La manovra del tirare a campare
Alla fine, dopo un vertice lungo quasi 7 ore, una riunione (secondo alcune fonti) tutt’altro che distesa, Berlusconi ha concordato con Bossi le modificheal decreto del 13 Agosto.
Cosa cambia nella nuova manovra?
- Salta l’abolizione delle province con meno di 300.000 abitanti (e meno di 3.000 km2, cavillo che avrebbe salvato Sondrio, bacino elettorale della Lega). Si prevede però che tutte le province verranno cancellate con una apposita legge costituzionale, ma su questo punto è lecito dubitare. Una norma costituzionale richiede due votazioni n entrambe le Camere a distanza di tre mesi e se al secondo passaggio parlamentare non viene approvata con una maggioranza dei 2/3, si può convocare un referendum confermativo. Un percorso così lungo e macchinoso che, temo, scongiurerà ogni tentativo di abolire per davvero le province. Senza contare che la Lega si è già detta contraria alla loro cancellazione, così come il Pd. Anche io però ho alcuni dubbi sulla cancellazione di questi “enti inutili”. L’utilità di eliminarle nasceva dal risparmio immediato che avremmo avuto; cancellandole tra qualche anno (se andrà bene), ogni beneficio si riverserà sul futuro e non sul momento in cui servirebbe. Inoltre, siamo sicuri che tra Regioni e Comuni non serva un ente intermedio? Siamo sicuri che il comune di Maccastorna, 68 abitanti, riuscirà a far sentire la sua voce davanti alla Regione Lombardia, ente da 9.939.193 abitanti? Ho i miei dubbi, come li hanno francesi e tedeschi, che si guardano bene dall’abolire le loro province.
- Anche l’accorpamento dei Comuni è saltato. La misura era demagogica ed assolutamente inutile, perché avrebbe preteso di tagliare poltrone (50.000, secondo qualche fantasioso) praticamente a costo zero per lo Stato e avrebbe riacceso gli appetiti edilizi dei comuni più grandi, che si sarebbero guadagnati nuovi territori sottratti ai micro-enti; come se il nostro Paese non fosse già affogato dal cemento. E’ rimasto però l’accorpamento dei servizi (non obbligato, ma caldamente suggerito), una misura che incentiva la creazione di servizi in rete tra gli enti, ma anche (purtroppo) la nascita di carrozzoni inutili che assorbono soldi offrendo servizi mediocri.
- Viene previsto il dimezzamento dei parlamentari, anche questo demandato ad una futura legge costituzionale. I miei dubbi continuo ad averli, visto che sono tre anni che ci viene promesso ma nessuno muove un dito.
- I tagli agli enti locali vengono ridotti, ma non spariscono del tutto. Per il Governo è un incentivo a combattere l’evasione fiscale a livello locale. Nella realtà, i Comuni saranno costretti ad introdurre l’Imposta Municipale Unica. Nuove tasse.
- Sparisce il contributo di solidarietà, ma non per i parlamentari.
- Le pensioni non vengono – sembra – ridotte, ma ci vorranno più anni per smettere di lavorare. Chi va in pensione con 40 anni di contributi dovrà lavorare per 40 anni effettivi, senza considerare nel conteggio gli anni di leva militare o quelli riscattati dell’Università. La misura non è marginale, perché più della metà dei lavoratori va in pensione con la finestra dei 40 anni e si vedrà spostare in là il momento di lasciare il lavoro.
- Verranno introdotti nuovi contributi sulle persone fisiche legati ai beni di lusso, mossa che (secondo la Lega) dovrebbe ridurre l’evasione.
La manovra andava cambiata e questo lo sapeva pure Berlusconi. Il punto era come cambiare il decreto del 13 Agosto, se trasformarlo nell’ennesima (e comoda) opera di ragioneria o nella finanziaria che avrebbe dato una svolta al sistema Italia. Tra le due opzioni, la maggioranza ha scelto la prima ipotesi. La nuova manovra non è migliore della vecchia, perché non contiene misure per la crescita, sgravi fiscali che permettano alle imprese di ripartire, spinte alla ripresa dei consumi. Solo tagli, aumento degli anni di lavoro, tasse (nascoste, palesi o indotte). Non una manovra liberale, quella che Berlusconi ci promette fin dall’inizio. Neanche una manovra di rigore, che attinga (magari) alle decine di miliardi impiegate nei finanziamenti a fondo perduto, un colabrodo che permette a chiunque abbia agganci nel mondo della politica di guadagnare qualcosa. Una finanziaria che non prevede, per esempio, una patrimoniale sulle grosse somme, questa sì una “tassa di solidarietà”; ma non ci si può aspettare molto da Berlusconi, che ha un patrimonio stimato di 7,8 miliardi.
Tra l’altro, i conti non tornano, perché a fronte della riduzione dei tagli non si capisce dove verranno trovate le risorse necessarie. Per non parlare dei dubbi che sono nati sui capitoli di spesa rimasti invariati dalla manovra-prima versione, come le perplessità sollevate dai tecnici del Senato sui tagli ai Ministeri (non si capisce dove verranno presi i 6 miliardi previsti). Non convince neanche la modifica dei requisiti per andare in pensione, che si tradurranno in proteste e contenziosi (assicurati, perché nell’accordo raggiunto dalla maggioranza restano dei buchi neri, come quello su cosa accadrà a chi lavorava prima del 1995), nonché in una disparità di trattamento tra le donne impiegate nel pubblico e in quelle nel privato. E alcune delle misure più importanti (dimezzamento dei parlamentari, eliminazione delle province) restano vaghe, demandati a future leggi, senza nulla di concreto.
La verità è una, la maggioranza non sa più che pesci pigliare, bloccata dai veti incrociati di Tremonti, Bossi, Maroni e dei frondisti. Dai 2 anni che restano alla fine della legislatura non possiamo aspettarci niente di serio se continueremo in queste condizioni, visto che non si riesce ad adottare misure di ampio respiro e ad approvare riforme che rivedano tutto l’apparato istituzionale e burocratico dello Stato (facendoci risparmiare, tra l’altro). Non ci possiamo aspettare neanche le dimissioni di Berlusconi, visto che sa quando sia profonda la crisi politica (anche all’interno del partito) che lo sta investendo.
In definitiva, come definire questa manovra? Ci aiuta Andreotti: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
GIORGIO MANTOAN
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