatti come quelli di Ferguson o Baltimora.
Rifacendosi (non ufficialmente, a causa di problemi di diritti) al libro di John Hersey The Algiers Motel Incident, la Bigelow torna a collaborare con il produttore/sceneggiatore Mark Boal per un thriller drammatico incisivo e potente. Un vero pugno nello stomaco che genera tanta, tanta rabbia.
La regista adotta uno stile in perfetto equilibrio tra il reportage e il narrativo, esaltato dal lavoro del direttore della fotografia Barry Ackroyd che utilizza lenti vintage e filmati d’archivio. Si getta di peso nel centro della rivolta e dei disordini, ricostruendo cosa accadde quella fatica notte del 1967 all’Algiers Motel, evidenziandone premesse e seguito, con tanto di risvolti processuali.
Nel cuore dello scontro
Macchina a mano e montaggio frenetico aiutano lo spettatore a sentirsi non un voyeur qualsiasi di atti di atroce ingiustizia. Quanto uno di quei ragazzi – faccia al muro e pistola puntata addosso – costretti a subire l’impensabile di chi l’ordine dovrebbe aiutare a mantenerlo e che invece non si fa il minimo problema ad abusare della propria autorità, spinto da un ingiustificato razzismo.
Non si ha l’assoluta certezza di cosa effettivamente accadde tra le pareti dell’Algiers Motel, trasformatosi in un inferno in terra nel giro di pochi minuti. La Bigelow cerca tuttavia di ricostruire gli eventi in base alle testimonianze dirette e alla documentazione disponibile. Romanzando per forza di cose, ma anche cercando di mantenersi lucida e possibilmente “veritiera”.
I toni sono drammatici ma non melodrammatici, si empatizza con i ragazzi non per le loro storie private ma in quanto esseri umani. Sperimentiamo insieme a loro l’impotenza di chi sa che, qualunque cosa possa dire o fare, non verrà ascoltato ma solo accusato e degradato.
Nel cast troviamo il poliziotto sadico Will Poulter, il musicista Algee Smith, l’avvocato John Krasinski, la guardia di sicurezza John Boyega, la malcapitata Hannah Murray. Non c’è un protagonista vero e proprio in Detroit, che ha la dimensione della coralità e della testimonianza.
Il punto di vista è quello delle vittime. Vediamo dei giovani come tanti, ognuno con le proprie vite e i propri sogni, accomunati dalla “colpa” di avere la pelle nera o dal non vedere affatto tale differenza di colore. Nell’America di Trump, Detroit ci ricorda con amarezza come niente sia davvero cambiato.
Detroit sarà al cinema dal 23 novembre con Eagle Pictures.
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