The Gallows – L’esecuzione: horror a due velocità
The Gallows – L’esecuzione non è un film con molte pretese: dura circa ottanta minuti, è girato da registi esordienti con attori esordienti e con un budget di centomila dollari. Per capirne il motivo bisogna aprire una digressione sul mockumentary, ovvero quel genere cinematografico che crea un fittizio impianto realistico dietro una storia inventata, solitamente di matrice horror, la cui caratteristica principale è la realizzazione delle riprese tramite videocamere amatoriali. Capostipite del genere è The Blair Witch Project, il quale inscenava un vero e proprio documentario con tanto di battage mediatico online per aumentarne la risonanza, anche se a pensarci bene chi aveva precorso i tempi in questo senso fu senza dubbio Ruggero Deodato con il suo Cannibal Holocaust. In seguito il mockumentary ha subìto delle lievi variazioni che hanno portato al celebre Paranormal Activity, il quale non ha intenti fintamente documentaristici ma comunque conserva la tecnica del found footage (video ritrovato), usata appunto anche in The Gallows, che si inserisce nel solco tracciato da questi horror.
Posto che i presupposti della pellicola non sono completamente originali, alcuni elementi della trama in realtà lo sono. In un liceo di Beatrice, in Nebraska, nel 1993 una recita finisce male, con il protagonista accidentalmente impiccato. Venti anni dopo nello stesso liceo la stessa recita viene riallestita per donarle una diversa riuscita; tuttavia il nuovo protagonista, Reese, non è propriamente De Niro, e si trova impacciato nei panni dell’attore, avendo preso parte allo spettacolo solo per interessi verso la protagonista femminile, Pfeifer. A raccontare tutto questo è Ryan, il bullo della scuola che pensa solo a fare stupidaggini e soprattutto a riprendere continuamente ogni cosa con la sua videocamera (senza un vero motivo). Ryan è fidanzato con Cassidy, la tipica ragazza americana bionda, superficiale e con tre strati di fondotinta, ma ciò non gli impedisce di fomentarsi per delle idiozie, tant’è che per evitare a Reese una figuraccia il giorno dello spettacolo, Ryan convince l’amico a introdursi con lui e la ragazza nella scuola nottetempo per distruggere la scenografia, così da evitarne la messa in scena; ovviamente appena entrati sembra che non ci sia corrente elettrica né ricezione telefonica e in men che non si dica iniziano una serie di rumori inspiegabili, finché non sbuca fuori Pfeifer. Da lì in poi inizia il climax da vero e proprio horror messo in atto dallo spirito, o quello che sia, di Charlie, il ragazzo morto impiccato venti anni prima.
Se per tutta la prima parte The Gallows mette in scena i più sbiaditi stereotipi da teen comedy americana, nella seconda esce fuori un horror più originale, quasi misurato nel sonoro angoscioso (il suo leit motiv è lo scricchiolio del cordame delle vittime impiccate) e nel fatalismo stringente che avvolge il protagonista. Meno originali invece le soluzioni narrative adottate dagli autori Travis Cluff e Chris Lofing, i quali avrebbero forse dovuto più spingere sulla connessione fra teatro, paranormale e intreccio del film stesso. Ma ciò che realmente lascia profondamente allibiti è il finale: trascurando il poliziotto che filma inspiegabilmente il proprio blitz in casa di privati, esso sembra costruito solo ed esclusivamente per chiudere il cerchio del mistero.
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