Rai, la nuova “Tv della Nazione”?

 

di Carlo Magnani, docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione, Università “Carlo Bo’ ” di Urbino

Tra le varie “riforme” messe in agenda dal governo Renzi figura anche quella della Rai. Non appena le urgenze economiche saranno placate, si spera presto, potremmo trovare al centro del dibattito italiano il futuro dell’informazione del servizio pubblico.

1425708013-r600x-renzi-raiSi tratta di un classico assoluto nella vicenda politica italiana, forse un inevitabile passaggio istituzionale da vivere, che accomuna sia la prima fase della Repubblica che questa seconda. Ogni epoca politica, ogni formula di governo ha avuto la sua necessaria ricaduta sul servizio pubblico radiotelevisivo; anzi, spesso è stata proprio la Rai ad anticipare i futuri assetti del sistema politico. Brevemente:

1) Con il centrismo democristiano c’era la Rai del canale unico, rigorosamente governativa, ove i vertici erano nominati direttamente dall’esecutivo che poteva anche censurare i programmi;

2) Sotto il centro-sinistra è partito il Secondo Canale (1961) e la programmazione si è arricchita, grazie anche al ruolo di Bernabei;

3) Il compromesso storico è stato sostanzialmente preannunciato dalla riforma Rai del 1975 che ha posto le basi per il Terzo Canale e la lottizzazione partitica della Rai;

4) Il decreto legge “salva Berlusconi”, convertito nel 1985, segna l’intervento del craxismo e del cosiddetto “C.A.F.”;

5) La legge “Mammì” (prodotto del “Pentapartito”) ha anticipato gli schieramenti della Seconda Repubblica (sinistra Dc, comunisti e “La Repubblica” contro Fininvest, socialisti e destra);

6) Nel 1993 è arrivata la ritirata dei partiti a favore della società civile, la “Rai dei professori” (che spesso non avevano la Tv in casa!);

7) Con la legge “Maccanico” si sono sperimentate le inconcludenze e le incertezze dell’Ulivo;

8) La legge Gasparri ha introdotto il digitale a costo zero per tutti gli operatori già predominanti.

È del tutto normale che il “renzismo” voglia lasciare qualche segno.

Luigi Gubitosi, Direttore generale della Rai. Fonte: corrierecomunicazioni.it
Luigi Gubitosi, Direttore generale della Rai. Fonte: corrierecomunicazioni.it

In realtà l’iniziativa governativa non si muove nel vuoto di attenzione verso l’intero settore.

Bisogna, infatti, menzionare il progetto “Riposizionamento dell’offerta informativa della Rai nel nuovo mercato digitale” avanzato durante il 2014 dall’attuale Direttore Generale della Rai Gubitosi, che l’ha ribattezzato Proposta “15 dicembre”, dalla simbolica data del 1979 in cui nacquero il Tg3 e il TgR. Il piano vuole rimodulare l’offerta informativa pubblica, ispirandosi al modello della Bbc, giungendo nel medio termine a organizzare le varie testare sotto una unica redazione (newsroom) a cui dovranno attingere tutte le piattaforme news ed un solo Tg nazionale.

A breve termine, invece, entro il 2016, si prevede la costituzione di due grandi raggruppamenti delle testate esistenti. Da un lato, una direzione unica per Tg1 e Tg2 con il compito di trasmettere notizie differenziate: quelle rilevanti e di carattere istituzionale spetteranno al primo Tg, mentre il secondo si concentrerà sui fatti di costume sui grandi eventi. Dall’altro lato, una ulteriore direzione unica che metterà insieme Tg3, destinato alla informazione internazionale e sociale, TgR e Rainews, con relativo aumento della informazione online che includerà anche le notizie locali.

Il Governo ha annunciato, dopo il Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2015, l’approvazione di un disegno di legge di riforma del servizio pubblico. L’aspetto più significativo è senza dubbio quello della nuova governance. Il nuovo Consiglio di Amministrazione dovrebbe passare da 9 a 7 membri: 4 membri eletti dal Parlamento, ovvero 2 eletti dalla Camera dei deputati e 2 dal Senato della Repubblica (Senato forse non più elettivo dalla prossima legislatura) con voto limitato, 2 membri di nomina governativa designati dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze e un membro designato dall’assemblea dei dipendenti. Il Presidente della Rai sarà eletto dai consiglieri del CdA tra i suoi membri.

Alla base dell’intervento legislativo, come si legge nel Comunicato che accompagna il Consiglio dei Ministri, si trova una precisa idea di ciò che dovrà essere la Rai. Per immaginare il servizio pubblico del futuro occorre porre le basi per «una governance che accompagni la trasformazione della Rai da broadcaster a media company. Una media company capace di essere presente e produrre contenuti per tutte le piattaforme, lineari e non lineari, con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica. Prima condizione per valorizzare il ruolo “industriale” della Rai è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere RAIchiamato a risponderne. Vanno indentificati con chiarezza ruoli e responsabilità».

Il nuovo modello di direzione del servizio pubblico radiotelevisivo è funzionale ad un modello gestionale che vuole affidarsi ad una «guida manageriale vera come quella di ogni grande player internazionale». Tale capo azienda è l’Amministratore delegato, che non è un lavoratore Rai, viene nominato dal Consiglio di amministrazione e rimane in carica per 3 anni. Tra i suoi compiti: risponde della gestione aziendale, assicura coerenza nella programmazione con la linea editoriale, firma atti e contratti, propone all’approvazione del consiglio di amministrazione i piani annuali, attua il piano investimenti, piano finanziario, piani del personale, di ristrutturazione, i progetti specifici approvati dal Consiglio di amministrazione.

La Rai del futuro dovrà essere, per il Governo, moderna e tecnologicamente versatile ma dovrà parlare sempre «un linguaggio generalista che funga da riferimento per una “Tv Nazione”». Per raggiungere tale obiettivo occorre ridefinire l’offerta editoriale anche razionalizzando «il numero dei canali»: questo minaccia forse la scomparsa di alcune reti dalla piattaforma del servizio pubblico. La governance non è la sola materia oggetto della legge, si aggiungono anche il Contratto di servizio, il canone e il sistema di finanziamento, nonché il rinnovo del titolo amministrativo di affidamento del servizio. Le vicende del pluralismo si arricchiscono di una nuova sfida.

Un primo dubbio riguarda che cosa si debba intendere per Nazione, cioè se un concetto così omogeneo sia davvero adeguato ad esprimere la differenze culturali ed etiche. Un secondo elemento interessa questa idea di affidare ad una guida manageriale forte il destino del servizio pubblico radiotelevisivo: si tratta forse di un inedito nella nostra storia, neppure Ettore Bernabei fu forse investito di tanto (almeno formalmente). Sarà il “Preside” della Rai?

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