Lega Nord: la politica “idiota”. Intervista a Lynda Dematteo

Non passa giorno in cui i giornali e le televisioni non amplifichino l’ultima dichiarazione di Bossi, l’ultimo suo grugnito sulla Roma Ladrona, l’ultimo suo avvertimento. Il problema è che lo prendono sul serio. Il problema è che prendono la Lega Nord sul serio, con le proposte razziste, con le affermazioni razziste che contraddistinguono i suoi esponenti. La difesa poi della Padania, resta un capitolo a parte. Questa terra celtica da difendere, come ai tempi di Asterix e Obelix, dai romani di Caio Giulio Cesare. Tutti questi intenti, poi – come si è visto ultimamente – sono miseramente caduti uno dopo l’altro, schiacciati dalle inchieste giudiziarie che hanno travolto mezzo establishment del Carroccio.

Oggi però tralasciamo l’attualità e le polemiche che continuano a riempire le prime pagine dei giornali ed andiamo ad analizzare il fenomeno Lega Nord, dal punto di vista culturale, sociale, cercando di capire come è riuscito ad incidere sulla vita politica italiana. Per farlo, abbiamo contattato tramite mail Lynda Dematteo, antropologa francese, autrice de L’idiota in politica. Questo è ciò che ci ha raccontato.

Come nasce l’idea del suo libro?

«L’idea de L’idiota in politica, scaturisce dal lavoro etnografico. Quando ho cominciato ad indagare nella provincia di Bergamo, mi sono resa conto che i bergamaschi (non leghisti) chiamavano ‘idioti’ i seguaci della Lega Nord. Intanto, questo partito di ‘idioti’ che veniva deriso un pò da tutti per i suoi aspetti ‘folkloristici’ era al potere nella provincia senza che nessuno si preoccupasse realmente dei danni che poteva fare nelle istituzioni.

I leghisti stessi hanno avuto l’intelligenza di giocare con questa immagine di bravi ‘idioti’ della politica per distinguersi dai politici di professione che disgustavano la gente, dopo le rivelazioni del Pool Mani Pulite. Credo che una tale situazione sia stata resa possibile dalla delusione e dal progressivo distacco dalla politica della maggioranza dei bergamaschi, più interessati al lavoro e al guadagno che ad altre considerazioni collettive».

Come nasce la Lega Nord? In quale contesto socio-economico?

«L’ideologia leghista venne elaborata negli anni ’50 in ambiti democristiani quando Umberto Bossi era troppo giovane per preoccuparsi di politica. All’inizio si trattava di ottenere la messa in pratica degli articoli relativi all’autonomia delle comunità già contenuti nella Costituzione Italiana. Dopo diversi tentativi falliti, il leader varesotto riuscirà nel 1992 a coalizzare i piccoli movimenti autonomisti del Nord Italia e porterà avanti le rivendicazioni federaliste del Nord.

Questo salto di qualità fu reso possibile dal sostegno finanziario delle piccole e medie imprese che, in quegli anni, hanno identificato la Lega Nord come il soggetto politico in grado di sostenere la loro attività e di difendere i loro interessi localistici. In quegli anni, molti imprenditori si sono impegnati in prima persona raggiungendo i ranghi leghisti».

Dopo la loro entrata nella scena politica, nel ’92/’94, quali cambiamenti hanno portato nella società italiana in termini di ‘linguaggio politico’?

«Da questo punto di vista, il leghismo fu una vera rivoluzione. Umberto Bossi ha polverizzato il politichese della vecchia classe politica con le sue provocazioni e le sue violenze di linguaggio. Ha creato un lessico tutto suo, pieno di metafore inattese, a volte umoristiche, che associava cucina politica e volgarità popolana. Le sue performances pubbliche hanno fatto scalpore e sedotto un elettorato stanco dei discorsi dei politici. È lui ad avere segnato il passaggio tra Prima e Seconda Repubblica, aprendo la strada al berlusconismo, anticipando addirittura il porno-pop di questi ultimi anni».

