L’inganno di Sofia Coppola, come far rivivere la notte brava al soldato Jonathan

L’inganno, di Sofia Coppola, rilettura del cult movie di Don Siegel, con Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst ed Elle Fanning

 

 

Una scena de L'ingannoTratto dal romanzo A Painted Devil (1966) di Thomas P. Cullinan, L’inganno (2017) di Sofia Coppola oltre che essere autentica gemma filmica; parte da un importante assunto cinefilo. Il soggetto da cui è tratto, è lo stesso da cui Don Siegel porrà le basi narrative de La notte brava del soldato Jonathan (1971) con Clint Eastwood, Geraldine Page e Elizabeth Hartman.

L’opera della cineasta de Lost in Traslation (2003) tuttavia, non è da intendersi come remake del cult di Siegel; piuttosto come un’opera a sé. Un altro rifacimento dell’opera letteraria di Cullinan quindi, di cui la Coppola ribalta sagacemente la polarità delle dinamiche relazionali rispetto al film del 1971; da cui trasudano intenti extra-narrativi, perfino politici se rapportati alla società contemporanea e perfino all’America del #metoo.

Presentato al Festival di Cannes 2017, nel cast de L’inganno figurano Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst, Elle Fanning; e ancora Angourie Rice, Oona Lawrence, Emma Howard e Addison Riecke.

Sinossi

 

1864, Virginia. La guerra civile imperversa nel continente americano. In pieno territorio sudista una bambina, Amy (Angourie Rice) – in cerca di funghi nella foresta – incontra vicino a un albero John McBurney (Colin Farrell); caporale dell’esercito nordista ferito alla gamba. Pur con qualche titubanza, la giovane Amy decide di soccorrere il soldato nordista conducendolo così presso il Farnsworth Seminary gestito da Mrs Martha (Nicole Kidman).

Sarà sua premura e della socia Edwina (Kirsten Dunst) occuparsi del caporale – mosse da carità cristiana e senso del dovere. John infatti, entrerà lentamente nei meccanismi di vita del collegio; ben presto però le differenti fazioni si scontreranno, perché John, in Virginia, è il nemico.

Da Jonathan a John: giocare con il punto di vista narrativo

Kirsten Dunst e Colin Farrell L'inganno

Come dicevamo, L’inganno non è da intendersi come un remake effettivo, forse non dichiarato de La notte brava del soldato Jonathan; gli intenti della Coppola non sono quelli di rileggere Siegel, piuttosto Culliman e i punti di vista scenici. A partire dalla figura del Caporale nordista. Jonathan per Siegel, John per Coppola. Una riduzione del nome che sembra quasi lasciare il tempo che trova; ma che diventa invece essenziale nell’economia del racconto. Il sopracitato cambio di punto di vista narrativo infatti, diventa l’occasione per ribaltare la polarità delle dinamiche relazionali; declinando un gioco di passioni tra cacciatore e preda dove se per Siegel il Caporale è “l’oggetto del desiderio”, ne L’inganno assurge a cacciatore.

Il cambio di registro incide anche nella composizione della scena. In Siegel l’intero racconto risultava rafforzato del contrasto tra la limpidezza delle scene in diurna, e “il peccato” di quelle in notturna; rimarcato anche dal titolo scelto dalla distribuzione italiana: “La notte brava del soldato Jonathan“. Ne L’inganno invece, dal registro più delicato e soffuso e al contempo misterioso; in un Johnelemento di disturbo dove le volontà dei protagonisti vengono ribaltate, manipolate nello scompiglio della passione. Una totale ricalibratura che agisce anche in direzione della Martha della Kidman; privata del tutto della componente morbosa siegeliana, a favore di una maggiore compostezza e rigidità – con cui darle spessore caratteriale.

Come un quadro di William Turner

Kirsten Dunst L'inganno

La sopracitata maggior ambiguità degli agenti scenici trova valorizzazione nel contesto scenico; in un introdurci gradualmente nella vita del Farnsworth Seminary di una misurata e vibrante Kidman. Collegio avvolto in un poetico paesaggio bucolico in cui i colori della natura e della magione si mescolano all’ombra degli alberi, tra fioca luce solare e nebbia; una certosina cura scenografica e registica, dove ogni fermo-immagine sembra ricordare i paesaggi di William Turner (1775-1851), figlia del lavoro del DoP Philippe Le Sourd.

Un lavoro magistrale, con cui sfruttare al massimo l’ambiente interno con l’ausilio di candele e piccoli giochi di chiaroscuro grazie a un accenno di luce naturale; espediente magico che trova valorizzazione nelle scene conviviali in cui il bagliore delle candele pone l’attenzione al centro della tavola escludendo nell’ombra tutto l’ambiente circostante.

Un far rivivere la Virginia della Secessione che trova rimandi anche nella cura del cosiddetto “trucco e parrucco”. In tal senso la cura dell’elemento sartoriale di Stacey Battat è degna di opere del calibro di Barry Lyndon (1977) e L’età dell’innocenza (1993). Delicato il contrasto tra la casacca Nordista del John di Farrell, e il bianco candido delle donne del collegio; che sembra aver quasi dei rimandi allo sporco e e al candore illibato dei rispettivi agenti scenici.

Tra femminismo e prime volte

Elle Fanning in una scena de L'inganno

Lo sviluppo del racconto fa così emergere la criticità della narrazione e dei suoi agenti scenici. La seduzione diventa prima l’opportunità per sperimentare piaceri (come per la Alicia della Fanning), e senso di libertà (come per la Edwina della Dunst, refrattaria alla società inclusiva del collegio); ma anche prevaricazione dell’uomo e delle sue regole che diventa l’opportunità di racconto da cui emerge la forte carica sociale del sottotesto.

L’inganno diventa lettura della nostra società, codificata in una rivincita delle donne e dei soprusi maschili; uomini-padroni preda dei propri istinti animali e della mercificazione femminile. Intenzioni tuttavia, che se ben supportate nella climax, perdono la propria carica drammaturgica nel suo sviluppo; in una messa in scena patinata e delicata che tende un po’ a soffocare la forza delle sue azioni.

È un cinema di cui abbiamo bisogno quello de L’inganno, autentico rilancio della Coppola cineasta, dopo un Bling Ring (2013) con più ombre che luci. Ennesima conferma della bravura di una figlia d’arte – recentemente sbarcata su AppleTv con On The Rocks (2020) – che nonostante il Leone d’oro nel 2010 con Somewhere, e la Prix de la mise en scène a Cannes 2017; sembra non aver ancora trovato un nuovo progetto iconico e dalla chimica palpabile all’altezza dell’Oscar per la miglior sceneggiatura nel 2004 Lost in Translation.

L’inganno è disponibile su Netflix dal 10 novembre 2020.

 

 

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Francesco Fabio Parrino

Nato in Sicilia da madre umana e padre probabilmente alieno, ha un blaster sul comodino e uno zaino protonico dentro l’armadio. Malato cronico di Cinefilia dal 1989, dopo aver passato una vita a studiare i Classici Greci e Latini prima, la Letteratura Russa Ottocentesca poi, e per ultimi i Social-Media e le teorie sociologiche di Marshall McLuhan e Erving Goffman, si trasferisce a Roma per poter finalmente realizzare il suo sogno: vivere di cinema, diventare sceneggiatore e costruire il suo personale Millennium Falcon. COLLABORATORE SEZIONE CINEMA

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