Futuro Artigiano, Mestieri e Nuove Tecnologie: l’evento romano
Quando (e se) qualcuno avrà il piacere di leggere questo pezzo sarà trascorsa forse più di una settimana dall’evento che intendo raccontare e che ha messo, di domenica, alla prova la mia voglia di buttare giù due righe su un fenomeno che un passo alla volta, ma sempre più rapidamente, si sta prendendo la scena del panorama economico delle startup nostrane e che, in tutta onestà, mi affascina non poco. Privilegiato spettatore di quella che l’Economist, già nell’aprile del 2012, ipotizzava come la terza rivoluzione industriale, scrivendo che “Old-school engineers worked with lathes, drills, stamping presses and moulding machines. These still exist, but EuroMold exhibits no oily machinery tended by men in overalls. Hall after hall is full of squeaky-clean American, Asian and European machine tools, all highly automated.”. Ed ancora “This is what manufacturing will be like in the future.”
In sostanza si raccontava di come torni, trapani, presse, macchine di stampaggio, in una grande fiera di settore a Francoforte, venissero affiancate da una grande sequenza di macchine no oily (non lubrificate) e non gestite da operai in tuta, ma di come queste fossero highly automated (altamente automatizzate) e clean (pulite) nonché gestite tramite software da personale che lavorava al computer. Questa sarebbe stata la manifattura del futuro. Questa la “profezia” che mi ha impegnato una parte di questo uggioso pomeriggio domenicale.
L’EVENTO A ROMA.
Facciamo un passo indietro. Sono trascorsi, infatti, sei giorni da quando a Roma, presso la sala di Fandango Incontro, si è svolto l’evento dedicato ai nuovi artigiani digitali dal titolo “Futuro Artigiano, Mestieri e Nuove Tecnologie”, che ha visto tra gli ospiti il Professor Stefano Micelli, autore del libro (Futuro Artigiano – ndr) considerato il “riferimento del nuovo Made in Italy”.
L’occasione per parlare di un nuovo modo di guardare al futuro della manifattura italiana è stata, secondo le parole del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, “l’approvazione della Programmazione Europea 2014-2020”, dalla quale “possono arrivare risorse utili a sostenere questo tipo di progetti”.
Sembrerebbe, così raccolta, nelle parole del Presidente Zingaretti, l’idea lanciata durante la serata dal Professor Micelli di fare di Roma un luogo aggregatore per laboratori artigiani, FabLab, officine dei maker, per innescare “un percorso virtuoso che mette insieme le potenzialità di questi nuovi strumenti, di questa nuova cultura”, già innescata dalla Maker Faire di Roma del settembre 2014, facendo della città una sorta di capitale di nuove realtà artigiano-digitali, ricca di incubatori e spazi appositamente organizzati e destinati alle nuove startup che faranno di questo particolare tipo di manifattura il proprio credo.
MILANO E LE CAPITALI EUROPEE.
Un esempio di spazi del tipo auspicato lo rinveniamo a Milano, dove, tra una ricerca e l’altra, vengo a conoscenza che recentemente il comune ha dato avvio ad un progetto di riqualificazione delle aree dismesse dell’ex Ansaldo, che saranno destinate alle startup del design e della moda, mentre altre aree hanno come destinazione un FabLab che accolga gli artigiani digitali. Iniziative che vanno in scia a quanto già fatto da grandi città europee come Londra, Barcellona, Parigi.
LA DIGITAL MANUFACTURING.
Il seminario, dedicato al mondo dei Maker e dei FabLab, ha provato da un lato, a raccontare le storie di chi – negli ultimi anni – sta tentando di reinventare la grande tradizione della scuola artigiana italiana attraverso la sua contaminazione con nuovi materiali e nuove tecnologie e dall’altro, quali siano le prospettive di quella che si potrebbe definire la nuova manifattura italiana. Parlo, sostanzialmente, di una digital manufacturing in grado di sintetizzare nel prodotto finale grande manualità e sapienza artigiana con nuove tecnologie, in un mix in grado, se vogliamo, di trasferire al compratore un “manufatto” unico ed in un certo senso capace di raccontare una propria storia intrisa di know how e di farlo magari sotto lo sguardo stupito e rapito del consumatore. Il tutto per dar vita quasi ad un nuovo paradigma, non solo produttivo, ma anche dell’esperienza di acquisto, caratterizzato da una fortissima componente emozionale: ciò che acquisterò, è realizzato sotto i miei occhi e perché no, solo per me.
Ne discende, quindi, che l’ “artigianalità non è un problema dimensionale ma un modo di lavorare, di porsi, di trasferire valore al consumatore”, esattamente come sostiene, durante l’incontro, il Professor Micelli.
La digital manufacturing è perciò qualcosa di ben diverso dal semplice processo produttivo.
Chiudo mettendo in evidenza come il costo basso delle nuove tecnologie impiegate, come per esempio quello di alcuni modelli di stampanti 3D, rappresenta un indubbio fattore di successo, perché, rendendole facilmente disponibili all’utilizzo artigianale, permette al nuovo artigiano digitale di ideare e successivamente realizzare prodotti estremamente personalizzati per il consumatore e, quindi, dall’alto valore intrinseco.
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