I giovani e il maltempo
Basta una pioggia più forte del normale per bloccare una città intera come Roma, privando gli universitari della possibilità di studiare, ai (pochi) lavoratori di recarsi al posto di lavoro e di far (giustamente) gioire gli studenti delle scuole per un giorno di scuola saltato, con annesse interrogazioni rinviate, sermoni degli insegnanti risparmiati, deliri non celebrati.
Siamo oramai condannati, per due gocce d’acqua in più, ad avere strade allagate, impraticabili, segnate come groviere.
Da tempo non ho fiducia nella generazione dei nostri padri: non tutti sono uguali, naturalmente, ma è grazie a quella classe generazionale se oggi l’Italia è spolpata, senza più grandi prospettive, depredata dal cemento e avvolta dal silenzio indifferente.
Mi rivolgo ai giovani come me: perché non cominciamo a chiedere, a chi ci comanda e ci busserà per chiedere il nostro voto, perché non poti gli alberi (che poi infatti cadono), non pulisca i letti dei fiumi, i boschi, non facciano un manto stradale degno di questo nome? Perché non decidiamo di ottenere risposte chiare e univoche e non la stessa litania del “non ci sono i soldi“? Perché i quattrini per i dirigenti, le proprie mogli, le propri amanti e i propri cortigiani nelle aziende pubbliche ci sono sempre?
Se cominciassimo a pressare noi la classe digerente (si fa per dire) di questo Paese forse le cose potranno andare meglio.