Ricominciamo dal 1°?

Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia visto da fuori offre interessanti spunti di riflessione e discussione con chi italiano non è. L’anno che si è aperto sarà uno di quelli da ricordare, almeno sulla carta. Le celebrazioni sono cominciate in grande stile a Reggio Emilia con la Giornata Nazionale della Bandiera, quel tricolore verde, bianco e rosso che in molti sfoggiano con orgoglio solo durante i mondiali di calcio ma che è il primo simbolo di riconoscimento che abbiamo all’estero.

In numerosi articoli comparsi in queste settimane sui principali quotidiani britannici la domanda più frequente è su quanto sia sensato festeggiare la ricorrenza di un’unità che sembra così distante dall’essersi realizzata per davvero. In molti si chiedono quanto sia credibile un Paese che vede tra le fila del suo esecutivo un partito, la Lega Nord, che non perde occasione per deridere, umiliare e mancare di rispetto non soltanto ai simboli e alle istituzioni del Paese ma anche a tutti coloro che hanno lottato e spesso dato la vita per un’ideale – quello dell’Unità appunto – riconosciuto anche nell’Articolo 5 della nostra Carta. Gli esempi non mancano e vanno dal celebre ‘il tricolore lo uso per pulirmi il culo’ di Bossi alla più recente ma altrettanto infelice uscita di Borghezio sull’Abruzzo, definito un peso morto per il Paese.
Viene quindi difficile immaginare un clima meno adatto per parlare di unità, nazione e senso di appartenenza comune, ma forse questa volta vale la pena di fare uno sforzo e provarci per davvero; se non altro per dimostrare che non si tratta soltanto di retorica patriottica ma di qualcosa in più.

L’Italia non è perfetta e raramente offre spunti per poterne parlare a testa alta, ma l’avanzata territoriale ed elettorale degli uomini della Lega, che mirano alla secessione (ebbene sì, il federalismo così come lo intendono le camice verdi non è nulla di lontanamente paragonabile a quello tedesco o svizzero) e dunque allo spaccamento in due parti ben distinte del Paese, ha risvegliato da queste parti un inaspettato senso di unità e appartenenza nazionale. In molti si chiedono come sia stato possibile che personaggi ideologicamente xenofobi, razzisti e con sentimenti antinazionali abbiano avuto modo di conquistarsi, lentamente ma in modo inesorabile, fette di potere sempre più grandi, fino a diventare l’ago della bilancia della politica italiana e – peggio ancora – gli effettivi detentori delle chiavi delle urne elettorali. Se solo volessero, infatti, i vari Bossi, Maroni e Calderoli potrebbero chiudere la legislatura in corso e portare il Paese alle elezioni nel giro di un pomeriggio, o quasi.

Non è facile dare una risposta alle obiezioni che vengono sollevate, né tanto meno spiegare come si sia giunti a questo punto se si tiene conto che qui l’attaccamento alle origini, alla storia e alle tradizioni nazionali è un sentimento profondamente radicato nella società, indipendentemente dall’appartenenza politica dei cittadini. Hai voglia ad argomentare che con tutti i suoi difetti l’Italia rimane pur sempre una democrazia nella quale tutti hanno diritto di far sentire la propria voce e di andare alla ricerca di consensi, quando poi ti trovi di fronte ministri e sottosegretari che giurano sulla Costituzione e ne disattendono i principi fondamentali subito dopo.

Forse il nodo dell’intero problema è che al di là di una radicata presenza sul territorio, che qualsiasi altro partito può scordarsi di avere, la Lega ha fatto leva negli anni su una buona parte di italiani che hanno perso quel sentimento naturale di attaccamento verso la propria terra (tutta, da nord a sud); una sorta di rispetto e amore per il proprio Paese, nel bene e nel male.

L’aveva già capito Massimo d’Azeglio a fine ’800 quando scriveva che dopo aver fatto l’Italia sarebbe stato necessario fare gli italiani. Oggi viene da dire che per fare gli italiani bisognerebbe prima liberarsi dei leghisti. In che modo? Elevando innanzitutto il livello culturale dei cittadini. E il primo e più importante luogo dove intraprendere questa lunga e difficile operazione sono le scuole, proprio quelle che, non a caso, vengono ora tappezzate con il simbolo del Sole delle Alpi, che niente ha a che fare con l’Italia, della quale per fortuna o purtroppo, come cantava il Signor G, facciamo ancora parte.

Alessandro Aimone

Torinese, laureato in Studi Internazionali alla Facolta’ di Scienze Politiche. Residente a Londra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Shares