Primarie PD: Renzi, Emiliano e Orlando alla prova del Confronto
Domani, domenica 30 aprile, si terranno le primarie PD 2017 per eleggere il nuovo segretario nazionale, che potrebbe essere anche il candidato premier alle prossime elezioni. A sfidarsi Matteo Renzi, Michele Emiliano ed Andrea Orlando. Si concluderà così un congresso rapido e non particolarmente esaltante di cui molti non sanno e di cui a molti non interessa proprio, in un clima di sfiducia generale in cui difficilmente si raggiungerà un’alta affluenza (si parla di 1.300-1.850 milioni di possibili votanti, 1 milione in meno della precedente tornata) . Tuttavia, c’è da ricordare, che si tratta dell’unico schieramento politico che in Italia lascia la libertà di voto ai non iscritti (anche se pagando due euro e firmando di aderire ai loro valori) e non è affatto poco.
I tre candidati si sono confrontati per la prima ed unica volta mercoledì scorso nel Confronto di Sky Tg 24. Non è stato uno spettacolo sorprendente, ma ha mostrato (probabilmente troppo tardi) la natura dei tre candidati. Analizziamo il loro comportamento e le loro proposte in vista del voto.
MATTEO RENZI
L’ex premier e segretario è il super favorito, con sondaggi che lo danno tra il 59% e il 65% delle preferenze e lo ha dimostrato. Nel Confronto è apparso particolarmente sereno e sicuro, con la solita retorica annichilente degli avversari a cui non ha risparmiato colpi bassi, facendo apparire molto improbabile un loro coinvolgimento sotto la sua prossima segreteria.
Prima di tutto ha messo in evidenza la “mancanza di correttezza e rispetto” di Emiliano che parla di partito dei banchieri e dei petrolieri e non accetterà una sua eventuale vittoria continuando ad attaccarlo aspramente. Ma, mentre il loro è apparso un duello teatrale, quello con Orlando è stato particolarmente freddo e duro: Renzi ha ripetutamente sottolineato che il ministro è stato un parlamentare prima di lui con incarico in un governo appoggiato dal Pdl e dopo un membro del suo governo, essendo quindi privo di credibilità nelle critiche. Poi, però, gli scivoloni che non ti aspetti.
A partire dal voto di Orlando sul Fiscal Compact (che firmò il governo Berlusconi senza l’appoggio del PD) e poi quello più forte sul numero dei posti di lavoro prodotti dal Jobs Act fino ad oggi (sono 711 mila in più, come ha detto, da febbraio 2014 a febbraio 2017, mentre se si considera da quando è entrata in vigore la legge, dicembre 2014, ad oggi sono aumentati di 440 mila unità, poco più della metà).
Venendo ai contenuti e le strategie: puntare sugli investimenti e le innovazioni incentivando anche l’arrivo di capitali esteri per creare lavoro, superare il Fiscal Compact anche mettendo il veto nell’inserimento dei trattati per avere più risorse e portare avanti le riforme intraprese ed essere più presenti sul web. Evidente poi la strizzatina d’occhio all’elettorato del centro-destra con la proposta di una legge sulla legittima difesa e a quello grillino con la critica alla burocrazia europea (chiedendo subito dopo l’elezione del presidente della Commissione europea e più democrazia) che sui migranti lascia soli e poi chiede denaro. Infine la negazione di una futura imposta patrimoniale ai più ricchi e la non esclusione, in caso di necessità, di un’alleanza con Berlusconi per formare un nuovo governo.
MICHELE EMILIANO
Il governatore della Puglia ci ha messo tutte le sue energie per affossare Renzi, ma è spesso crollato di fronte alle sue abilità comunicative. Significativa è la reazione al suo appello finale. L’ex premier non chiede di votare per sé, ma di andare a votare perché è importante ed è la festa della democrazia (dopo essersi svincolato per due mesi da altri confronti ed aver parlato il meno possibile delle primarie).
Lui, probabilmente spiazzato, arriva a dire, quasi per compassione, che comunque l’ex premier ci ha messo la faccia ed ha fatto il suo meglio, nonostante sia andata male. Sbaglia anche a confermare con un secco no che non accetterà la possibile vittoria di Renzi, cosa che lui rivendica in seguito nonostante la spiegazione fornita. Sui contenuti la sua proposta è del tutto antitetica a quella dell’ex premier: stralciare le riforme fatte re-introducendo l’articolo 18 e ri-contrattando la Buona Scuola con gli insegnanti e le parti coinvolte, no alla politica dei bonus , si ad una patrimoniale e ad una web tax per chi vende telematicamente, con le cui entrate finanziare uno sgravio fiscale permanente per imprenditori e lavoratori.
Infine, il sogno degli Stati Uniti d’Europa e la rivendicazione di essere l’unico candidato che non ha partecipato all’operato del governo Renzi e quello più di Sinistra. Il grande svantaggio è quello di essere il meno conosciuto tra i tre (è famoso solo nella sua Puglia dove voterà per lui anche Al Bano), gap che non è riuscito a recuperare in questi due mesi.
ANDREA ORLANDO
Il ministro della Giustizia è apparso motivato e “sul pezzo” come forse mai prima d’ora. Ha tenuto testa meglio di Emiliano a Renzi, nonostante non avesse ben capito le regole del confronto ed a tratti è apparso impacciato, precisando che è sempre stato al governo con la sua posizione critica, che non ha votato il Fiscal Compact e sostenuto Monti come tutti, che l’Europa è controllata da “tecnocrazie” solo quando la politica fa un passo indietro e che gli errori sono stati fatti e il 4 dicembre ne è una dimostrazione, motivo per cui cambiare rotta è la miglior cosa da fare.
Questi errori stanno per lui in una certa politica del bonus (non gli 80 euro, ma ad esempio i 500 euro di bonus cultura dati a tutti i 18enni senza discriminazioni), nel Jobs Act (di cui propone di rivedere i licenziamenti collettivi e disciplinari) e in una generale mancanza di confronto tra i democratici e tra questi e la società civile del paese (con riferimento indiretto, forse, alla Buona Scuola). I suoi chiodi fissi sono la lotta alle disuguaglianze sociali (anche se scivola citando dati che il fact-checking di Agi ha ridimensionato) e la formazione di un centro-sinistra ampio e plurale (che abbia il PD al centro).
Le sue proposte, dunque, sono orientate ad aiutare chi ha i salari più bassi, razionalizzando la spesa pubblica, tassando maggiormente i più ricchi e spingendo anche per una tassazione di dimensione sovra-nazionale sui grandi capitali. Nell’appello finale si gioca il tutto per tutto dicendo di votare non per una persona, ma per un progetto che possa tornare a fare di chi è povero futura classe dirigente del paese. Nei sondaggi è dato come secondo, ma il suo basso profilo e la carica di ministro con Renzi creano il suo pronunciato svantaggio con l’ex premier.
E’ chiaro, infine, qual’è il reale intento dei candidati: da una parte Renzi vuole farsi riconfermare con un ampio margine nonostante il numero totale dei votanti, dall’altra Orlando ed Emiliano puntano all’impresa di mandarlo sotto il 50% per aprire nuovi scenari (non sarebbe eletto direttamente, dovrebbe passare per l’assemblea PD). Parola agli elettori.