Morti bianche, una strage silenziosa: intervista all’avvocato Ferruccio Pezzulla
Il lavoro senza sicurezza è lavoro inefficiente” Henry Ford. Anno Domini MMXVIII. Sono tanti, sono troppi, la maggior parte di loro sono precari, spesso senza un contratto stabile e senza tutele. Sono le cosiddette “morti bianche”. Per la maggior parte operai, muratori e agricoltori. Lavoratori che perdono la vita durante lo svolgimento delle loro attività. Il 10% delle vittime sono stranieri mentre il 25% ha più di 60 anni. Le Regioni con il più alto numero di incidenti mortali sul lavoro, a leggere le ultime statistiche, sono: Veneto, Lombardia e Piemonte. Le province: Milano, Treviso e Verona.

Parliamo di Sandro Gusmeroli, imprenditore edile di 55 anni, morto il 18 luglio a Talamona in Valtellina. L’uomo è rimasto schiacciato sotto un carico di ponteggi mentre manovrava una gru. La magistratura di Sondrio ha disposto il sequestro della consolle e della gru, per verificare eventuali anomalie nel funzionamento.
Il giorno prima, il 17 luglio, ad Eboli, a causa di una scarica elettrica, muore Michael Gutta, operaio siciliano di 23 anni. Secondo i primi accertamenti il ragazzo stava lavorando alle prese con il montaggio della serra quando la scarica, per motivi in corso di accertamento, lo ha fulminato.
Senza andare troppo a ritroso nel tempo, arriviamo al 13 luglio, a Roma, dove un muratore rumeno di 50 anni, a causa di un problema meccanico al montacarichi, rimane impigliato a uno dei ganci laterali e precipita per quattro piani. All’arrivo dei soccorsi l’uomo era già morto.
La lista potrebbe continuare. L’Osservatorio l’italiano Indipendente di Bologna ha registrato, a partire dal 1 gennaio 2018, ben 406 casi di morti durante l’esercizio della prestazione lavorativa. Un numero destinato a salire. Questi dati vengono confermati anche dall’Inail, che registra un incremento dell’11.58 % in più di denunce di infortunio con esito mortale riferite al periodo gennaio – marzo 2018, rispetto al periodo gennaio-marzo 2017.
Ma cosa si può fare oggi per invertire questa tendenza? Quali le soluzioni e le pecche del sistema? Wild Italy ne ha parlato con l’avvocato Ferruccio Pezzulla, esperto di diritto del lavoro e sindacale.
Avvocato, com’è possibile che nel 2018 si muoia ancora sul posto di lavoro? E soprattutto: com’è possibile che tante aziende riescano a svincolare così facilmente da leggi e controlli a tutela dei lavoratori?

Il problema non è certamente legato a lacune legislative, anzi. Il nostro ordinamento tutela, innanzitutto a livello Costituzionale (art. 32), la salute e la sicurezza ed impone, con l’art. 41 Cost., che l’iniziativa economica privata non possa esercitarsi a discapito di salute e sicurezza. Vi è poi, l’art. 2087 c.c. che prevede, a livello di principio generale, l’onere per datore di lavoro e committenti di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Vi è, infine, una articolata normativa di dettaglio, dapprima compendiata nel d. lgs. N. 626 del 1994 ed ora all’interno del c.d. Testo unico sulla sicurezza, il d.lgs. n. 81/2008, che prevede una serie, piuttosto articolata, a carico del datore di lavoro di obblighi di comunicazione e prevenzione. Il problema, pertanto, non è la mancanza di leggi, ma semmai la mancata applicazione o la elusione da parte dei destinatari.
Per quale motivo, a suo avviso, quindi non vengono rispettate norme e regolamenti?
La sicurezza ha sicuramente un grande impatto economico sul bilancio di un’azienda e comporta, certamente, diversi oneri. Tanto più la realtà è piccola, poi, tanto più si riscontra la cattiva gestione della legge. Favoriscono tali situazioni, ad esempio, l’utilizzo del lavoro in nero, la mancata dotazione dei dispositivi. E poi l’abbigliamento necessario, di tutto quanto possa occorrere a rendere effettivi gli obblighi di prevenzione. Pensiamo all’edilizia, all’agricoltura, alla logistica, sono settori in cui si verificano la maggior parte degli incidenti. Il motivo? Proprio perché vi è una forte propensione all’elusione ed una scarsa incidenza dei controlli.
Tale fenomeno lo si può riscontrare, soprattutto, nel complesso mondo degli appalti. Non è infatti insolito che si verifichino situazioni in cui, all’interno di un unico contratto di appalto, coesistano più attori che collaborano alla realizzazione, per esempio, di una opera finale in cui ognuno di questi contribuisce per la sua parte, avendo tuttavia figure di riferimento proprie.

