La politica che ha fallito ma che resta al suo posto
Siamo stati abituati, negli ultimi vent’anni, a vedere la stessa classe politica che si “rigenera” credendo di poter cambiare inventando un nuovo nome per il partito e un nuovo simbolo su cui apporre la X. Una politica che non ha mai saputo prendersi delle serie responsabilità su quello che accade. Per tutto ciò che di negativo succede, è sempre colpa di chi ha governato prima. Non c’era (e non c’è) modo di fargli capire che, forse, qualche errore l’aveva commesso anche lei.
Con l’insediamento del Governo Monti, inizialmente sembrava trasparire – almeno questa è stata la mia sensazione – una presa di coscienza forte da parte della classe politica. Ho udito dei mea culpa abbastanza inusuali. Sia chiaro, nessuno ha mai avuto il coraggio di prendersi delle responsabilità vere e proprie (non sia mai!), la colpa era di tutti; salvo poi dare del populista a chi fa di tutta l’erba un fascio.
Ecco, in merito a queste odi di colpevolezza, di rammarico e di presa di coscienza, vorrei porre alcune questioni che non riesco, anche con tutti gli sforzi che posso fare, a diramare. Se è vero che la classe politica, da destra a sinistra, invocando Padre Monti ha ammesso di aver fallito nella sua funzione, perché è ancora al suo posto? Non è demagogia questa, è pura aggregazione di causa-effetto.
Se io divento manager di una grande azienda, faccio male il mio lavoro e lo ammetto, non resterò mai e poi mai al mio posto, verrò sostituito con qualcuno di più competente. Questo banalissimi ragionamento però, applicatelo per i paesi esteri. In Italia più mandi in malora una società, più buone uscite prendi.
Arriviamo quindi alla politica. Perché questi dirigenti di partito, che hanno avuto il mandato dagli elettori – in maniera non democratica perché non abbiamo potuto scrivere nessun nome sulla scheda – non si prendono la responsabilità di dire “abbiamo fallito, lasciamo il posto agli altri.”?
Altro dilemma disarmante è questo: negli ultimi giorni si vedono sempre le solite facce – d’altronde quelle sono, è inutile dire di no – che ripetono la stessa litania del tipo “c’è bisogno di una nuova classe politica“, “bisogna fare largo ai giovani“, “ci deve essere un ricambio generazionale“. Come buone intenzioni sono certamente condivisibili, anzi, per quanto ci riguarda lo diciamo da parecchio tempo. Ciò che mi chiedo però è: ma perché, dopo aver pronunciato queste parole – anche se sarebbe stato più giusto farlo prima – non prendono carta e penna, visto che il computer non lo sanno usare, presentano le proprie dimissioni? Come si riesce a dire certe cose sapendo perfettamente di fare poi l’esatto contrario? Tale discorso è ancora più calzante se con la politica ci campi da più di venti anni.
Avete fallito? Lo avete ammesso? Lasciate le vostre cariche e fate largo ai giovani. O forse, semplicemente, non volete lasciare la poltroncina perchè, alla fine della fiera, non ve n’è mai fregato una mazza del bene del Paese, e non siete in grado di fare un qualunque altro lavoro?
Questo rimarrà uno dei tanti appelli inascoltati. Ma non importa. Chiedo solo, a chi leggerà questo post, di fare queste domande se mai doveste incontrare una di queste famose facce di bronzo. Prima, gli chiedete se è d’accordo sul rinnovamento della classe politica, e se vi risponde di sì, chiedetegli quando si dimetterà per dare il via a questo cambiamento.
Non voglio insegnare nulla a nessuno, ma non ho ancora sentito un giornalista che fa queste due semplici domande. Mi paiono così banali, ma al tempo stesso interessanti, non credete?
GIAMPAOLO ROSSI
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