Van Der Graaf Generator, il gruppo torna sulle scene con Do Not Disturb

Do Not Disturb è il titolo dell’ultimo lavoro di Hugh Banton, Guy Evans e Peter Hammill, ovvero i Van Der Graaf Generator, appena uscito; la foto interna al CD inquadra tre sorridenti ed attempati signori, che, per chi non li conoscesse, sono stati tra i primi eroi dello stile musicale successivamente denominato rock progressive, con una onorata carriera (tra divorzi e riappacificazioni) durata quasi 50 anni.

Sono passati quattro anni da Alt, uscito nel 2012, album completamente strumentale e per certi versi molto sperimentale, in quanto privo della particolarissima voce di Peter Hammill ed improntato soprattutto all’improvvisazione, alternando sonorità jazz ad echi “floydiani” della fine degli anni sessanta: ovviamente un lavoro non facile ma liberatorio, nel senso di dare spazio a tutto quello che i tre musicisti avevano voglia di esprimere.

La formazione del nuovo album, rispetto a quella storica di The Last We Can Do Is Wave to Each Other, H to He e Pawn Hearts si è ridotta a tre elementi da ormai 10 anni, per l’uscita del sassofonista David Jackson, attratto da altri progetti musicali (tra i quali i nostri Osanna), ma continua ad avere le note caratteristiche ed il sound classico Van Der Graaf, con episodi di rara bellezza.

Nel nuovo lavoro si va dal mix di dolcezza dell’inizio di Aloft, alla fase più hard e progressive sempre dello stesso brano, in puro stile VDDG, a momenti crimsoniani come Forever Falling, che riportano alla mente i lavori della band di Robert Fripp degli anni ’80, oppure a momenti jazz come in (Oh No! I Must have Said) Yes e Almost the Words; la voce di Hammill, le tastiere di Banton ed il drumming di Evans si miscelano in una formula musicale caratteristica di questa band.

Il mio primo personale ricordo dei Van Der Graaf Generator, per intenderci quelli che, praticamente sconosciuti in patria, arrivarono in Italia e furono accolti come dei divi dal pubblico romano del Piper Club, risale al febbraio 1972, quando iniziarono la loro performance con il brano Darkness; si creò un’atmosfera quasi magica e mi accorsi che questa band aveva veramente qualcosa di particolare e diverso dagli altri gruppi, riusciva a coniugare vari generi musicali insieme con una naturalezza incredibile.

La meraviglia era data soprattutto dall’accoppiamento degli strumenti presenti, alcuni inusuali per l’epoca nel rock (come il sassofono) ed il poco utilizzo di altri (come il basso, riprodotto dalle tastiere di Banton e la chitarra, nel gruppo poco usata da Hammill); il risultato finale era qualcosa di mai ascoltato prima e di assolutamente nuovo nella forma stessa dei brani.

Tra l’altro Darkness ai tempi era un brano sconosciuto, in quanto presente nel loro secondo album e non ancora pubblicato in Italia, dato che, fino a quel momento, l’unico loro disco stampato e venduto era Pawn Hearts, che dopo la tournee italiana, ovviamente andò immediatamente in testa alle classifiche di vendita.

Solo allora i discografici dell’epoca decisero di stampare i precedenti album del gruppo e la beffa fu che poco dopo Hammill comunicò lo scioglimento dei Van Der Graaf Generator, tra lo stupore e lo sgomento di tutti i fans.

Ho visto nuovamente la band nel 1975 con la stessa formazione, in occasione della presentazione dell’album della prima reunion Godbluff al PalaEur, che come i romani sanno bene, non gode di un’acustica perfetta, anzi: in compenso il concerto fu molto bello, molto affollato (ai tempi si parlò di oltre 15.000 spettatori) e soprattutto furono riproposti alcuni brani del loro capolavoro Pawn Hearts. Questo fu l’ultimo concerto della brevissima (tre sole date) tournee italiana, in quanto il giorno dopo l’evento romano fu rubato il TIR con tutta la loro strumentazione.

L’ultima volta è stata nell’aprile 2011, all’Auditorium di Roma, nella formazione attuale a tre elementi, con la presentazione dell’album A Grounding in Numbers; i molti appassionati presenti erano per lo più miei coetanei entusiasti e sono stati gratificati alla fine del concerto con due brani storici come Man-Erg e Scorched Earth.

In una recente intervista, Peter Hammill ha affermato che, molto probabilmente Do Not Disturb sarà l’ultimo lavoro dei Van Der Graaf: speriamo ci ripensi e che continui, insieme ai suoi comprimari, a regalarci ancora melodie e testi di altissimo livello.

 

Riccardo Storchi

Appassionato di cinematografia e di musica sin dagli anni ’70, vive e lavora a Roma. Ha avuto esperienze radiofoniche negli anni ’80 e alimenta continuamente le sue passioni. Nell’ambito musicale, una particolare predilezione per il Jazz ed il Rock-Progressive. BLOGGER DI WILD ITALY

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