Zeta, un film sul rap per chi mastica (solo) rap

zeta-film-rapZeta, terzo lungometraggio diretto da Cosimo Alemà, arriverà nelle sale cinematografiche italiane giovedì 28 aprile distribuito da Koch Media e prodotto da 999 Films e Panamafilm in collaborazione con Sony Music Italy e Sky Cinema.

SINOSSI.

In una Roma che si divide verticalmente tra centro e periferia, ricchi e poveri, famosi e non famosi, tre amici poco meno che ventenni, Alex/Zeta (Diego Germini), Gaia (Irene Vetere) e Marco (Jacopo Olmi Antinori), vivono con il sogno di sfuggire al destino che la società ha in serbo per loro. La vita di strada, il lavoro al mercato, i casermoni di periferia, la povertà, il piccolo spaccio, il sogno dell’hip hop: questa è la vita per Alex. Fino a che il sogno non diventa realtà e lui si trova catapultato nel mondo del rap a giocarsi la sua partita e a far vedere quanto vale. Ma gestire il proprio destino è una faccenda complessa e Alex commette molti errori, fino a ritrovarsi solo, con un successo effimero e senza punti di riferimento. Dovrà affrontare i suoi demoni, la durezza del mondo e la sua confusione per superare la linea d’ombra, imparando ad amare la sua rabbia e riuscendo nell’impresa più difficile: capire fino in fondo cosa desidera.

IL TEMPO DELLE MELE IN VERSIONE RAP?

Zeta è una film che arriva nei cinema sull’onda del successo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Scusateci il paragone fuori luogo ma entrambi sembrando legati da un comune denominatore che si sta facendo spazio nella mentalità cinematografica italiana, quella periferia che ora come ora è come il prezzemolo: sta bene dappertutto. Se nel film diretto da Gabriele Mainetti la periferia faceva da contorno forte alle vicende del personaggio supereroe, comunque in prima linea, lo stesso non si potrebbe dire della pellicola di Cosimo Alemà dove sono la periferia e il degrado che la circonda ma soprattutto il mondo del rap a giocare un ruolo predominante nell’arco dei novanta e passa minuti. E lì tutto finisce. Perché il film costituisce una trama quantomai banale e dal finale pressoché scontato.

zeta-filmAlex è un ragazzino viziato, perennemente imbronciato e in contrasto con il mondo, con la famiglia e, paradossalmente, anche con i propri amici. E l’unico salvagente al quale può aggrapparsi è la musica, o meglio, il rap. Cosimo Alemà, guru della musica italiana avendo girato in venti anni di carriera tonnellate e tonnellate di videoclip musicali collaborando con i più svariati artisti della scena italiana (da Max Pezzali a Ligabue passando per Nek e, addirittura, per Mina), dipinge l’arte del rap e ciò che gli sta intorno come una sorta di ‘mondo di mezzo’, forse anche un pochino distopico, regalando una visione pregiudizievole e alquanto esagerata ad un genere che, d’accordo, nasce per strada ma da decenni fatica in maniera disumana e indissolubile ad uscire dal pollaio. È il terzo lungometraggio che il regista romano dirige in carriera ma il primo, come egli stesso ha dichiarato, ad “essere girato in scala nazionale e per un pubblico più vasto” visto che i primi due hanno imboccato in maniera quasi supersonica la via del dimenticatoio, oltre al flop in generale. Ad Alemà auguriamo ogni bene affinché possa costruirsi una carriera cinematografica brillante, su questo non ci piove, ma a partire dal prossimo film e con una tematica ben più significativa e ben più assortita.

Zeta è troppo povero di contenuti per fargli raggiungere i picchi sperati, a parte la rappresentazione selvaggia della periferia romana (a rubare la scena è ancora una volta Tor Bella Monaca, ormai valida fonte di ispirazione, in coppia con Corviale, altro quartiere ‘difficile’) dove la droga e le gang la fanno da padrone e  dove il rap cerca in tutti i modi di convincere lo spettatore ad appassionarsi ma suscita l’effetto contrario, divenendo una sorta di scudo protettivo che lo respinge. 

Diego Germini si cala discretamente nei panni del ragazzino diabetico che aspira al successo, poiché il percorso è già breve di per sé dato che proprio lui, in arte Izi, è un rapper di professione, ma solo perché è spalleggiato da due validi partner come Irene Vetere e, soprattutto, Jacopo Olmi Antinori. Quell’Olmi Antinori che nel 2014 ha esordito positivamente, poco più che quattordicenne, sul grande schermo grazie al film Io e te. La carriera artistica di Irene Vetere (anche lei giovanissima), invece, nasce televisivamente per aver interpretato una piccola parte in Don Matteo. Questo è, grosso modo, in assoluto il suo primo banco di prova. Insieme coesistono, l’unione non può che fare la forza, dando un messaggio forte e chiaro al valore dell’amicizia. Amicizia che sembra sempre sul punto di frantumarsi in mille pezzi da un momento all’altro aleggiando, però, come uno spiritello nel corso del film.

zeta-rap-filmÈ individualmente, invece, che il trio stecca. Perfino Olmi Antinori, poco credibile nei panni del tecnico del suono al seguito dell’amico rapper. Perfino la folta schiera di celebri rapper italiani del momento che fanno da comparsa e da cornice, che va da Fedez a Baby K passando addirittura per J-Ax, risultano poco credibili nonostante l’ingaggio per inquadrare meglio il tipo di mondo rappresentato. Non regge.

L’unico che riesce a tenere in piedi una baracca priva di fondamenta antisismiche è Salvatore Esposito, colui che si sta facendo apprezzare nella serie televisiva di Gomorra con il personaggio di Genny Savastano e che abbiamo ritrovato, seppur in un ruolo marginale, in Jeeg Robot. È indiscutibilmente la figura del momento, lui che sà calarsi magnificamente nel personaggio rude, tenebroso tralasciando, però, un velo di napoletanità che lo contraddistingue. Anche se qui di napoletano c’è ben poco e poco c’azzecca. Un Esposito che, nelle vesti di un rapper fin troppo affermato nell’underground, sprizza personalità da tutti i pori e per questo piace e per questo riesce a regalare quel pizzico di carica che manca nel resto del film.

Come dichiarato da Alemà il film ‘è Il tempo delle mele in versione rap ed è quello che avevo in mente di girare’. Peccato che tra il suo film e quello che ha fatto sognare un’intera generazione grazie ad una giovanissima Sophie Marceau c’è un solco profondo, due mondi diametralmente opposti. Zeta si rivolge maggiormente ad un pubblico giovane e a tutti quei giovani che masticano rap e non solo. Un genere che, come detto qualche riga sopra, Alemà raffigura in maniera troppo pregiudizievole portandolo all’estremo non accorgendosi che, invece, sta lanciando un messaggio sbagliato a chi vuole o vorrebbe avvicinarsi a questo mondo.

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Valerio Pizziconi

Nato a Roma nel 1989. Dopo aver conseguito la maturità in ragioneria, vista la sua passione per la scrittura frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Tor Vergata con indirizzo lingue straniere abbandonando, però, gli studi dopo tre anni. Nel 2013 un'enorme opportunità bussa alla sua porta: quella di scrivere per un giornale. Inizia così una collaborazione con Il Corriere laziale, occupandosi principalmente di calcio giovanile e dilettantistico locale. Fra le sue passioni, oltre alla già citata scrittura, spiccano la poesia, la musica folk e i viaggi. Dal 18 giugno 2015 è iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti del Lazio. COLLABORATORE SEZIONE CRONACA E POLITICA

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