A questo scopo il Testo Unico impone che il datore di lavoro deve avere, quale presupposto, “disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo”. Alla luce di questa definizione già risulta più immediato comprendere come non sempre il responsabile aziendale sia da ritenersi “Datore di lavoro” all’interno di situazioni complesse in cui, potrebbe non avere responsabilità giuridica dei luoghi.
Si fa inoltre riferimento, introducendo un nuovo concetto, ai “datori di lavoro ivi compresi i subappaltatori”, ammettendo quindi esplicitamente la possibilità che all’interno di un contatto di appalto esistano ed operino più di un datore di lavoro, che si assumono ognuno le proprie responsabilità per quanto di loro competenza e quindi cooperando all’attuazione delle misure di protezione e prevenzione e coordinando gli interventi al fine di tutelare i lavoratori alle proprie dipendenze, a comunque all’interno dell’area di lavoro, dai rischi connessi alle proprie attività.
Da situazioni così complesse deriva inevitabilmente che debba essere attuato un piano di coordinamento molto scrupoloso e dettagliato, che possa tenere conto di tutti i possibili rischi di interferenza a cui potrebbero essere esposti i lavoratori presenti. Questo coordinamento è demandato al datore di lavoro committente (che presumibilmente ha la disponibilità giuridica dei luoghi) e si realizza con la redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI). Un documento che va elaborato in fase contrattuale e che deve includere la valutazione di tutti i possibili rischi di inteferenze apportati dai diversi attori, nonché le misure preventive e protettive da adottare. Spesso, però, la redazione si ferma al dato formale, o spesso è anche redatto male o non redatto affatto.
Non spetterebbe all’INAIL occuparsi della corretta ispezione degli appalti?

Sì, in generale è l’Inail ad essere incaricata del controllo sulla sicurezza e salute dei lavoratori e, nell’ambito delle competenze, assumono una rilevanza decisiva i compiti di repressione e sanzione di condotte illegittime, riscontrabili attraverso i servizi ispettivi. Purtroppo, però, ad un aumento dei contratti d’appalto non assistiamo ad un parallelo aumento dei controlli da parte degli organi preposti, così come in generale vi è una forte contrazione delle ispezioni, soprattutto dovuta alla scarsità di personale ed alle condizioni operative pessime in cui gli stessi si trovano ad operare. C’è da segnalare una forte carenza di personale ispettivo all’interno dell’INAIL, professione alla quale si accede solo tramite apposito concorso e dopo una lunga formazione.
Secondo l’Osservatorio Italiano Indipendente di Bologna, il Jobs Act ha contribuito a far aumentare le morti bianche. Lei cosa ne pensa?
Come ho avuto modo di dire, ogni evento mortale, o più in generale di infortunio durante la prestazione lavorativa, trova il suo fattore causale determinante nel fattore umano. Quindi dire che il Jobs Act abbia influito, con incidenza causale, sull’aumento degli infortuni o delle morti è un’affermazione che non posso fare. Se non altro perché è priva di riscontro scientifico. D’altro canto, tuttavia, è anche vero che il Jobs Act ha introdotto una radicale riforma dei servizi ispettivi.
Con la riforma dei servizi ispettivi, qualcosa è sicuramente cambiato e sotto molti aspetti peggiorato. In virtù di una presunta razionalizzazione dei costi, la riforma ha accorpato servizi ispettivi dell’Ispettorato del Ministero del Lavoro, dell’INPS e dell’INAIL in una figura coordinata dall’ispettorato di nuova istituzione, denominato di Ispettorato Nazionale del lavoro (INL). Questa figura, alle dirette dipendenze del Ministero del Lavoro, sebbene istituita non ha visto una sinergia al momento dell’attuazione. Gli ispettori INPS ed INAIL lamentano una scarsa utilizzazione, denunciano una difficile trasmissione dei dati e, soprattutto, tagli alla formazione, alla dotazione di mezzi ed allo stipendio, essendo loro stato tagliato il 50% del salario accessorio. A quasi tre anni dalla riforma assistiamo, pertanto, ad una scarsa incidenza dei controlli che si sono fortemente contratti anche e soprattutto per tale ragione.

C’è abbastanza informazione su questo tema? Cosa si può fare per smuovere l’opinione pubblica? A quali iniziative aderire?
Il problema, secondo me, non è tanto sensibilizzare l’opinione pubblica, ma gli addetti ai lavori. Iniziative per portare a conoscenza di tale triste fenomeno ve ne sono state tante. Tutte le maggiori organizzazioni sindacali, ad esempio, hanno dedicato in occasione del primo maggio e dei giorni a venire, numerose iniziative dedicate a tale tema per sensibilizzare l’opinione pubblica. Mi è capitato, anche di leggere alcuni articoli di giornale e vedere delle trasmissioni televisive dedicate a questo tema.
In che modo si può contrastare questo aumento di decessi?
L’unico modo, a mio parere, è attraverso una campagna di formazione culturale sui luoghi di lavoro. Sebbene nelle grosse realtà non manchino le buone pratiche – perché la legge impone una serie di obblighi, riconosce dei diritti, ad esempio l’istituzione del rappresentante dei lavoratori della sicurezza (RLS) che ha, nella sostanza, il diritto di interloquire con dal datore di lavoro su tale tema, con gli stessi diritti prerogative e guarentigie previste dalla legge per i rappresentanti sindacali (RSU) – è nelle piccole realtà che è difficile far passare il messaggio.
Bisognerebbe investire in formazione, potenziare gli ispettori assumendone di più, pagandoli meglio, dotarli dei mezzi tecnologicamente più avanzati. Ed infine immaginare dei meccanismi incentivanti di carattere premiale per le aziende che sono in regola, ovvero si mettono in regola a seguito di controlli e pesanti sanzioni per coloro i quali non adempiono agli obblighi previsti dalla legge, magari anche di carattere penale o di chiusura dell’azienda. E’ chiaro che sono solo suggerimenti ma sarebbe un inizio.
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Intervista e analisi intelligente e appropriata. Induce a nuovi spunti di riflessione e a solite e già note considerazioni . Grazie per averla pubblicata