Digitalizzazione: solo il 65% delle banche ha una strategia

Secondo un recente studio pubblicato dallo IESE Business School le banche hanno una lunga strada da fare per quanto riguarda la industrializzazione dei processi e il 28% dei dirigenti bancari non sono pronti per la trasformazione digitale.Fotolia_58529506_Subscription_Monthly_M-1024x682

“Il passato sta frenando il futuro nel settore bancario”. Questa è la principale conclusione dello studio Industrialized and Ready for Digital Transformation?, guidato dal Prof. Robert W. Gregory dello IESE in collaborazione con Synpulse Management Consulting.

Lo studio nasce da indagini condotte tra aprile e maggio 2015 tra oltre un centinaio di dirigenti bancari e rivela che la maggior parte delle istituzioni bancarie non sono preparate per affrontare un serio processo di digitalizzazione bancaria e non semplicemente una nuova “campagna social”.

Il campione dello studio è rappresentato da dirigenti spagnoli e stranieri che operano in primari istituti spagnoli. La ricerca mostra che il 94% delle istituzioni bancarie hanno pianificato una qualche forma di iniziativa strategica volta alla digitalizzazione della banca. Di questi, il 65% aveva già provveduto ad eseguirla, il 19% prevede di intraprenderla entro quest’anno e il 10% tra il 2016 e il 2018.

I dirigenti bancari sono davvero preparati per questo processo? Le risposte indicano che ancora non lo sono. Solo il 22% dei dirigenti ha detto di essere pronto; Il 50% ha dichiarato di esserlo solo in parte o che ha appena iniziato e il restante 28% poco o nulla.

Con lo scopo di individuare le lacune nella preparazione digitale del settore, gli autori della ricerca hanno orientato il loro studio al progresso in “industrializzazione e digitalizzazione” (ovvero tutti quelli strumenti di supporto tecnologico per sostenere la banca_digitaledigitalizzazione dei processi bancari) in particolare quelli relativi all’inizio e alla fine delle operazioni.

I freni alla digitalizzazione bancaria.

Lo studio rivela una grande disparità tra la percezione che hanno i dirigenti bancari sul grado di sviluppo dei processi di digitalizzazione e la realtà delle operazioni. Sono state individuate quattro aree principali di miglioramento:

  1. La dipendenza dalle filiali bancarie rimane forte. I dirigenti le considerano ancora il loro principale mezzo per coltivare la relazione con i clienti. Nonostante il fatto che, soprattutto i clienti più giovani, preferiscono effettuare una operazione bancaria da qualsiasi luogo, molto di più se attraverso uno smartphone di ultima generazione. La transizione verso una “banca omnicanale” – ovvero il concetto di uniformità dell’esperienza del consumatore attraverso tutti i canali che interessano lo shopping: dispositivi mobili, PC, punti vendita, chioschi multimediali dei negozi, direct mail e così via – è, di fatto, ancora lontana.
  2. I sistemi di Information Technology (IT) ereditati non servono a soddisfare i nuovi requisiti. In pratica le architetture informatiche all’interno degli istituti bancari sono troppo complesse e non hanno l’agilità di cui ha bisogno la digitalizzazione di questo settore.
  3. Lo sforzo nella gestione dei processi di lavoro è insufficiente. Solo il 22% dei dirigenti dicono che le loro pratiche lavorative sono completamente documentate, definite e mobile-bankingmappate. Il resto dichiara che ancora hanno una lunga strada da percorrere: per il 31% sono ancora alle prime fasi mentre l’11% dichiara di aver appena iniziato o non avere ancora iniziato affatto.
  4. Troppa enfasi viene posta sulle funzioni di back-end (ovvero tutti quei processi dove il cliente non partecipa). Le banche dovrebbero estendere il loro impegno verso la digitalizzazione, soprattutto verso lo sviluppo e il miglioramento dei servizi di front-end (processi che coinvolgono le relazioni con i clienti). Lo conferma il 95% dei dirigenti intervistati, aggiungendo che una delle ragioni per cui si avviano i processi di digitalizzazione è quella di migliorare il rapporto con gli utenti finali.

Un modello per correggerne i difetti.

Robert W. Gregory propone un modello che divide l’industrializzazione e la digitalizzazione in tre aree interconnesse:

  • Standardizzazione e automazione dei processi e delle operazioni. Gli obiettivi sono: ridurre i costi e gli errori umani, maggiore velocità e semplificazione dei processi.
  • Centralizzazione e specializzazione delle competenze e totale controllo dei servizi in outsourcing. I guadagni principali sono in termini di efficienza attraverso sinergia tra le unità e aumentando il controllo dei processi esternalizzati.
  • Ottimizzazione e miglioramento della gestione della complessità dell’architettura IT. Qui l’obiettivo è quello di una maggiore affidabilità e una maggiore capacità di rispondere alle nuove esigenze, minimizzando così la complessità. 

domicilio-digitaleGli autori della ricerca hanno assegnato ad ognuna di queste aree una percentuale che va da 0% al 100% e che indica il grado di preparazione degli istituti bancari intervistati concludendo che dove la preparazione è maggiore, è in rapporto alle operazioni di outsourcing e controllo con il 68%. In seconda posizione le architetture informatiche con il 60% mentre i processi e le operazioni si fermano al 58%.

“Alle banche manca ancora molto riguardo l’industrializzazione dei processi”, concludono gli autori dello studio. In un momento in cui i clienti chiedono una maggiore mobilità, flessibilità e trasparenza nell’eseguire le loro operazioni finanziarie, le imprese Fintech irrompono con la promessa di rispondere a queste esigenze. La banca tradizionale sta rischiando quindi di non poter competere con organizzazioni snelle, flessibili ed efficaci che mantengono fondamentalmente ciò che promettono. Forse è questo, il segreto per minimizzare la complessità.

Fonte e Fonte 

Fabrizio Villani

Nato a Bari nel 1987, cresce in provincia di Bergamo, si laurea in Commercio Estero presso la facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Bergamo. Prima della laurea aveva già vissuto un'esperienza di studio in Austria presso la Fachhochschule Kufstein FH Tirol, dove ha avuto la possibilità di approfondire le sue conoscenze sui mercati elettrici, la finanza e le energie rinnovabili. Rientrato in Italia, decide di continuare gli studi all'estero presso la Vrije Universiteit Amsterdam dove frequenta un corso specialistico in gestione dell'ambiente e delle risorse naturali, focalizzato sull'energia, che gli ha permesso di acquisire conoscenze e capacità che gli permettono di pensare fuori dagli schemi (think "outside of the box") e trovare soluzioni alternative e creative ai problemi. Come la biglia impazzita di un flipper, dopo diverse esperienze lavorative, nel 2013 si trasferisce nuovamente da Amsterdam a Barcellona e lì, per un anno, collabora con una impresa Fintech, settore che diventa una sua passione (insieme alla sostenibilità ambientale). Attualmente cerca di diffondere la cultura Fintech in Italia ed è un referente per quanto riguarda il Sud Europa in ambito Fintech. Collabora come consulente esterno per diverse imprese sia in Italia che all'estero. A giugno 2015 prenderà parte, dopo aver contribuito ad organizzarlo, al più grande evento Fintech in Spagna: FinTechStage a Barcellona. Nel cassetto probabilmente ha anche la creazione di un Fintech Hub in Italia e di una sua iniziativa imprenditoriale. BLOGGER DI WILD ITALY

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