Cosa rappresenta, per la Lega Nord, la Padania e come sono riusciti a far passare il messaggio di una difesa di questo ‘pseudo-territorio’? Si può inventare, come diceva anche Hobsbawm, la tradizione?

«La tradizione è sempre un’invenzione. Questa invenzione può attecchire come il kilt scozzese oppure fare un flop. Nel caso leghista, non ha attecchito, perché c’era un vizio originale nell’elaborazione simbolica: come possono i leghisti inventare una nuova tradizione nazionale padana accontentandosi di rovesciare i miti italiani? Ai nazionalisti bretoni non verrebbe in mente di riprendere dei miti repubblicani francesi per spostarne il senso. È un modo piuttosto strano di operare, non trova? Credo che alla fine i leghisti ottengano un risultato opposto a quello che auspicano. La loro Padania avrà rinforzato al contrario il sentimento nazionale italiano».

Ho notato, rileggendo gli atti costitutivi del 1989, che si fa più volte menzione di un’ideale etnonazionalista, di un’unione di popoli e movimenti del Nord e di una spiccata lotta al fondamentalismo islamico. Sembrano più ideali medioevali che di un partito politico. Sbaglio?

«Mi sorprende che la lotta al fondamentalismo islamico sia già presente nei testi della Lega Lombarda. In quegli anni era prevalente il discorso antimeridionalista. L’etno-federalismo, invece, è da sempre stato l’obiettivo politico della Lega Nord. Il leghismo si inserisce in un filone specifico dell’estrema destra europea che trova corrispondenze in altri partiti come il Vlaams Belang fiammingo, la FPO austriaca o il Partito del Popolo danese.

La Lega Nord concepisce l’Europa come un insieme di popoli regionali diversi tra di loro per storia, lingua, tradizioni e antiche ascendenze. Questi gruppi, ai quali non corrispondono necessariamente i confini nazionali esistenti, vengono essenzializzati come se fossero sempre esistiti sotto la stessa maschera nel passare dei secoli. Questo può sembrare totalmente retrogrado rispetto ai modelli politici vigenti, ma non deve essere sottovalutato, perché la globalizzazione scardina i confini stabiliti e favorisce l’emergere di nuovi etno-nazionalismi».

Stona ancora di più, e denota quanto possano essere strumentali le loro battaglie, questa lotta al centralismo dello Stato e a ‘Roma ladrona’ quando poi nelle amministrazioni locali, già dagli anni ’90, si comportano come gli stessi partiti che criticano. Non le sembra un controsenso? Un’ideale che hanno trasmesso al loro elettorato ma che è palesemente paradossale?

«Credo che i leghisti si sono fatti propugnatori di una ‘doppia morale’ italiota. A parole difendono le virtù pubbliche, ma in realtà fanno i loro interessi. Direi che i loro discorsi sulla purezza padana hanno avuto una funzione auto-assolvente. Qui si tocca la dimensione profondamente carnevalesca del movimento leghista. Penso che la Lega finirà per essere scardinata dalle sue contraddizioni».

Umberto Bossi è volutamente o involutamente un’ “idiota in politica”?

«Direi che facendo l’idiota, Umberto Bossi, oltrepassa i suoi limiti reali. È riuscito a fare della sua idiozia iniziale una vera forza politica. In questo, sta il suo genio»

Matteo Marini

Giornalista pubblicista, fondatore e direttore di Wild Italy. Ha collaborato con varie testate nazionali e locali, tra cui Il Fatto Quotidiano e La Notizia Giornale, ed è blogger per l’Huffington Post Italia. Nel 2011 ha vinto il Primo Premio Nazionale Emanuela Loi (agente della scorta di Paolo Borsellino, morta in Via d’Amelio) come “giovane non omologato al pensiero unico”. Studioso di Comunicazione Politica, ha lavorato in campagne elettorali, sia in veste di candidato che di consulente e dirige, da fine 2016, Res Politics - Agenzia di comunicazione politica integrata . DIRETTORE DI WILD ITALY.

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